
Grazie Vittorio che ci hai insegnato a pedalare senza fermarsi mai
Pubblicato il 14 ago 2025
Stefano Galieni*
E in questa vigilia di Ferragosto ci ha lasciato il Compagno Vittorio Barbanotti, di Milano. Non un dirigente ma un militante di partito sin dalla sua fondazione, un uomo con una storia immensa, di quelle a cui spesso dovremmo tutte e tutti, imparare ad attingere. Nato, da famiglia operaia, 73 anni fa, sin da ragazzino ha dovuto contribuire a portare soldi a casa con ogni tipo di lavoro. Una vita, la sua che sarebbe dovuta diventare un libro, forse potrebbe ancora accadere visto che una parte me l’ha inviata poco più di un mese fa quando la malattia che lo ha ucciso si era già fatta sentire pesantemente. Nel PCI sin da giovanissimo e poi in Rifondazione, Vittorio ha fatto per alcuni anni parte del servizio d’ordine dell’allora segretario nazionale Fausto Bertinotti. Presto aveva scoperto, insieme alla politica, all’organizzazione sindacale in fabbrica, alla militanza che lo portò spesso ad essere apertamente critico verso comportamenti che riteneva inadeguati, l’amore per lo sport, quello che ti fa faticare, sudare, sentirti stanco da non riuscire a camminare. Dalle prime corse, iniziate quasi per caso, giunse a vincere a Milano medaglie e coppe, a correre le maratone, ad affrontare corse ancora più dure, perché aveva il fisico e la testardaggine necessaria per non arrendersi mai. Tante le battaglie che ricordava con vigore e determinazione sul fronte politico, teneva alla tessera del partito, alla appartenenza e alla militanza anche dopo che in tanti, per motivi più o meno validi, avevano abbandonato l’attività. Vittorio viveva ogni ingiustizia come se fosse stata commessa nei suoi confronti, fu fra i protagonisti mai alla ribalta nella lunga battaglia per la liberazione di Silvia Baraldini, fu presente e poi critico per la gestione del G8 a Genova e in tante altre manifestazioni.
Per Vittorio ognuno, per essere politicamente impegnato, doveva impegnarsi per quello che sapeva realmente fare. Non era uomo da lunghi discorsi teorici e da dotte analisi, scelse lo sport come strumento per far conoscere quella che ad ognuna/o di noi dovrebbe essere sempre concretamente al centro, la difesa, incondizionata dei diritti umani. Dovette lasciare la corsa di fondo per problemi cardiaci, gli era stato diagnosticato, quando ancora lavorava, un serio problema che lo avrebbe costretto ad un intervento e a dover rinunciare alla sua passione. Si operò nel 2008 ma poco tempo dopo la fase di riabilitazione, ebbe l’idea che potrebbe parere assurda di cimentarsi con la bicicletta. Per due volte, la prima nel 2015, arrivò a Strasburgo, al Parlamento Europeo, con il suo messaggio di denuncia verso tutte le ingiustizie e le discriminazioni, le violenze e le forme di sfruttamento. Le “pedalate longhe” condotte in solitaria, fra salite e discese, lo caricavano di passione e di determinazione. Incontrava persone, parlava, portava con se a volte la bandiera della pace, altre la Carta universale dei diritti dell’uomo e lo faceva con energia, ogni volta stupito di come fosse riuscito a vincere non solo i problemi cardiaci ma anche il diabete.
Nel 2019 prima del covid, realizzò un altro sogno. Una pedalata da Milano a Palermo, passando per i luoghi simbolo di un Paese per cui soffriva e ad ogni tappa, rabberciata alla meno peggio, conobbe persone disposte ad ascoltarlo, a trovargli ospitalità, ad offrite un pasto. Il 15 aprile del 2024 rifece lo stesso percorso, sostenuto soprattutto da compagne e compagni del nostro partito che ne apprezzarono la simpatia, la tenacia, il carattere a volte burbero ma perennemente aperto al sorriso e all’incontro. Aveva un linguaggio semplice che sfondava ogni barriera, che ti costringeva al confronto, che emanava contemporaneamente la saggezza di chi ne ha viste tante e la freschezza di chi ancora si stupisce di fronte al mondo e alle piccole meraviglie che ogni tanto riserva. La pedalata del 2024 fu all’insegna della lotta contro ogni guerra, contro la violenza di genere, contro le forme di prevaricazione che spesso vincono grazie all’indifferenza. Vittorio non conosceva il senso della parola “indifferenza”.
Aveva un sogno che non è riuscito a realizzare. Negli ottanta anni dalla Liberazione voleva fare una pedalata da Milano ad Auschwitz per ribadire quel “mai più” che pare dimenticato.
E fino a poco tempo fa ha continuato a crederci, a pensare che lui su quella bicicletta ci sarebbe tornato perché non bastava una malattia a fermare la lotta per qualcosa di infinitamente più importante.
Ho avuto il privilegio di conoscerlo, di apprezzarlo e di essere stato fra coloro che continuavano, anche se da lontano, a spronarlo a provare a tirargli su il morale.
Abbiamo perso un compagno speciale, come sono tutti i compagni e le compagne, che ci ha lasciato un insegnamento forse unico. Le nostre lotte, il nostro bisogno di cambiare il mondo, la nostra curiosità verso chi non si conosce, sono la metafora delle sue pedalate longhe.
Dovremmo pedalare ancora e per molto, ma ne vale la pena.
I funerali di Vittorio Barbanotti si svolgeranno sabato alle 11.00 presso la chiesa di S. Giuseppe Calasanzio via don Gnocchi (zona San siro)
*un compagno di Vittorio
Sostieni il Partito con una
Appuntamenti