marx199Umanesimo integrale e letteratura mondiale nell’opera di Marx –

Donatello Santarone. Università Roma Tre

Leggere Marx è concedersi, anzitutto, un “alto godimento dello spirito”. Perché è come leggere un classico del pensiero e dell’arte mondiali, è come avventurarsi nei canti di Dante, nei primi piani di Masaccio, nelle analisi storiche di Machiavelli, nei ragionamenti di Bacone, nelle fughe di Bach: geroglifici umani, estetici e storici altrettanto complessi di quelli che Marx tenta di svelarci parlando della natura misteriosa delle merci, del carattere enigmatico, imprevedibile e mutevole del capitale. Nella discesa all’inferno di questo nuovo modo di produzione, Marx, a differenza di Dante, che avrà Virgilio, Beatrice e San Bernardo come guide preziose, non ha nessun trio privilegiato, ma una moltitudine di scrittori e pensatori, di operai, sarti, falegnami e militanti del nascente movimento operaio che saranno le guide spirituali e scientifiche nella sua opera maggiore, Il capitale. Un’opera titanica al pari di quella di Promèteo, “il più grande santo e martire del calendario filosofico”, secondo le parole di Marx che lo considerava uno dei suoi personaggi preferiti per la capacità di sfidare gli dei e restituire agli uomini il sapere e l’autocoscienza umana. Un’opera-mondo, Il capitale, paragonabile alla Divina Commedia, della quale Marx era un entusiasta ammiratore, che leggeva in italiano, e il cui autore, Dante Alighieri, metteva al primo posto tra i poeti di ogni tempo, il “poeta prediletto” che aveva assunto a modello di esule costretto a fuggire da Firenze per motivi politici come Marx era stato costretto a fuggire da tutte le capitali europee per rifugiarsi a Londra.

“Marx – ha scritto Franz Mehring nella sua biografia – trovava ristoro e sollievo nella letteratura. […] Come il suo capolavoro scientifico rispecchia tutta un’epoca, così anche i suoi autori preferiti erano quei grandi poeti mondiali delle cui creazioni si può dire la stessa cosa: da Eschilo e Omero fino a Dante, Shakespeare, Cervantes e Goethe. […] Ogni anno leggeva Eschilo nel testo originale; restò sempre fedele ai suoi antichi greci e avrebbe voluto cacciare dal tempio […] quelle meschine anime di mercanti che avrebbero voluto togliere agli operai l’interesse per la cultura antica.”

Le parole di Mehring sono la migliore spiegazione di quell’umanesimo integrale – di cui parla il titolo di questa relazione – e che però va più precisamente inteso, secondo la prospettiva del filosofo ungherese György Lukács, come “umanesimo socialista”. L’aspirazione di Marx verso questo tipo di umanesimo non è un’aspirazione idealistica, non è un retorico auspicio un po’ filantropico e liberale. Marx sa che l’impedimento fondamentale per i lavoratori nell’accesso alla cultura risiede nei rapporti capitalistici di produzione.

“Se vuoi godere dell’arte – scrive nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 – devi essere un uomo artisticamente educato. […]
La musica risveglia il senso musicale dell’uomo; […] la più bella musica non ha per un orecchio non musicale nessun senso. […] L’uomo in preda alle preoccupazioni e al bisogno non ha sensi per il più bello tra gli spettacoli; il trafficante in minerali vede soltanto il valore commerciale, ma non la bellezza e la natura caratteristica del minerale; non ha alcun senso mineralogico.”

La tensione classica verso il pieno sviluppo della persona umana, presente in Goethe e Schiller, si scontra però con la società classista del capitale. Per questo Marx si applica allo studio dell’economia classica e alla critica della sua presunta naturalità ed eternità. “Tutta questa merda”, scriverà ad Engels a proposito dell’economia politica. Egli comprende che solo il superamento del regime della proprietà privata borghese, che determina la miseria materiale e spirituale dei lavoratori, potrà consentire a questi ultimi di riappropriarsi della grande tradizione classica mondiale. La lotta per la riduzione dell’orario di lavoro doveva servire proprio a questo, a restituire ai produttori associati tempo e mente per fruire dei più alti prodotti dello spirito.
Sappiamo quanto per Marx abbia contato l’attività pedagogica rivolta ai lavoratori per far sì che si sedimentasse una coscienza di classe colta e matura, fondata cioè sullo studio e sulla conoscenza storico-scientifica delle vicende del secolo.

“A quell’epoca – ci testimoniano i suoi contemporanei – era stata costruita la magnifica sala di lettura del British Museum, con i suoi inesauribili tesori bibliografici. Marx, che vi si recava ogni giorno, ci spingeva a frequentarla. Studiare, studiare! Questo era l’imperativo categorico che spesso ci gridava con voce squillante.”

Ma proviamo ad entrare più da vicino nel laboratorio letterario di Marx, partendo proprio dai Manoscritti del ‘44, una serie di quaderni di annotazioni e riflessioni non destinati alla pubblicazione che il giovane filosofo scrisse a Parigi in uno dei periodi più belli della sua vita.
Nel capitolo dedicato al denaro, Marx ricorre, tra gli altri, ad uno dei suoi autori più amati, Shakespeare, per spiegare la natura onnipotente di questo “Dio tra le merci”, come lo chiamerà nei Grundrisse.
Soffermiamoci sulle citazioni dal Timone di Atene di Shakespeare. Si tratta due invettive contro il potere corruttivo dell’oro, che il nobile ateniese Timone pronuncia quasi in prossimità della morte in una condizione ormai di povertà e di rovina, causate da una eccessiva generosità nei confronti di amici che in realtà altro non erano che interessati cortigiani.
Leggiamo alcuni versi dal Timone di Atene nella traduzione di Agostino Lombardo:

“Oro? Giallo, splendente, prezioso oro?
[…]
Tanto di questo renderà bianco
il nero; bello il brutto; giusto
l’ingiusto; nobile il vile; giovane
il vecchio; coraggioso il codardo…
[…]
Questo giallo verme
unirà e sfalderà religioni, benedirà
i maledetti, […]
premierà i ladri.
[…]
Vieni, pezzo di terra
dannata, tu puttana dell’umanità
che getti discordia tra la feccia delle nazioni…”.

Questa è una parte dell’invettiva di Timone contro l’oro e così commenta Marx:

Shakespeare descrive l’essenza del denaro in modo veramente incisivo […] e rileva nel denaro soprattutto due caratteristiche:
è la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l’universale rovesciamento delle cose. Esso fonde insieme le cose impossibili;
è la meretrice universale, la mezzana universale degli uomini e dei popoli.
[..]
Il denaro è il potere alienato dell’umanità.
Quello che io non posso come uomo, e quindi quello che le mie forze essenziali individuali non possono, lo posso mediante il denaro.”

Ma il giovane Marx non fu attratto solo dalle famose citazioni dei Manoscritti. L’intera tragedia di Shakespeare, così profondamente pessimistica sulla natura umana e attraversata dal tema del movènte economico che determina i comportamenti umani, affascinò Marx. Quel che il drammaturgo inglese aveva capito con il “pensiero della poesia” due secoli e mezzo prima, ora Marx lo argomenta con il “pensiero della critica dell’economia politica”.
L’alta considerazione che egli aveva nei confronti dei grandi classici della letteratura mondiale traspare in tanti luoghi della sua produzione. Le opere degli scrittori prediletti si depositano nelle sue pagine e gli offrono tipi, rappresentazioni, analogie, metafore, luoghi, linguaggi che entrano in maniera organica nelle sue analisi scientifiche.

“Egli – scrive Paul Lafargue nei suoi ricordi – sapeva a memoria Heine e Goethe che citava spesso discorrendo. […] Talvolta si sdraiava sul divano e leggeva un romanzo; talvolta ne leggeva due o tre contemporaneamente, alternando la lettura; anche lui, come Darwin, era un gran lettore di romanzi. […] Al primo posto fra tutti i romanzieri poneva Cervantes e Balzac. Don Chisciotte era per lui l’epopea della cavalleria morente, le cui virtù diventavano ridicole e pazzesche nel mondo borghese nascente. La sua ammirazione per Balzac era così profonda che si era proposto di scrivere una critica della sua grande opera, La Comédie Humaine, appena avesse terminato la propria opera di economia.”

Le radicali trasformazioni della società mondiale, determinate dall’ascesa della borghesia e dalla nascita del capitalismo, si riflettono anche nel Manifesto del partito comunista, pubblicato da Marx ed Engels nel 1848 ma la cui stesura ultima è frutto della penna del solo Marx. Dal punto di vista letterario il Manifesto è un vero e proprio gioiello di stile e di potenza espressiva, analizzato con rara finezza da Umberto Eco.

Il Manifesto – scrive Eco – “inizia con un formidabile colpo di timpano, come la Quinta di Beethoven: «Uno spettro si aggira per l’Europa» (e non dimentichiamo che siamo ancora vicini al fiorire preromantico e romantico del romanzo gotico, e gli spettri sono entità da prendere sul serio). Segue subito dopo una storia a volo d’aquila sulle lotte sociali dalla Roma antica alla nascita e sviluppo della borghesia. […] Si vede (voglio proprio dire «si vede», in modo quasi cinematografico) questa nuova inarrestabile forza che, spinta dal bisogno di nuovi sbocchi per le proprie merci, percorre tutto l’orbe terraqueo ([…] e qui il Marx ebreo e messianico sta pensando all’inizio del Genesi). […]
A parte la capacità certamente poetica di inventare metafore memorabili, il Manifesto rimane un capolavoro di oratoria politica […] e dovrebbe essere studiato a scuola insieme alle Catilinarie e al discorso shakespeariano di Marco Antonio sul cadavere di Cesare. Anche perché, data la buona cultura classica di Marx, non è da escludere che proprio questi testi egli avesse presenti.”

Nel Manifesto troviamo, in un famoso e profetico passo sulla globalizzazione del capitale, un esplicito riferimento ad uno dei poeti più amati da Marx, cioè Goethe, e alla sua nozione di letteratura mondiale.

“Sfruttando il mercato mondiale – scrive Marx – la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. […] E come nella produzione materiale, così anche nella spirituale. I prodotti spirituali delle singole nazioni diventano patrimonio comune. La unilateralità e la ristrettezza nazionale diventano sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali esce una letteratura mondiale [corsivo nostro, n.d.r.].”

La nozione di “letteratura mondiale” deriva a Marx, come si è detto, direttamente da Goethe.

“Mi convinco sempre di più – scrive l’autore del Faust – che la poesia è un patrimonio comune dell’umanità e si manifesta, ovunque e in tutti i tempi, in centinaia e centinaia di individui […] Per questo mi piace tener d’occhio le altre nazioni e consiglio a tutti di fare lo stesso. Oggigiorno letteratura nazionale non vuol dir molto, sta arrivando il tempo della letteratura mondiale e ciascuno di noi deve contribuire al suo rapido avvento.”

Queste parole di Goethe del 1827, nel loro innovativo cosmopolitismo interculturale affermano l’ideale della poesia-mondo. Con l’espressione “letteratura mondiale” (Weltliteratur) l’autore del Faust “intendeva indicare l’inevitabile e proficuo compenetrarsi e intrecciarsi delle letterature nazionali europee ed extraeuropee.” Goethe, infatti, ha sempre avuto una costante frequentazione, oltre che con le letterature francese, inglese e italiana (ricordiamo la sua grande ammirazione per Tasso e Manzoni), anche per le letterature persiana, araba e cinese. Il Divano occidentale-orientale, composto di poesie ispirate ad Hafez, un poeta persiano sufi del XIV secolo, ne è l’emblema. Non è un caso se oggi l’Orchestra giovanile di israeliani, palestinesi e musicisti dei paesi arabi voluta da Edward Said e Daniel Barenboim prende il nome dal libro di Goethe.
Per dare carne e sangue alle sue analisi Marx ha bisogno della parola letteraria, la quale conferisce ai suoi scritti una forma preziosa e colta, una solidità estetica di tipo classico. Egli ne era così convinto che decide di terminare la Prefazione alla prima edizione tedesca del Capitale con un verso di Dante, un verso che era “la sua massima favorita”:

“Sarà per me benvenuto – scrive Marx – ogni giudizio di critica scientifica. Per quanto riguarda i pregiudizi della cosiddetta opinione pubblica, alla quale non ho fatto mai concessioni, per me vale sempre il motto del grande fiorentino:

Segui il tuo corso, e lascia dir le genti!”

Dove Marx in verità modifica l’originale di Dante, il quale, nel quinto canto del Purgatorio, scrive: “Vien dietro a me, e lascia dir le genti”.
Egli sentiva un’affinità profonda con l’autore della Divina Commedia, in particolare per la comune e ingiusta condizione di esuli. Come per tutti gli scrittori a lui cari, anche nei confronti di Dante l’atteggiamento di Marx non è quello del borioso accademico, ma quello di chi “usa” i classici per leggere il presente e cercare in essi una risposta alle domande del mondo contemporaneo.

“Quando ci si pone la questione – ha scritto il poeta e saggista Franco Fortini – se Dante conserva o no il suo mondo per noi dobbiamo chiederci l’inverso: in che misura il nostro mondo può essere, per dir così, dantizzato in qualche modo”.

Un esempio di questa “dantizzazione” è nella dura polemica che il filosofo tedesco ingaggia, in un testo del 1853, contro il giornale conservatore Times che in uno dei suoi articoli se la prende con i rifugiati in Inghilterra accusati di essere “individui feroci”, “rotti a ogni delitto”. Non dimentichiamo che Marx era uno di questi rifugiati a cui l’Inghilterra non concesse mai la cittadinanza dell’Impero britannico, costringendolo per tutta la vita ad una condizione di apolide.
In questo articolo contro il Times, esempio della brillante e caustica polemica giornalistica di Marx, un posto di prim’ordine spetta proprio a Dante esiliato da Firenze ma fortunatamente risparmiato da un attacco del Times!

“Nel “cielo di Marte” – scrive Marx – Dante incontra il suo avo Cacciaguida degli Elisei, che gli predice il futuro esilio da Firenze con queste parole:

Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui e com’è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.

Felice Dante, – commenta Marx – un altro di quegli “esseri appartenenti a quella sciagurata classe detta dei rifugiati politici”, che i suoi nemici non poterono minacciare con la vergogna di un editoriale del “Times”! E più felice il “Times”, cui la sorte ha evitato un “posto riservato” nell’”Inferno” dantesco.”

L’opera di Marx – per concludere – è un oceano infinito in cui si rischia di annegare se non si ha la pazienza di studiare e ristudiare i testi, se non si ha la necessaria calma e il tempo lungo per riflettere su di essi. La ricchezza di riferimenti letterari avvicina il lettore ai grandi classici della letteratura mondiale e lo stimola ad una lettura integrale delle opere maggiori di questi autori: l’Odissea, l’Eneide, la Divina Commedia, il Don Chisciotte, il Faust e tantissimi altri. Il plurilinguismo di Marx e il suo “cosmopolitismo interculturale” (Merker) rappresentano un modello, un metodo, un orientamento fecondo. La sua prospettiva risulta ancor più attuale oggi in un mondo nel quale i “prodotti spirituali” (Manifesto) sono sempre più globali e in cui le letterature dei diversi paesi dialogano in forma “contrappuntistica” (Said), dando corpo a quell’antico e nobile ideale di Goethe di una “letteratura mondiale”.

Intervento di Donatello Santarone (.docx)

 

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