
Dieci storie di Resistenza, contro il pericolo di perdere la memoria
Pubblicato il 13 ago 2025
di Lelio La Porta -
Scaffale «Il 25 aprile è divisivo solo se sei fascista» di Rosario Esposito La Rossa, per Marotta&Cafiero editori. Centrali, nel volume, le vicende di due partigiane: Irma e Gilda Entrare oggi in una scuola superiore italiana e chiedere alle studentesse e agli studenti quali siano le loro conoscenze relative a Mussolini, ai suoi camerati, da Italo Balbo a Galeazzo Ciano, fino all’arruolamento, forse un poco forzato ma non per questo non accettabile, fra i fascisti della prima ora del Vate Gabriele D’Annunzio, potrebbe lasciare basiti; soprattutto se, a seguire, alla stessa gioventù si chiedessero dieci nomi di partigiane e partigiani. Preparazione ottima sulla prima richiesta, pessima sulla seconda, da bocciatura. Il racconto di questa esperienza costituisce la motivazione profonda che ha spinto Rosario Esposito La Rossa, ideatore della «Scugnizzeria», libreria nella quale i bambini di Scampia passano pomeriggi formandosi attraverso corsi e attività ludiche, e, per questo, nominato Cavaliere della Repubblica dal Presidente Mattarella, a scrivere dieci storie di Resistenza raccolte nel volume Il 25 aprile è divisivo solo se sei fascista (Marotta&Cafiero, pp. 125, euro 16).
OGNUNA DELLE DIECI STORIE ha una particolarità che la rende unica pur nel contesto di una vicenda corale che è quella di un popolo intero che vuole liberarsi dall’oppressore nazifascista. Due storie intorno a due figure femminili occupano un posto centrale nel volume: Irma Bandiera, Mimma, comunista, staffetta impavida, «ogni volta che pedala, rischia di essere fucilata»; arrestata, seviziata, torturata, non parla e viene fucilata e il suo corpo viene esposto sul selciato come monito.
L’altra donna è Gilda Larocca, la Gildissima, redattrice della radio clandestina fiorentina Co. Ra. (Commissione Radio) del Partito d’Azione. Arrestata, torturata, viene spedita in Germania insieme agli altri redattori della radio. Riesce a fuggire insieme a Orsola, conosciuta a Fossoli, e torna alla lotta perché «il profumo della libertà è sempre più forte della puzza dei nazifascisti».
UN’ALTRA STORIA, è quella di «El Italiano», Gino Giacomo Donè Paro, l’uomo che insegnò a sparare a Che Guevara. Combatte nella Brigata Piave e, a guerra finita, fonda a Venezia la sezione dell’Anpi. Ma è senza lavoro e, quindi, lascia l’Italia, gira il mondo, approda nella Cuba di Batista. Qui fa diversi mestieri e si avvicina ai rivoluzionari anche grazie alla conoscenza di Aleida March, che diventerà la seconda moglie del Che. Raggiunge Fidel e il Che in Messico dove insegna a quest’ultimo a sparare: «Diceva che il Che era un bravo medico ma sapeva poco di guerriglia». Dopo la vittoria della rivoluzione, si perdono le tracce di Gino che ricompare in Italia nel 2003. Morirà nel 2008 e la sua volontà di morire in Italia ma essere sepolto a Cuba sarà rispettata.
Quindi, c’è «il partigiano Wolf»: si tratta di un cane pastore tedesco addestrato per dare la caccia ai partigiani. Si perde durante un’operazione e viene salvato da Gino, partigiano della Brigata Roaschia di Giustizia e Libertà. Gino lo accudisce e gli cambia nome: sarà Lupo e si prodigherà nel salvataggio di molti partigiani.
Ogni storia ha la sua particolarità, come già scritto: c’è la pastasciutta antifascista voluta dai Cervi alla notizia della caduta del fascismo il 25 luglio 1943, c’è la pedalina clandestina nella tipografia costruita sotto un fiume. E c’è altro. Ma non può non risultare toccante, nell’ultimo racconto del volume, la storia del papavero che racconta l’esecuzione di Walter Fillak, nome di battaglia Martin, il cui corpo, dopo l’esecuzione, verrà lasciato a terra vicino al papavero e alle volpi che lo annusano. E lì nacquero i papaveri rossi, i fiori del partigiano di Bella ciao, gli stessi che sono cantati da Fabrizio De André.
IN QUEST’EPOCA in cui la nostra scuola sembra disposta a ricordare anche il peggio della nostra storia, in cui studentesse e studenti sono più propensi a tenere a mente le malefatte del fascismo e non le azioni di chi da esso ci ha liberato, un libro come questo di Esposito La Rossa meriterebbe, non solo per la portata dei contenuti ma anche per la sobrietà della scrittura, di entrare a pieno titolo fra i testi da utilizzare per l’insegnamento, ormai curricolare, dell’educazione civica, della Costituzione nella quale, come ricorda l’autore, sono impresse le zampe di Wolf.
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