di Dino Greco –

Anche l’informazione, soprattutto ai tempi del liberismo, è una merce che si vende, come ogni altro prodotto, sul mercato.
Il pluralismo delle idee che pure con la democrazia dovrebbe avere qualche rapporto, diciamo così, “costituente” è un fardello di cui le classi dominanti fanno volentieri a meno.

L’articolo 21 della Costituzione così recita:
“Tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero con le parole, lo scritto e ogni mezzo di diffusione”.

Bisognerebbe aggiungere, con un atto di realismo, “purché abbia i mezzi per farlo”.

Il diritto alla informazione, il diritto a diffondere “liberamente” le proprie idee è, in definitiva, come tutte le libertà borghesi, il frutto caduco di una proclamazione soltanto formale.

Nella realtà, oggi più che mai, i canali di informazione sono monopolizzati dal potere costituito.

I profeti del mercato dicono: “Che c’è di strano, se vendi il tuo prodotto, cioè se hai mercato, vivi; altrimenti è giusto che tu muoia”. Elementare, no?

Invece non è per nulla ovvio, né…elementare.

Intanto varrà la pena di ricordare che anche il mercato è “drogato”: non ci sono editori “puri”; la pubblicità (anche quella istituzionale) va in una direzione sola; poi ci sono i finanziamenti indiretti che premiano lautamente soltanto i grandi (e già ricchi) giornali.

Il potere costituito, la ricchezza, la disponibilità di capitali, non il diritto ad esprimere le proprie idee, decidono chi pubblica e chi è escluso.

I media sono uno dei più potenti strumenti attraverso i quali si “forgiano” o, per lo meno, si condizionano i comportamenti, le idee delle classi subalterne: ecco perché le classi dominanti, impegnate a rendere permanente la propria egemonia tendono ad assicurarsene il monopolio.

Dunque, l’informazione incrocia con un tema di fondo, incrocia cioè con la questione democratica.

Se io rappresento una minoranza (e la democrazia dovrebbe tutelare come un bene prezioso le minoranze e il pluralismo), se il mio target sociale è proletario secondo l’ideologia mercatista deve scomparire.

In fondo, si tratta della declinazione del mantra dominante. Se “there is no alternative” (non c’è alternativa) all’ordine di cose esistente, ciò che vale per l’economia, per i rapporti sociali, per la politica, non può non valere anche per l’informazione.

Per rendere cogente questa persuasione, la colonizzazione del pensiero diventa un imperativo irrinunciabile: più il sistema, più il modello di accumulazione mostra le sue crepe, più la crisi del capitale si manifesta con tutto il suo carico di ingiustizia e di disuguaglianza, e più il ruolo dell’ideologia, del controllo delle idee assume un’importanza fondamentale.

Precisamente, domina nell’informazione chi domina nei rapporti sociali.

Il pluralismo delle idee, l’effettiva possibilità di esercitarlo, decide di ciò che è assimilabile ad un concetto di democrazia e ciò che ne è solo il simulacro.

Oggi, con l’eccezione del per altro altalenante Manifesto, non c’è più in edicola un giornale di sinistra.
L’informazione sarà con ciò più ricca? O più “onesta”? La democrazia sarà più solida? O piuttosto si andrà verso un mondo sempre più “orwelliano”, addomesticato da una stampa codina, ruffiana, “embedded”, cioè ammanigliata e a libro paga dei poteri forti, compiacente con essi, sostanzialmente corrotta, supinamente prona verso chi paga, verso chi intimorisce o ricatta, con chi, in definitiva, comanda e impiega ogni mezzo per rendere eterno il proprio potere.

La “decerebrazione” del popolo ridotto a “plebe”, privato cioè di strumenti che possano alimentare, nutrire un pensiero critico, diventa un compito a cui dedicare scrupolosa attenzione.

Antonio Gramsci ha dedicato preziose pagine per spiegare come si forma un pensiero dominante, come si costruisce una narrazione di senso comune, opposta al “buon senso”. E quanto sia necessaria la battaglia delle idee, a sostegno della lotta di classe.

Del resto, si guardi a cosa sta accadendo sul piano istituzionale.

Nel vecchio stato liberale il suffragio universale (comunque parziale, perché le donne saranno ammesse al voto, in Italia, solo dopo la sconfitta del fascismo e nell’Italia repubblicana) viene subìto. Prima si votava per censo, e ne aveva dunque diritto solo il cinque per cento della popolazione.
Ebbene, non si sta oggi tornando lì, cioè al governo oligarchico, attraverso una legge elettorale e modifiche costituzionali il cui obiettivo è quello di concentrare tutto il potere nelle mani dell’esecutivo da parte di una minoranza che riassume in sé la facoltà di rendere ininfluente il parlamento, di nominare il presidente della Repubblica, la Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura e dominare quei poteri che la Carta vorrebbe indipendenti, in una repubblica che muta rapidamente il suo carattere in senso e forma presidenziali.

Ecco perché anche il tratto culturale e politico che contraddistinguerà la carta stampata sarà sempre più uniforme: il mainstream sarà caratterizzato da un perimetro che è quello del pensiero unico: tutti diranno (già dicono) le stesse cose. Tutto ciò che fuoriesce dal copione sarà bandito.

Chi troverete in edicola?:
-Il Sole 24 Ore, il giornale di Confindustria;
– Il Corriere della Sera (i componenti del patto di sindacato che ne detiene il controllo sono: Mediobanca, Fiat, Gruppo Pesenti (Italmobiliare), Pirelli, Fondiaria, Banca Intesa, Assicurazioni Generali, Merloni, Mittel, Eridano finanziaria, Edison);
La Stampa, della Famiglia Agnelli;
La Repubblica, del gruppo De Benedetti;
Il Giornale e Libero, di area Berlusconiana;
Il Messaggero e Il Mattino, dell’immobiliarista Caltagirone, e così via.
In sostanza: il gotha del capitalismo industriale e finanziario.
Tutti, d’ora in avanti, si abbevereranno a queste fonti di verità.

Oggi, il lavacro purificatore populista ha ottenuto la fine del finanziamento pubblico all’editoria politica (cioè di partito, di idee e cooperativa), con il consenso entusiastico di gran parte dei cittadini.

Il miracolo delle classi dominanti consiste proprio in questo: nel privare le classi subalterne di uno degli strumenti ideali del proprio potenziale riscatto ed emancipazione e di farlo con il consenso delle classi subalterne medesime.

Del resto, da tempo il Partito democratico, risultato di un’inesorabile catena di abiure culturali e transumanze politiche verso l’opposto, ha sanzionato che le classi non esistono più e, dunque, non ha senso alcuno che i lavoratori pretendano di avere, come tali, un proprio punto di vista autonomo e indipendente.

Devono rimanere solo loro, i ricchi e i potenti, (occupando radio, Tv e carta stampata) a raccontare la bellezza del mondo in cui viviamo.

Qualche spazio rimane nella rete, anch’essa, tuttavia, al centro di un attacco del mainstream.

Ma l’asimmetria di forze (la sproporzione, cioè, della “potenza di fuoco”) è enorme.
Così vince la disinformazia: si “crea” una realtà fittizia, che è un’altra forma dell’alienazione, un’altra forma dello spogliamento di sé e della propria identità delle classi subalterne.
Il capitale, dopo avere distrutto, manu militari, le organizzazioni del movimento operaio, chiude definitivamente il cerchio.

Matteo Renzi, come ieri Berlusconi, pensa di fare breccia negli orientamenti degli elettori invadendo tutti i canali della comunicazione, per somministrare un’overdose di quotidiana pubblicità politica (ingannevole), di propaganda imbonitrice, senza contraddittorio.

Tutto ciò mentre agli altri, all’opposizione di sinistra è negato qualsiasi spazio. E persino le notizie che la riguardano sono oscurate: i comunisti non hanno più uno spazio di autorappresentazione: essi vengono “narrati” dall’avversario politico.

C’è, in servizio permanente effettivo, una truppa ben selezionata di circensi, una compagnia di giro che affolla i talk-show televisivi, dove si formano le “starring da palcoscenico”, ininterrottamente imposte via etere mentre vendono la loro merce avariata spacciata per modernità. A chi si oppone non restano neppure i titoli di coda.

La televisione svolge il ruolo più nefasto: risuonano ancora gli sberleffi con cui Enzo Jannacci ne sbugiardava l’effetto cloroformico:
“La televisun
la ga na forsa de liun;
la televisiun
la ga pora de nisun;
la televisiun
la ta rent com’en cuiun”.

E noi?
Noi – al di là dell’offensiva proditoria del capitale, al di là dell’oscuramento subìto da parte dei canali istituzionali – soffriamo di un cronico ritardo, di una difficoltà endemica a ristrutturare la nostra capacità di controinformazione.

Tutti i grandi rivoluzionari hanno posto un’attenzione quasi maniacale sul tema dell’informazione, della stampa comunista (cioè della propria concezione del mondo e della necessità imperiosa di utilizzarla come strumento insostituibile per l’organizzazione e la coesione del movimento proletario, per raccontare come sia possibile, oltre che desiderabile, costruire una società di liberi ed eguali, dove i produttori associati divengano protagonisti della produzione della loro vita).

Karl Marx lo fa scrivendo e poi diventando caporedattore della Gazzetta renana (Rheineische Zeitung); scrivendo sugli Annali franco-tedeschi; collaborando alla Gazzetta tedesca di Bruxelles (1848); poi da direttore della Nuova Gazzetta Renana, che diviene l’organo della Lega dei comunisti (1848).

Così fanno i Bolscevichi:
Lenin fonda nel 1900 l’Iskra, organo del Partito socialdemocratico russo e Zarja, rivista teorica marxista; Trockij fonda la Pravda, nel 1908; nel 1917 esce l’Izvestia, organo del soviet di Pietrogrado.

Antonio Gramsci, scrive centinaia di articoli sul Grido del popolo (1914), settimanale socialista torinese; fa parte della redazione torinese dell’Avanti (1915); fonda La città futura (1917) e quindi l’Ordine nuovo(1919), che diviene l’organo dei Consigli di fabbrica; fonda l’Unità (1924).

Palmiro Togliatti, tornato dall’esilio (1944) fonda Rinascita (sull’asse De Sanctis, Labriola, Gramsci e conta su collaborazioni come quelle di Saba, Vittorini, Quasimodo, Guttuso); ripubblica l’Unità, uscita dalla clandestinità dopo il ’45; fonda Critica marxista (rivista teorica del Pci).

Va dunque battuta la fatalistica rassegnazione, che porta inesorabilmente ad un più generale disarmo politico, secondo cui le difficoltà economiche sono nel presente tali da consegnare Rifondazione, cioè i comunisti, al silenzio.
Molte cose si possono fare ugualmente, attingendo ai saperi diffusi, alla disponibilità volontaria e appassionata di tanti militanti, vincendo l’inconfessabile convinzione, spesso emergente anche fra le nostre file, che noi siamo dalla parte del torto.

BIBLIOGRAFIA

Edgardo Pellegrini, L’informazione negata, Laterza
Mario Portanova, Dichiarazia, Bur Rizzoli
Oliviero Beha, I nuovi mostri, Chiarelettere
Oliviero Beha, Dopo di lui il diluvio, Chiarelettere
Victor Ciuffa, Il corrierista (razza di giornalisti non ancora estinta), Ciuffa editore
Cosmo Giacomo Sallustio, Informazione manipolata dalle lobby, Edizioni Movimento Salvemini

 

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