
L’egemonia della destra in Italia, intervento alla Festa dei lavoratori delle Alpi, a Grenoble
Pubblicato il 29 giu 2025
Stefano Galieni*
Il testo che segue, per un dibattito che si è tenuto sabato 27 giugno, era quello che avevo preparato per facilitare l’interprete, interlocutore e compagno, Grégoire Le Quang. In realtà poi, anche per rendere più vivace la discussione col vasto pubblico presente, nonostante il caldo in una gran bella festa, abbiamo preferito procedere a braccio e dialogare con i tanti che hanno posto domande. Il contenuto di fondo resta però questo.
In Francia e non solo, la presenza in Italia di un governo come quello guidato da Giorgia Meloni, sta provocando un forte dibattito. Si teme che, con le prossime elezioni presidenziali Marine Le Pen, o chi per lei, ne possa costituire un esempio. I giornali conservatrici anche mainstream, spesso pubblicano lunghi articoli in cui esaltano le doti di una “ex sovranista” che risponde perfettamente ai valori della destra capace di essere contemporaneamente pr
È comodo e consolatorio, pensare che il governo Meloni e la sua impronta fascistoide, siano un fatto accidentale. Urge partire da una riflessione se pure non esaustiva, su quanto avvenuto in Italia, negli ultimi decenni. La fine della divisione del mondo in blocchi avviene, da noi, contemporaneamente a modifiche sociali e nel mondo del lavoro. Già negli anni Ottanta partiva la “modernizzazione”. Ovvero la rottura dei vincoli sociali e politici garantiti dai corpi intermedi, i sindacati, i partiti politici, la rinuncia ai conflitti, portava ad una fede individualista verso il mercato, come regolatore della gestione dei profitti e della loro distribuzione. Il nuovo scenario mondiale non era più compatibile con una democrazia basata sulla mediazione fra parti sociali, che trovava i propri fondamenti nella Costituzione, in una repubblica parlamentare che salvaguardava la rappresentanza.
Gli anni Novanta videro i partiti di massa, devastati dalle inchieste per corruzione e inadeguati ad affrontare il cambiamento. Dopo lo scioglimento del PCI, il più grande partito comunista d’Europa, si sgretolarono le altre forze politiche e prevalse un sistema elettorale maggioritario che ridusse gli spazi di democrazia. Fece seguito la “stagione delle stragi” di cui furono responsabili non solo le organizzazioni mafiose ma che coinvolsero ambienti istituzionali e, da quanto emerge dalle indagini, manovalanza dell’estrema destra eversiva mai dissolta.
Nel frattempo la destra nostalgica del Movimento Sociale Italiano, nato nel 1946 con simbologia (fiamma tricolore) e riferimenti ideologici della Repubblica Sociale Italiana, si trasformava per rendersi “rispettabile”. Nel 1995, diventa Alleanza Nazionale, il suo leader di allora, Gianfranco Fini, non ebbe timore nel definire il fascismo il “male assoluto”. Intanto nelle sezioni si continuarono a tenere simboli del regime, labari e busti di Mussolini. Nasce una nuova / vecchia, destra che inizia a scavare nel profondo, nei disagi di una società priva di risposte ai bisogni delle persone, in cui crescono paura, disorientamento, solitudine, rancori e rabbie.
Il cammino inizia nei raduni dei giovani missini che, strumentalizzando Tolkien, realizzano i “Campi Hobbit”, producono musica, si ergono a portatori di controcultura rispetto alla produzione commerciale che riempie il mercato. Si leggono e si editano i testi di un mondo in cui collimano nostalgie del Ventennio, intellettuali che richiamano ad un superamento spirituale della contrapposizione destra / sinistra e in cui Evola, Guenon, Drieu La Rochelle e De Benoist, ricevono la stessa considerazione di Gramsci. La generazione che matura in quegli ambienti, oggi occupa posti fondamentali nel governo, nazionale e locale del Paese, e ha questa cultura, in cui si mescolano autoritarismo, ideali di Stato etico, etnicamente bianco e suprematista, misogino e patriarcale. Un complesso miscuglio in cui il culto tradizionalista convive con un presente scandito dal militarismo, dalla musica nazirock, dai legami con un mondo intriso di esoterismo pagano o di oscurantismo cattolico, senza alcuna contraddizione. Si producono riviste, nascono case editrici in cui, si sdoganano i peggiori esempi della storia nazifascista e si lasciano entrare, con una lettura patriottica e de ideologizzata, Che Guevara, lotte di liberazione popolari come quelle palestinesi e irlandesi, il nazionalismo in ogni forma e persino l’islam khomeinista, esempio di lotta anti imperialista, i combattenti talebani. L’Urss non c’è più, la “minaccia comunista” o è minoritaria o ha abbandonato persino le propensioni socialdemocratiche. La destra che oggi è di governo, cerca di colmare un vuoto e di proporre una propria egemonia.
È un mondo che non è mai stato unito, se non nelle rituali adunate in omaggio a camerati morti o a celebrazioni mussoliniane, un arcipelago dove si cerca di superare il funereo immaginario nostalgico senza perdere le radici. Un percorso che si è rivelato fruttuoso, ha portato ad aggregare giovani, a costruire radicamento anche nelle periferie abbandonate. I loro ideologi, per quanto privi di grande spessore culturale, recuperarono tanto le intuizioni – poi non attuate – di destra sociale e di culto della patria, quanto i primi virulenti segnali di razzismo diffuso che emergevano in seguito al fatto che l’Italia ricca era paese di immigrazione.
Negli anni Novanta e poi nei primi anni Duemila, avvengono altri e forti sommovimenti. Intanto si continuano ad erodere diritti nel mondo del lavoro, cresce il precariato, aumentano le forme contrattuali prive di tutele, si rompono i meccanismi solidali all’interno dei luoghi di produzione. Inizia ad allargarsi la forbice fra chi è più ricco e chi fatica ad arrivare a fine mese, si sfarina il tessuto sociale.
Quello che viene chiamato “berlusconismo”, dal fondatore di Mediaset, che nel 1994 era entrato prepotentemente in politica, è un nuovo modo di stare al mondo fondato sul consumo, l’edonismo, la mercificazione delle persone, in particolare delle donne, il rifiuto di qualsiasi valore culturale che non determini profitto.
La destra sedicente “nazional rivoluzionaria” convive con questo modello sociale e imprenditoriale in cui non esiste mediazione fra chi comanda e chi lavora. È l’epoca dell’attacco ai sindacati considerati “inutili e obsoleti carrozzoni”. L’anti politica si forma dall’inizio contro chi rappresenta il movimento operaio, depotenziare i sindacati rimanda a quanto accadde nel fascismo originale. Indicare poi nel comunismo (che mai ha governato l’Italia), come la fonte di tutti i mali è la sintesi del periodo in cui Berlusconi è stato il dominus del Paese. Non c’è stato bisogno di manganello o di olio di ricino, la popolazione italiana era già anestetizzata dalle tv non solo di Mediaset, ha goduto e pensava di poter continuare a godere di un relativo benessere, ha considerato il “Cavaliere” (Berlusconi) come modello di vita a cui aspirare. Il vincente da imitare nella vita. Si affermava un pensiero unico. Il decadimento suo e del suo Partito, (Forza Italia), non ha portato a cambiamenti ma ha accelerato la rivoluzione passiva. Prima si è imposta una forza genericamente antisistema come il M5S, priva di programmi che aveva come solo obiettivo l’odio verso i partiti. Oggi il M5S, più senza il comico fondatore, ha una impronta progressista nelle istituzioni. Poi hanno ripreso vigore due forze, diverse nella forma ma concorrenziali nella sostanza. La Lega Nord, del senatore Bossi è stata trasformata dal successore, Matteo Salvini, in un partito nazionale e reazionario, la cui identità si è fonda sulla lotta all’immigrazione e sulla salvaguardia delle regioni ricche del Nord. Alleanza Nazionale, ha ridefinito una propria autonomia e guidata da Giorgia Meloni si è trasformata in Fratelli d’Italia, sull’antico motto “Dio, Patria e Famiglia”.
Fratelli d’Italia, nel cui simbolo permane la fiamma tricolore e i cui dirigenti non si definiscono antifascisti, insieme a Salvini e a Forza Italia governano il Paese e rappresentano l’esperienza più reazionaria dell’Italia repubblicana.
Si comincia a reagire, con difficoltà, anche perché sono cambiati gli scenari interni e internazionali. È crollata, in maniera verticale, la credibilità verso l’intero sistema e verso la politica tutta. L’astensionismo al voto supera il 50% e regna un clima di disaffezione. Grazie ad una assurda legge elettorale, maggioritaria, voluta anche dalla sinistra moderata, Giorgia Meloni governa il Paese col consenso di meno di un quinto del Paese. C’è una crisi democratica a cui da destra si risponde chiedendo maggiori poteri, invocando il premierato, ovvero l’elezione diretta di un Presidente del Consiglio, accelerando la corsa all’autoritarismo. Sempre per scelte fatte a suo tempo da governi “progressisti”, si è ristretto il pluralismo dell’informazione. Il servizio pubblico radiotelevisivo risponde alla compagine governativa. Il Parlamento, dimezzato nel numero dei componenti grazie all’ennesima legge demagogica, non svolge alcun ruolo se non quello di ratificare le scelte dell’esecutivo. Diventerà a breve legge un “decreto sicurezza” con cui si istituiscono 14 nuovi reati penali che promettono carcere per chi, anche durante uno sciopero, blocca una strada, resiste in maniera passiva alle forze dell’ordine, occupa una casa per necessità. Un intervento preventivo atto ad intimidire chi intende opporsi al governo, ma anche l’ultimo di una lunga lista di provvedimenti che mirano a mutare anche il rapporto fra Stato, cittadini e cittadine.
Tv e media mainstream, in mano a potenti gruppi economico finanziari, esaltano questa visione del vivere civile basata sul law and order. Una misera menzogna atta a scacciare e a schiacciare, povertà e dissenso, utilizzando una esasperazione patologica della paura dell’altro, in particolare dell’immigrato, di chi vive in condizioni di marginalità. Lo Stato penale si sostituisce allo Stato sociale e tale progetto, come in altri paesi europei, ha fatto presa fra le classi popolari, nel proletariato che vive nelle periferie di città lasciate prive di servizi essenziali. Invece di unirsi per porre rimedio a tale abbandono, si cerca il responsabile fra chi ha meno strumenti per difendersi.
Il governo Meloni è nato poi mentre la guerra diventava elemento strutturale dell’economia e della vita nel pianeta. L’invasione in Ucraina, il genocidio in Palestina, l’aggressione di Israele prima e degli Usa poi, all’Iran sono i tasselli più recenti di un mondo multipolare in cui sono attivi 57 conflitti che, nell’anno passato hanno determinato 122,5 milioni di rifugiati. Se il fascismo come storicamente conosciuto, nasceva come propulsore di una strategia bellicista che condusse al Secondo conflitto mondiale, quello di oggi esiste con le guerre già in corso, in queste trova consenso, di queste si nutre. La stessa impronta sovranista e nazionalista che avevano fino a pochi anni fa le principali forze di maggioranza oggi è sparita. L’Italia ha perso ogni ruolo nella politica estera nel Mediterraneo, dedicandosi solo alla difesa dei confini dai richiedenti asilo e divenendo vassalla dell’amministrazione Trump, senza peraltro trarne alcun beneficio per gli interessi nazionali.
La ragione è da ricercarsi anche in coloro che sono i principali sostenitori dell’attuale governo: l’industria delle armi e, più in generale gli imprenditori che mirano a raggranellare il massimo del profitto col minimo rischio. Altro che “destra sociale”, la stessa idea di flat tax permette ai potentati economici di pagare meno tasse, i continui condoni con cui si sanano evasioni ed elusioni sono la vera pacchia per chi continua a guadagnare risparmiando soprattutto sul costo del lavoro – si ricorda che l’Italia ha oramai i salari più bassi d’Europa – e sulla precarizzazione della manodopera, a colpi di delocalizzazione della produzione, di privatizzazione e esternalizzazione dei servizi. Insomma, come cento anni fa, a governo fascista corrisponde un padronato predatorio e privo di prospettive per il futuro ma intenzionata a capitalizzare l’attuale fase anche in un contesto di guerra.
Per opporsi c’è molto da fare.
Il contrasto alla guerra e al riarmo sono un punto imprescindibile perché rafforza gli spazi di alternatività al governo e alle forze che lo sostengono. Il movimento per la pace può giocare un ruolo fondamentale. Un altro percorso si è aperto con una campagna referendaria che si proponeva di migliorare leggi sul lavoro e sull’accesso alla cittadinanza. Non si sono ottenuti i risultati sperati ma, ha visto partecipare 15 milioni di persone, in opposizione alla passivizzazione e ad un invito all’astensionismo dei principali leader di governo. Sono timidi segnali per una necessaria ricomposizione di classe, unico antidoto contro una destra autoritaria, suprematista intenzionata a riportare indietro le lancette della storia. Occorre però che a questi propositi si accompagni una reale discontinuità col passato, basata sui contenuti. Per ricostruire la connessione sentimentale con la nostra classe, urge anche praticare un profondo lavoro di ricerca, di ascolto, di comprensione di quanta disperazione, disagio, disillusione alberghi nel Paese. Un percorso lungo in cui, come Rifondazione Comunista dobbiamo, nello stesso tempo, definire convergenze ampie e riaffermare una nostra autonomia di analisi teorica e una prassi di condivisione politica e sociale, soprattutto laddove è calata la nostra presenza. Siamo da 17 anni fuori da ogni rappresentanza istituzionale nazionale. Riacquistare un ruolo, per riaffermare le comuni radici antifasciste, sostanziando tale valore, significa ridare spazio e dignità alla partecipazione politica e sociale. E occorre, non solo da noi, una cultura politica che porti ad elaborare una visione di società radicalmente alternativa a quella dominante, fondata sull’eguaglianza, sulla solidarietà, sui diritti di chi lavora, sulla salvaguardia ambientale, sulla lotta al razzismo, al patriarcato, al colonialismo di cui è intriso il presente. Una sfida a cui non possiamo sottrarci, oggi, per chi è comunista, un altro mondo non è possibile, è necessario.
*Coordinatore della Segreteria nazionale di Rifondazione Comunista, responsabile immigrazione.
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