grecia_143112118421 settembre 2015 –

Tsipras ha vinto le elezioni in Grecia, con oltre il 35% dei voti. Eppure tra la vittoria elettorale del 25 gennaio e quella del 20 settembre sembrano essere passati non pochi mesi, ma secoli.
L’astensione ha raggiunto il 45% degli aventi diritto al voto. Praticamente tutti i partiti perdono voti, ma chi ne è più colpita è Syriza, abbandonata da oltre 300mila elettori.
Se il 25 gennaio si percepiva una sensazione elettrizzante di fiducia e speranza, oggi per le strade di Atene regnano demoralizzazione e disillusione. Se quella notte i festeggiamenti erano in una Piazza Syntagma stracolma, ieri Tsipras ha parlato in una piazza secondaria della capitale, oltretutto semivuota.
Quando Syriza era andata al governo per la prima volta, i primi ministri e i tecnocrati di mezza Europa avevano sudato freddo, preoccupati. Ancora a luglio attaccavano senza pietà Tsipras, quando aveva osato convocare il referendum contro i diktat della troika. Oggi, da Dijssembloem a Hollande passando per il tedesco Shultz, si sono tutti affrettati a fare i complimenti a Tsipras: “Finalmente un governo forte per portare avanti le riforme”. La borghesia europea infatti non si è scordata che Tsipras ha dovuto convocare elezioni anticipate dato che aveva perso la sua maggioranza in Parlamento, dopo che aver capitolato davanti alla troika, disatteso il programma elettorale e cancellato la vittoria del No al referendum del 5 luglio. Tsipras a queste elezioni si è presentato con un programma ben diverso: quello del rispetto dei tre memorandum che ha accettato o firmato, che prevedono austerità praticamente senza fine.
Memorandum che aggravano una situazione economica già devastante. La disoccupazione aumenterà al 30% alla fine del 2015, il Pil crollerà del 4% all’interno di una previsione di una contrazione del 12,5% per il triennio 2015-17 (fonte: Financial times). Secondo l’accordo firmato ad agosto a Bruxelles, l’80% delle misure concordate (127 leggi) deve essere approvato entro l’anno. Alcune sono già state introdotte: l’aumento dell’Iva, i tagli alle pensioni e l’inizio delle privatizzazioni che hanno già portato alla svendita degli aeroporti regionali.
Pensare, come fanno molti a sinistra, che Tsipras potrà avere oggi maggiori margini di manovra per smarcarsi dalle pressioni del capitalismo greco e internazionale, significa vivere di illusioni.
Non ci sarà un secondo tempo nelle trattative, la partita è stata truccata fin dall’inizio dalla borghesia europea.
“I compiti davanti al nuovo governo saranno ancora più duri di quelli che hanno dovuto affrontare tutti i governi greci dall’inizio della crisi”, spiega un editoriale del Financial Times del 21 settembre. C’è ben poco da festeggiare, insomma.
La classe dominante ha compreso che solo Tsipras ha oggi la possibilità di portare avanti le misure concordate con Bruxelles. Nessuno, nel campo dei partiti della borghesia, può garantire la medesima affidabilità, tanto più dopo questo risultato elettorale. Nemmeno all’estrema destra: Alba dorata non supera il 7%.
Le elezioni hanno dimostrato anche che la maggior parte dei giovani e dei lavoratori non vedono oggi alcuna alternativa credibile alla sinistra di Tsipras
Nessun partito alla sua sinistra è riuscito a rappresentare in maniera significativa la radicalizzazione espressasi nelle giornate attorno al 5 luglio, quando il 61% dei greci ha votato no al referendum e in centinaia di migliaia erano scesi in piazza.
In quel momento, di ascesa della lotta di massa, quando Tsipras ha tradito il movimento firmando il Terzo memorandum, solamente sette giorni dopo il voto, nessuno è riuscito a fornire un’alternativa di lotta alle masse. Il Partito comunista greco si è tenuto volutamente ai margini dello scontro referendario, proponendo un voto di astensione. Il settarismo dimostrato in quei giorni (e non solo) si riflette oggi sul terreno elettorale, dove il Kke rimane sostanzialmente stabile.
Le responsabilità più grandi a sinistra ricadono tuttavia sulla Piattaforma di sinistra, la principale opposizione all’interno di Syriza capeggiata dall’ex ministro delle risorse energetiche Lafazanis.
Subito dopo la capitolazione di Tsipras questa tendenza avrebbe potuto conquistare la maggioranza del partito. Il primo ministro era isolato e il Comitato centrale aveva richiesto di non sottoscrivere il memorandum.
La Piattaforma di sinistra ha preferito non disputare la leadership di Tsipras ed è caduta in pieno nella trappola preparata quest’ultimo. Lafazanis ha accolto la convocazione di elezioni anticipate e lo slittamento del congresso straordinario del partito come un fatto compiuto, operando la scissione dal partito senza combattere realmente. D’altra parte, per tutti i mesi in cui è stato ministro Lafazanis non si è mai differenziato dalle scelte dell’esecutivo.
Unità popolare si è trovata a competere con Syriza sul terreno più sfavorevole, in una campagna elettorale organizzata in fretta e furia e con concorrenti nel campo antiausterità, come il Kke, con una tradizione ben maggiore. Ed è stata sconfitta: con il 2,87% non raggiunge il quorum e non avrà seggi in parlamento. Un partito non si improvvisa in quattro settimane.
Il problema principale per Lafazanis e per l’ex presidente del parlamento Kostantopoulou è stato tuttavia politico. Unità popolare ha deciso di essere considerata come il partito che difendeva il programma di Salonicco, quello presentato da Syriza alle elezioni di gennaio. Questo programma ha svelato tutta la sua natura fallimentare in questi ultimi mesi. Non è stato possibile trovare un compromesso con la troika e nessun governo europeo è arrivato in soccorso di Atene, tanto meno la Bce di Draghi.
La realtà è che Lafazanis e i suoi non potevano presentarsi in maniera credibile come un alternativa a Tsipras perché difendono una prospettiva e un programma simile, quello secondo cui è possibile riformare il sistema capitalista. “Se non ce l’ha Syriza, perché ce la deve fare Lafazanis” si devono essere chiesti in molti.
Su una cosa divergono: mentre per Tsipras il capitalismo si può cambiare a livello europeo, per Lafazanis si può trasformare in Grecia, attraverso un ritorno alla sovranità nazionale e l’uscita dall’euro. L’adozione di una propria moneta avrebbe “rafforzato la base produttiva” e “l’indipendenza nazionale”, secondo il programma di Up. Anche qui viviamo nel campo delle illusioni, di chi crede che i padroni greci possano cominciare a investire di nuovo solo perché hanno in mano delle dracme o che la borghesia internazionale scenda a più miti consigli di fronte a un moto d’orgoglio di un governo nazionale.
La Grecia fornisce dunque importanti lezioni a chi ha occhi per vedere e orecchie per ascoltare.
Non è possibile alcun “piano B” né alcuna soluzione riformista all’interno dell’economia capitalista. Chi ci prova viene distrutto o piegato alla volontà del capitale senza tanti complimenti, si chiami Tsipras o Varoufakis. Chi sinceramente vuole le riforme, può conquistarle solo attraverso una lotta rivoluzionaria.
L’alternativa, oggi più che mai, non è tra euro e dracma ma tra Europa capitalista e rivoluzione socialista.
Tali lezioni sono importanti anche e soprattutto perché la strada per Tsipras è tutt’altro che in discesa. Il nuovo governo Syriza – Anel nasce indebolito e con una maggioranza più risicata rispetto a gennaio.
I partiti che il 20 agosto hanno votato per il memoradum il 20 agosto hanno perso un milione e 100mila voti. Le urne ci consegnano una fotografia della situazione attuale: le masse sono esauste dopo anni di lotte e si sentono deluse dai propri partiti, a cui sono disposte a fornire al massimo un appoggio passivo.
Le controriforme che Tsipras dovrà portare avanti da domani produrranno un effetto pesante sulle condizioni di vita delle masse greche. Quando rialzeranno la testa e torneranno alla lotta, molto probabilmente insieme ai lavoratori di altri paesi d’Europa, lo faranno dopo aver fatto tesoro dell’esperienza di un governo riformista. La lotta di classe in Grecia non è finita: si ripresenterà a un livello superiore.
Chi, nelle fila nel movimento operaio, saprà comprendere le ragioni della sconfitta del riformismo, sia di “destra” che di “sinistra” potrà essere all’altezza di fornire una direzione rivoluzionaria al conflitto di classe che incombe, in Grecia come nel resto d’Europa.

 

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