copertine_pagina_9_2017Una bussola per orientarsi nella crisi e dar vita ad una politica alternativa (I Parte)

Quaderno Nr. 9/2017

Formazione online – Periodico di formazione on line a cura del centro studi e iniziative per la riduzione del tempo individuale di lavoro e per la redistribuzione del lavoro sociale complessivo.

Presentazione
Tutti concordano sul fatto che da almeno dieci anni stiamo attraversato la peggior crisi economica e sociale dalla fine della guerra. Ma la maggior parte delle persone e degli uomini politici non fa altro che aspettare o sperare che questa fase negativa si esaurisca. Questa speranza è però decisamente ambigua perché presuppone un inevitabile ritorno ad una pseudonormalità che non potrebbe mai instaurarsi, in quanto si sono dissolte le condizioni sulle quali la vita poggiava.

L’illusione deriva dal fatto che, come facevano i nostri antenati con le pestilenze e le carestie, crediamo che la crisi attuale non sia altro che un fenomeno causato da comportamenti devianti, cioè un qualcosa di esteriore imposto alla società, che altrimenti non subirebbe gli intoppi di cui soffre.  Questo approccio culturale dimostra che non abbiamo ancora imparato l’ABC della condizione umana.  Lo sviluppo intervenuto fino ad oggi ha infatti contribuito all’instaurarsi di una realtà profondamente diversa da quella in cui, fino a ieri, hanno operato le precedenti generazioni.
E ora si tratta di imparare ad interagire positivamente con questa realtà, per dar corpo ad una struttura relazionale coerente con la nuova situazione.

La crisi è infatti un evento che precipita sulla società, dimostrando agli esseri umani che ciò che loro considerano come il “naturale” comportamento relazionale non è più in grado di garantire una normale riproduzione dell’organismo al quale hanno dato corpo.  Il termine crisi viene dal greco “krinos” (separare), e designa, il momento, la fase nella quale deve intervenire una rottura tra il modo di essere ereditato e un altro differente, che è tutto da costruire, dando al materiale ereditato altra forma.  Quando ci si limita ad aspettare che la crisi finisca, continuando a praticare il comportamento prevalente prima del suo presentarsi, si nega implicitamente che di crisi si tratti.   Non sorprende, allora, che il disagio sociale si protragga per un periodo che sembra interminabile.  E che gli individui si sentano costretti in situazioni ben lontane da ciò che vorrebbero.

Ciò che manca in questi frangenti è una comprensione del processo evolutivo che caratterizza la condizione umana, senza la quale non è possibile provare a sviluppare le facoltà che consentirebbero di sottomettere nuovamente a sé i propri rapporti.  Si tratta cioè di individuare che cosa ostacola la libertà della quale sentiamo il bisogno, ma che non sappiamo ancora concepire e praticare.  Per comprendere il fenomeno che stiamo cercando di descrivere bisogna però non riferirsi a ciò che chiamiamo libertà in modo ingenuo.  La libertà non è cioè un dato, un presupposto della nostra esistenza. Essa non è altro che la facoltà di soddisfare i propri bisogni.  Ma questa non è una capacità innata, appunto perché con lo sviluppo i bisogni di espandono ed evolvono, ma la capacità di soddisfarli non procede spontaneamente al loro seguito.  Al contrario deve di volta in volta essere prodotta.  Vale a dire che gli esseri umani debbono sviluppare delle facoltà delle quali non sono ancora depositari.  La realtà si frappone come un ostacolo a quella soddisfazione perché, per trasformare le circostanze in coerenza con gli obiettivi perseguiti, gli individui debbono imparare a cambiare se stessi.

Chi ha vissuto la fase dell’ascesa e dello sviluppo dei rapporti dello stato sociale keynesiano ha sperimentato questo processo di profonda trasformazione individuale e collettiva, determinata dal pieno dispiegamento del lavoro come diritto.  Ma proprio perché quella formazione sociale ha raggiunto il suo obiettivo – di emancipare i cittadini dalla preesistente penuria generalizzata di cui soffrivano – ha trasformato il mondo in cui viviamo in modo radicale, rendendo difficile il procedere con lo stesso modo di produrre.

Il problema che impedisce un ulteriore sviluppo è emerso sul finire degli anni settanta, e da allora ci rotoliamo in una situazione contraddittoria che vede continuamente crescere lo stato confusionale e il senso di impotenza.  Oscilliamo, infatti, tra l’accettazione passiva delle parole d’ordine delle classi dominanti, da un lato – parole che ci vengono somministrate giornalmente dalla “congregazione dei pubblicitari”, che ormai dominano anche il mondo della politica – e lo sprofondare, dall’altro, in un senso di sfiducia sul nostro futuro.

Il testo che segue è il risultato di un lavoro più che ventennale del nucleo di ricerca dell’Associazione per la Redistribuzione del lavoro.  Molti dei temi affrontati nelle numerose monografiche pubblicate a stampa da metà anni ottanta, vengono qui rielaborati in un approccio propositivo più generale. L’insieme dell’opera verrà pubblicato in cinque dispense a cadenza mensile, ognuna delle quali conterrà uno dei cinque “libri” nei quali si articola l’analisi.

La difficoltà di lettura è quella insita in ogni processo di apprendimento consapevole, che, per svolgersi coerentemente, presuppone l’esistenza di un bisogno di comprendere.  Tutti coloro che credono, invece, che il sapere necessario a superare la crisi debba “volargli in bocca come una colomba arrostita” (Marx), possono evitare di affrontare la normale fatica implicita nel comprendere la nostra stessa vita.  Per gli altri vale il detto “Hic Rhodus, hic salta!”, cioè qui c’è la prova della tua capacità di confrontarti produttivamente col tuo stesso bisogno, dimostra che sai farlo.

A tutti coloro che dicono a se stessi “vorrei, ma non ci riesco”, vale la pena di richiamare la disperazione dominante negli anni trenta del Novecento.  Come scrisse Simone Weil nel suo Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale del 1934,

“Il [nostro] presente è uno di quei periodi in cui svanisce quanto normalmente sembra costituire una ragione di vita e, se non si vuole sprofondare nello smarrimento o nell’incoscienza, tutto va rimesso in questione. … Ci si può chiedere se esista un ambito della vita pubblica o privata dove le sorgenti stesse dell’attività e della speranza non siano avvelenate dalle condizioni nelle quali viviamo. … Infine la vita familiare è diventata solo ansietà, a partire dal momento in cui la società si è chiusa ai giovani. Proprio quella generazione, per la quale l’attesa febbrile dell’avvenire costituisce la vita intera, vegeta in tutto il mondo con la consapevolezza di non avere alcun avvenire, che per essa non c’è alcun posto nel nostro universo. Del resto questo male, al giorno d’oggi, se è più acuto per i giovani, è comune a tutta l’umanità. Viviamo in un’epoca priva di avvenire. L’attesa di ciò che verrà. Non è più speranza, ma angoscia”,

Da quell’abisso di disperazione riuscimmo però ad uscire, col paziente lavoro di intellettuali critici e con le lotte di moltitudini che, dopo la seconda guerra mondiale diedero vita ad una nuova formazione sociale, che garantì una lunga fase di sviluppo, inimmaginabile per le generazioni precedenti.  Il compito che abbiamo noi oggi non è dissimile da quello di allora: costruire un futuro che non siamo ancora in grado di anticipare, ma che riposa proprio sulle condizioni economiche che i nostri predecessori e noi abbiamo creato.

Quanti sono interessati ad approfondire i problemi contenuti nei testi di volta in volta proposti possono farlo scrivendo a bmazz@tin.it.

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