di Imma Barbarossa –

Comincerò, come usano gli accademici, con una citazione. Si tratta di un frammento del VII secolo avanti Cristo, attribuito alla poeta greca Saffo:
C’è sull’alto di un ramo /alta sul ramo più alto / una mela rossa. / Dai coglitori fu dimenticata. / Dimenticata? No, non fu raggiunta.
Senza voler fare forzature e senza attribuire a Saffo teorie femministe pensate e costruite nel pieno della rivoluzione industriale e nel cuore del capitalismo, c’è in quel frammento ( e nella pratica separatista amorosa della poeta e delle sue allieve) l’orgoglio della distanza. Direi della estraneità. La mela rossa – da sempre icona della sessualità femminile (e della sua traduzione esistenziale) – non si fa raggiungere, resta bene in vista, ma non contaminata da un coglitore distratto o predone. Se dovessi nominare una cifra comune della pratica femminista, mi sento di individuarla nella faticosa, dolorosa,ma necessaria, scoperta dell’estraneità. E nelle varie modulazioni di questa estraneità.
In una polis che non dava spazio alle donne,dentro forme culturali che non davano parola, c’era bisogno di un tempo di costruzione di sé come soggetto individuale e collettivo,perché la critica del patriarcato potesse prendere forma, consistenza, spessore materiale e profondità simbolica.
Si tratta di un’estraneità, di un fuori che si fa tutto politico in un’altra grande (e mitica) figura di donna, Cassandra, nella rilettura di Christa Wolf (in Italia nel 1984), cinque anni prima dell’’89. La città di Troia, mitica raffigurazione della città ideale – quale avrebbe potuto essere la società socialista -, si fa occhiuto stato di polizia, regime dove persino lei, la principessa, la sacerdotessa di Apollo, viene spiata e controllata. Ebbene, Cassandra ritrova se stessa ritirandosi presso le donne dello Scamandro, una sorta di comunità femminile separatista. Lì impara a dire di NO a suo padre,a sottrarsi alle logiche spietate della guerra. Lì impara che c’è un’altra storia,quella che si tramanderanno le donne, quella che scrivono sui muri delle caverne dove si sono ritirate, quella storia che parlerà della guerra dei maschi come di un grande imbroglio.
La tradizione letteraria, come ogni branca del sapere e della cultura, ci ha tramandato una quantità enorme di scritti di uomini. Le donne per lo più erano analfabete, non avevano alcun bisogno di scrivere, non avevano nulla da tramandare, non vivevano lo spazio pubblico. Lanam fecit, domum servavit.(Lavorò la lana, ebbe cura della casa): è una iscrizione funeraria sulla tomba di una “domina”, una matrona romana del cui sposo, ovviamente, si decantano virtù e doti eroiche, conquiste, cariche politiche e militari, vittorie in guerra. Si citano, tuttavia, eccezioni: donne dal coraggio virile, come la romana Clelia, spose integerrime come Lucrezia, moglie di Collatino che, essendo stata stuprata, preferì darsi la morte piuttosto che presentarsi allo sposo il cui onore era stato macchiato dallo stupro della moglie. Le vere eccezioni sono le poche donne intellettuali, le poete, le filosofe, le matematiche: Saffo, Diotima, Ipazia.
La terza, ed ultima, citazione incontra un testo sacro della filosofia di tutti i tempi, il Simposio di Platone. Qui Socrate, uno dei protagonisti del dialogo, prende la parola per parlare del tema oggetto del dibattito, l’eros. E riferisce quanto gli ha detto una maestra d’amore, (qui si parla di filosofia che alla lettera significa amore per la sapienza),una donna di Mantinea, Diotima che, in quanto donna, non può essere invitata al simposio e, dunque, parla per bocca di Socrate, usando metafore inerenti al parto, al figliare, al mettere al mondo. Com’è noto, il testo platonico è la quintessenza dell’esaltazione dell’amore fra uomini, non destinato a perpetrare la specie ma a partorire l’amore per il bello, per la sapienza, per la sophia. Si compie con Platone quello che nella cultura occidentale potremmo chiamare matricidio, costruzione culturale e simbolica che ha origine e forma proprio nell’Atene del V° secolo avanti Cristo, proprio con Platone e con quella grandiosa forma letteraria maschile che è la tragedia greca. Sulla base dei miti ( Zeus partorisce dal cervello Atena, Zeus ingravida Selene ma subito dopo la incenerisce, le toglie il feto, lo mette nella sua coscia maschile e poi lo partorisce (sarà Dioniso), Oreste che uccide la madre e di fronte alle Erinni viene difeso da Apollo in quanto la madre è solo un contenitore del seme maschile che è quello che dà la vita), Platone ci consegna la codificazione della riduzione all’insignificanza a cui il pensiero maschile ha condannato le donne. Diotima per bocca di Socrate decreta la superiorità dell’eros tra uomini e la riduzione del sapere femminile alla riproduzione della specie, ossia a tramandare la genealogia maschile.
Quanti secoli di vero e proprio oscuramento hanno dovuto attendere le donne prima di costruirsi come soggetto autonomo!
Infatti il femminismo non è un’ideologia, ma è la teoria e la pratica politica di un movimento che nasce nel pieno della rivoluzione industriale in Inghilterra e in Francia con la Rivoluzione francese. La cosiddetta prima ondata si basa sulla uguaglianza formale sulla richiesta degli stessi diritti degli uomini: è il cosiddetto femminismo emancipazioni sta,di cui c’è un’eco nella nostra pur avanzata Costituzione: senza distinzione di sesso. Le donne chiedono alle istituzioni governate dagli uomini di poter ottenere gli stessi diritti. Ma anche in questa prima ondata c’è la consapevolezza che non si tratta di entrare da ospiti più o meno indesiderate nella cittadella maschile, ma di combattere un ordine materiale e simbolico,il patriarcato, che tende a stabilire una divisione di ruoli (pubblico/privato, storia/natura) e a esercitare il potere sulle donne anche con l’affetto, con l’eros, spingendole alla complicità: “Gli uomini, tranne i più brutali, non vogliono schiave, vogliono donne che amano essere loro schiave”(Arendt). E ancora:”L’uguaglianza per natura, di tipo illuministico, è un potente strumento di marginalizzazione delle donne, in quanto le priva della politica, ossia del senso della libertà”(Arendt).
Sarà Virginia Woolf (in Le tre ghinee) a “osare” di mettere in discussione il carattere maschile persino dell’antifascismo (solo la terza ghinea sarà donata al movimento contro il nazismo, le prime due saranno donate a un collegio di ragazze povere e alla istruzione delle donne).
Comincia la seconda ondata, da de Beauvoir, che si articola nei femminismi della differenza. Autocoscienza, separatismo, orgoglio lesbico, pensiero della differenza, fino al soggetto nomade e alle teorie si snodano in Occidente, sia nella società anglosassone che in Francia e in Italia. Questi femminismi si confrontano con filosofi come Derrida, Foucault e Deleuze, con la teoria dell’”altro”,con il decostruttivismo. Si cimentano con la letteratura, con il cinema e le arti, ma soprattutto con quelle che sono le costruzioni forti del pensiero maschile (filosofia e diritto) e del pensiero politico maschile (il liberalismo, il marxismo).Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi (1970) è sicuramente il testo più significativo di decostruzione delle teorie politiche maschili.
Ma la novità degli ultimi decenni del ‘900 si può trovare da una parte nella negazione della “identità” fissa e nel soggetto nomade (De Lauretis, Bradotti, Butler), dall’altra nella letteratura postcoloniale (bell hooks, Gloria Anzaldua, Audre Lorde) che rivendica la complessità del femminismo nero (classe/genere/razza) rispetto a quello occidentale.
I femminismi sono tanti,ormai: quello indiano, l’ecofemminismo, quello islamico. Come pure si sono affermati all’interno del cristianesimo il femminismo cattolico (la rivista “Concilium”) e quello evangelico che si richiama anche alla teologia della liberazione. E’ impossibile qui parlarne, d’altronde c’è una bibliografia vastissima in merito. Mi preme qui parlare di quanto c’è di comune in queste elaborazioni e teorie femministe. Il femminismo nasce da un movimento reale di liberazione, nasce da un conflitto atipico, il conflitto di genere (anche con chi si ama). Quindi un conflitto che non distrugge, che non punta al potere. L’emancipazione è condizione non sufficiente: “mancipium” è un qualcosa (di genere neutro in latino) che riceve la libertà dal padrone. Il movimento delle donne ha posto come suo fondamento (e obiettivo) la costruzione di un soggetto autonomo sessuato. Asimmetrico. Non uguali agli uomini,ma differenti e con pari diritti. Il pensiero delle donne si è affermato in un contesto dominato (ed egemonizzato) da un maschile che si è fatto assoluto nella società,nella politica, nella cultura (filosofia,scienza,arti), nel diritto, nella religione. Ha dovuto farci i conti, cercando di collocarsi nel pensiero liberale, nella teoria marxiana, nel pensiero maschile della differenza, nelle lotte anticoloniali, nella teologia, nell’islam. Ne sono venuti fuori tanti femminismi. Alcuni cercano nel pensiero maschile dei “contenuti” (leggi di parità, accesso alle istituzioni etc.), altri vanno alla ricerca di fonti nelle parti non segnate dal maschile( Bibbia, Vangeli); altri cercano l’’alleanza’ con i vari proletariati e/o movimenti di liberazione nel mondo, altri ancora nei movimenti ecologisti che di fatto ‘naturalizzano’ le donne, altri ancora hanno enfatizzato la differenza femminile come essenza ontologica. Per quanto mi riguarda, consapevole come sono che la tradizione comunista (e il suo movimento storico) è una tradizione patriarcale, non cerco quello che i “sacri testi” non possono darmi, ma cerco nel movimento delle donne la mia tradizione. Certo la libertà femminile non è un fiore di serra e non nasce in contesti di disuguaglianza sociale, di tirannide, di dittatura. Tuttavia il marxismo non è solo un contesto per me,è anche una indicazione metodologica (la critica dell’assoluto e delle libertà formali), nonché un potente strumento di critica dell’esistente. A condizione che le donne si facciano soggetti della loro liberazione e sviluppino una critica pratica di ogni patriarcato, anche di quello della ‘loro’ storia.

 

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