Discorso pronunciato da Marta Harnecker a Caracas il 15 agosto in occasione del ritiro del Premio Libertador 2013 per il Pensiero Critico*, assegnatole per il libro Un mundo a construir (nuevos caminos). Una testimonianza interessante dell’ispirazione che anima quello che è stato definito “il socialismo del XXI secolo”. Il Premio è stato istituito da Hugo Chavez e “pone in evidenza opere tralasciate dal mercato editoriale”.
Marta Harnecker, sociologa e giornalista cilena, allieva negli anni ‘60 di Althusser, nel corso degli ultimi decenni è stata una delle più importanti intellettuali della sinistra latinoamericana. E’ stata direttrice della rivista di sinistra “Chile Hoy” durante il governo di Allende, direttrice del centro di ricerca Memoria Popolare Latinoamericana a L’Avana, e del Centro Internazionale Miranda a Caracas. Ha pubblicato più di 80 libri ma in Italia ne è stato tradotto uno solo nel 2001.
Ho completato questo libro un mese dopo la scomparsa fisica del presidente Hugo Chávez, senza il cui intervento nella storia dell’America Latina questo libro non avrebbe potuto essere scritto. Molte delle idee che ho esposto in esso sono legati in un modo o nell’altro al leader bolivariano, alle sue idee ed azioni, sia a livello interno che a livello regionale e globale.
Nessuno può negare che ci sia una grande differenza tra l’America Latina che Chávez ha ereditato e l’America Latina che ha lasciato per noi oggi.
Ecco perché ho dedicato il libro a lui con le seguenti parole:
Al Comandante Chávez, le cui parole, orientamenti e esemplare dedizione alla causa dei poveri servirà da bussola per il suo popolo e tutti i popoli del mondo e sarà il miglior scudo per difenderci da coloro che cercano di distruggere questo meraviglioso lavoro che ha cominciato a costruire.
Quando Chávez trionfò alle elezioni presidenziali del 1998, il modello capitalista neoliberista già cominciava a vacillare. La scelta quindi era tra rifondare questo modello, senza dubbio con alcune modifiche, come una maggiore attenzione per le questioni sociali, ma ancora motivato dalla stessa logica della ricerca del profitto, o avanzare nella costruzione di un altro modello. Chávez ha avuto il coraggio di prendere la seconda strada e ha deciso di chiamarlo “socialismo”, nonostante la connotazione negativa che aveva. E specificò che si trattava di “socialismo del 21° secolo”, per differenziarlo dal socialismo di stampo sovietico che era stato attuato nel 20° secolo. Si trattava di non “cadere negli errori del passato”, nelle stesse deviazioni “staliniste” che burocratizzarono il partito e finirono con l’eliminazione della partecipazione popolare.
La necessità del protagonismo popolare è stata una delle sue ossessioni e fu la caratteristica che distinse le sue proposte da altri progetti socialisti nei quali lo Stato risolveva tutti i problemi e la gente riceveva benefici come se fossero regali. Chávez era convinto che il socialismo non può essere decretato dall’alto, che deve essere costruito con la gente. E ha anche capito che la partecipazione da protagonisti è ciò che permette alle persone di crescere e ottenere fiducia in se stesse, cioè, di sviluppare se stessi come esseri umani.
Ricordo sempre la prima trasmissione di Alò Presidente, di carattere più teorico, che è stata trasmessa l’11 giugno 2009, quando Chávez citò ampiamente una lettera che Peter Kropotkin, l’anarchico russo, scrisse a Lenin il 4 marzo 1920:
Senza la partecipazione di forze locali, senza un’organizzazione dal basso degli stessi contadini e dei lavoratori, è impossibile costruire una nuova vita.
Sembrava che i soviet dovessero servire precisamente per compiere questa funzione di creare un’organizzazione dal basso. Ma la Russia si è trasformata in una Repubblica Sovietica solo di nome. L’azione dirigente del “partito” sulla gente … ha distrutto già l’influenza e l’energia costruttiva che avevano i soviet, queste istituzioni così promettenti.
Ecco perché molto presto ho creduto necessario distinguere tra il progetto socialista e il modello socialista. Intendevo per progetto le idee originali di Marx e di Engels, e per modello la forma in cui questo progetto si era materializzata nella storia. Se analizziamo il socialismo sovietico , vediamo che in quei paesi che hanno attuato questo modello di socialismo, che recentemente è stato denominato dal mio compagno Michael Lebowitz come ilsocialismo dei dirigenti e dei diretti sulla base di un modo di produzione avanguardista. In questo modello il popolo non erano più il protagonista, gli organi della partecipazione popolare furono trasformati in entità puramente formali, e il partito fu trasformato in un’autorità assoluta, l’unico depositario della verità che controllava tutte le attività: economiche, politiche, culturali. Cioè, quella che avrebbe dovuto essere una democrazia popolare fu trasformata in una dittatura del partito. Questo modello di socialismo, che molti hanno chiamato “socialismo reale”, è un modello fondamentalmente statalista, centralista, burocratico, dove il fattore mancante chiave è la partecipazione popolare.
Vi ricordate quando questo socialismo crollò e c’era tutto questo parlare della morte del socialismo e della morte del marxismo? Allora, Eduardo Galeano, scrittore uruguaiano che tutti voi conoscete, disse che ci avevano invitato a un funerale che non era il nostro. Il socialismo che era morto non era il progetto socialista per il quale avevamo combattuto . Quello che è successo in realtà aveva poco a che fare con il tipo di società che Marx ed Engel immaginavano che avrebbe sostituito il capitalismo. Per loro, il socialismo era impossibile senza il protagonismo popolare.
Le idee originarie di Marx ed Engels furono non solo distorte dalle azioni del regime sovietico e dalla letteratura marxista diffusa da questo paese nell’ambito della sinistra; esse furono anche svilite o semplicemente ignorate nei paesi al di fuori dell’orbita sovietica, data l’opposizione generata dal modello che si associava con il nome di socialismo. Non è comunemente noto che, secondo Marx ed Engels, la società futura che loro chiamavano comunista avrebbe favorito lo sviluppo integrale di tutte le potenzialità degli esseri umani, uno sviluppo che potrebbe essere raggiunto solo attraverso la pratica rivoluzionaria. La persona non si sviluppa per magia, si sviluppa perché lotta, perché trasforma. Marx diceva: trasformando le circostanze l’uomo trasforma se medesimo. Ecco perché Marx affermava che era naturale che i lavoratori con i quali la nuova società avrebbe cominciato ad essere costruita non sarebbero esseri puri dato che “il letame del passato” avrebbe pesato su di loro. Per questo motivo non li condannava ma piuttosto poneva fiducia in loro che si sarebbero liberati da questa eredità negativa attraverso la lotta rivoluzionaria. Lui credeva nella trasformazione delle persone attraverso la lotta, attraverso la pratica.
E anche Chávez, probabilmente senza avere letto queste parole di Marx, comprese questo. Nel suo primo “Theoretical Aló Presidente” l’11 giugno 2009, avvertì le comunità che devono stare all’erta per evitare il settarismo. Lui spiegò:
se ci sono persone, per esempio, abitanti che non partecipano alla politica, che non appartengono ad alcun partito, bene, non importa, sono i benvenuti.
Dico di più, se qualcuno dell’opposizione vive lì, chiamateli.. Lasciateli venire a lavorare, venire e dimostrare, essere utili, perché, bene, la patria è per tutti, dobbiamo aprire gli spazi. Vedrete che, attraverso la prassi molte persone trasformeranno se stesse, perché la prassi è ciò che trasforma una persona. La teoria è la teoria, ma la teoria non può toccare il cuore, le ossa, i nervi, lo spirito dell’essere umano e, in realtà, nulla cambierà. Non trasformeremo noi stessi leggendo libri.
I libri sono fondamentali, la teoria è fondamentale, ma dobbiamo metterla in pratica, perché la prassi è ciò che trasforma realmente gli esseri umani.
E d’altra parte non aveva nulla a che fare con il marxismo la pratica “collettivista” del socialismo reale, che sopprimeva le differenze individuali in nome del collettivo. Basta ricordare che, Marx criticava la legge borghese per il cercare di rendere le persone artificialmente uguali invece di riconoscere le loro differenze. Fingendo di essere uguale per tutti, il diritto borghese finisce per essere un diritto disuguale, diceva. Se due lavoratori raccolgono patate e uno raccoglie il doppio rispetto all’altro, deve pagarsi al primo il doppio rispetto al secondo? Il diritto borghese dice di sì, perché il primo ha prodotto il doppio. Quello che non prende in considerazione il diritto borghese è che il lavoratore che ha raccolto solo la metà quel giorno potrebbe essere stato malato, o che non è mai stato un forte lavoratore perché era sempre malnutrito durante la crescita, e quindi forse facendo lo stesso sforzo della prima persona era solo in grado di fare la metà.
Marx, d’altra parte, diceva che qualsiasi distribuzione veramente equa doveva tener conto delle esigenze differenziate delle persone. Di qui la sua massima: ” Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Un’altra delle idee di Marx, che è stata travisata tanto dalla borghesia quanto dalla pratica sovietica era la sua difesa della proprietà comune o collettiva. Cosa dicevano gli ideologi della borghesia? I comunisti (o socialisti) esproprieranno ogni cosa, il tuo frigorifero, la tua auto, la tua casa, ecc.
Quanta ignoranza! Né Marx né alcun comunista o socialista ha mai pensato di espropriare gli effetti personali delle persone. Quello che Marx proponeva era l’idea di ridare alla società indietro ciò che originariamente gli apparteneva, cioè, i mezzi di produzione, ma che fu ingiustamente appropriato da parte di una elite.
Quello che la borghesia non capisce, o non vuole capire, è che ci sono solo due fonti di ricchezza: la natura e il lavoro umano, e che senza lavoro umano, la ricchezza potenziale contenuta in natura non può mai essere trasformata in ricchezza reale.
Marx ha sottolineato che non c’è solo il lavoro umano reale, ma anche il lavoro passato, cioè, il lavoro incorporato negli strumenti di lavoro.
Gli attrezzi, i macchinari, i miglioramenti apportati alla terra, e, naturalmente, le scoperte intellettuali e scientifiche che sostanzialmente aumentano la produttività sociale sono un’eredità tramandata di generazione in generazione; sono un patrimonio sociale – una ricchezza del popolo.
Ma la borghesia, grazie ad un intero processo di mistificazione del capitale – che qui non possiamo approfondire per ragioni di tempo – ci ha convinto che i capitalisti sono i proprietari di questa ricchezza grazie ai loro sforzi, alla loro creatività, alla loro capacità imprenditoriale, e che poiché sono i proprietari delle aziende hanno il diritto di appropriarsi di ciò che viene prodotto.
Solo una società socialista riconosce questa eredità come sociale, e per questo ritiene che deve essere restituita alla società ed utilizzata per la società, nell’interesse della società nel suo complesso, e non per servire interessi privati??.
Questi beni, in cui è incorporato il lavoro delle generazioni precedenti, non possono appartenere a una persona specifica, o a un paese specifico, ma devono invece appartenere all’ umanità nel suo insieme.
La domanda è: come possiamo garantire che questo accada? L’unico modo è quello di de-privatizzare questi mezzi di produzione, trasformandoli in proprietà sociale. Ma dal momento che l’umanità dei primi anni del 21 ° secolo non è ancora una umanità senza frontiere, queste azioni devono iniziare paese per paese, e il primo passo è quindi la consegna della proprietà dei mezzi di produzione strategici a uno stato nazionale che esprime gli interessi della società.
Ma la semplice consegna dei mezzi strategici della produzione allo stato rappresenta un mero cambiamento giuridico nella proprietà, perché se il cambiamento di queste aziende statali è limitato a questo, poi la subordinazione dei lavoratori a una forza esterna continua. Un nuovo management, che ora si chiama socialista, potrebbe sostituire la gestione capitalista, ma lo stato alienato dei lavoratori nel processo di produzione rimane invariato. Si tratta di una proprietà formalmente collettiva, perché lo Stato rappresenta la società, però l’appropriazione reale non è ancora collettiva.
Ecco perché Engels sosteneva, “la proprietà statale delle forze produttive non è la soluzione del conflitto” anche se “nascoste al suo interno ci sono le condizioni tecniche che costituiscono gli elementi della soluzione.”
Inoltre, Marx sosteneva che era necessario porre fine alla separazione tra lavoro intellettuale e manuale perché questa separazione trasformava i lavoratori in un altro bullone nella macchina. Le aziende devono essere gestite dai loro lavoratori. Ecco perché Chávez, seguendo le sue idee, ha mantenuto molta enfasi sulla nozione che il socialismo del 21° secolo non può limitarsi ad essere un capitalismo di Stato che lascia intatti i processi di lavoro che alienano lavoratori. La persona che lavora deve essere informata sul processo di produzione nel suo complesso, deve essere in grado di controllarlo, di rivedere e decidere sui piani di produzione, sul bilancio annuale e sulla ripartizione del surplus, compreso il suo contributo al bilancio nazionale. Non era questo l’obiettivo del Plan Guayana Socialista?
Ma, allora abbiamo l’argomento della burocrazia manageriale socialista che dice: Come possiamo consegnare la gestione agli operai! Essi non sono pronti a partecipare attivamente alla gestione delle imprese! E hanno ragione, meno alcune rare eccezioni, proprio perché il capitalismo non è mai stato interessato a fornire ai lavoratori le conoscenze tecniche necessarie per gestire le imprese. Qui mi riferisco non solo alla produzione, ma anche alle questioni relative al marketing e alla finanza. Concentrare la conoscenza nelle mani del management è uno dei meccanismi che consentono al capitale per sfruttare i lavoratori. Ma questo, per un quadro rivoluzionario, non può essere un motivo per non avanzare verso la piena partecipazione dei lavoratori. Al contrario, i processi di co-gestione devono essere iniziati perché consentono ai lavoratori di appropriarsi di questa conoscenza. Per fare questo, essi devono iniziare impegnandosi nella gestione pratica, mentre allo stesso tempo nell’acquisire una formazione in tecniche di business e di management, al fine di raggiungere uno stadio di completa autogestione.
E a livello di comunità e comuni, un argomento come tanti altri di cui vorrei parlare ma non posso entrare nei dettagli qui, mi ricordo sempre quello che Aristóbulo Istúriz diceva: “Dobbiamo governare con il popolo in modo che il popolo possa imparare a governare se stesso”. Capisco che il presidente Maduro sta cercando di fare questo promuovendo la partecipazione delle persone organizzate nel suo governo attraverso ciò che egli ha chiamato Consigli del Governo Popolare.
Ho detto in varie occasioni che, per me, il socialismo del 21° secolo è un obiettivo a cui aspirare, e mi riferisco al lungo periodo storico del progredire verso questo obiettivo come a una transizione socialista.
Ma di che tipo di transizione stiamo parlando? Non si tratta di una transizione che si verifica in paesi a capitalismo avanzato, qualcosa che non è mai accaduto nella storia, né di una transizione in un paese arretrato, dove la gente ha conquistato il potere statale attraverso la lotta armata come è avvenuto con le rivoluzioni del 20° secolo (Russia, Cina, Cuba). Invece, si tratta di una particolare transizione in cui, attraverso la strada istituzionale, abbiamo raggiunto il potere governativo.

Di fronte al fallimento evidente del neoliberismo come è stato applicato, è emersa la seguente scelta: o il modello capitalista neoliberista viene ricostruito, o progressi sono realizzati nella costruzione di un progetto alternativo motivato da una logica umanista e solidale. E come abbiamo detto prima, fu Chávez che ha avuto l’audacia di prendere questo secondo percorso e credo che il presidente Maduro sta cercando di continuare con la sua eredità. Altri leader, come Evo Morales e Rafael Correa in seguito lo seguirono. Tutti loro sono consapevoli del fatto che le condizioni economiche e culturali oggettive, e la correlazione esistente di forze nel mondo e nei loro paesi, li obbliga a convivere per lungo tempo con forme di produzione capitalistiche.
E dico audacia, perché questi governi affrontano una situazione molto complessa e difficile. Essi non solo devono affrontare condizioni economiche arretrate, ma anche il fatto che ancora non hanno il completo potere statale . E devono farlo sulla base di un apparato statale ereditato le cui caratteristiche sono funzionali al sistema capitalista, ma non sono adatte per progredire verso il socialismo.
Tuttavia, la pratica ha dimostrato, contrariamente al dogmatismo teorico di alcuni settori della sinistra radicale, che se quadri rivoluzionari gestiscono questo apparato, esso può essere usato come strumento nel processo di costruzione della nuova società.
Ma dobbiamo essere chiari: questo non significa che i quadri possono semplicemente limitarsi a utilizzare lo stato ereditato; è necessario – usando il potere nelle loro mani – andare a costruire le fondamenta del nuovo sistema politico e di nuove istituzioni, creando spazi di partecipazione popolare che possono aiutare a preparare il popolo ad esercitare il potere dal più semplice al più complesso livello.
Questo processo di trasformazione da parte del governo non è solo un processo lungo, ma anche un processo pieno di sfide e difficoltà. Nulla garantisce che sarà un processo lineare; c’è sempre la possibilità di ritirate e fallimenti.
Dobbiamo sempre ricordare che la destra rispetta le regole del gioco solo quando le conviene. Possono tollerare perfettamente e anche contribuire a portare un governo di sinistra al potere se quel governo attua politiche di destra e si limita a gestire la crisi. Quello che cercherà sempre di evitare, con mezzi legali o illegali – e non dobbiamo farci illusioni su questo – è un programma di profonde trasformazioni democratiche e popolari che metta in discussione i loro interessi economici.
Possiamo dedurre da questo che questi governi e la sinistra devono essere pronti ad affrontare una forte resistenza; essi devono essere in grado di difendere le conquiste che hanno conquistato democraticamente contro le forze che parlano di democraziafintanto che i propri interessi materiali e privilegi non vengono toccati. Non fu il caso qui in Venezuela che le leggi, che solo leggermente toccavano questi privilegi, sono state il principale fattore nello scatenare un processo che è culminato in un colpo di stato militare sostenuto dai partiti di opposizione di destra contro un presidente democraticamente eletto, sostenuto dal suo popolo?
E’ anche importante capire che questa élite dominante non rappresenta tutta l’opposizione. E’ di vitale importanza che noi distinguiamo tra un’opposizione distruttiva, cospirativa, anti-democratica e un’opposizione costruttiva che è disposta a rispettare le regole del gioco democratico e collaborare in molte attività che sono di interesse comune. In questo modo si evita di mettere tutte le forze di opposizione e le personalità nello stesso paniere. Essere in grado di riconoscere le iniziative positive che l’opposizione promuove e non condannare a priori ogni cosa che propongono, credo, ci aiuterà a conquistare molti settori che oggi non sono dalla nostra parte. Forse non i leader dell’elite, ma i quadri medi e larghi strati del popolo influenzati da parte loro, che è la cosa più importante.
Inoltre, penso che avremmo molto di più da guadagnare combattendo contro le loro idee errate e proposte sbagliate con argomenti piuttosto che con gli attacchi verbali. Forse questi ultimi sono ben accolti tra i settori popolari più radicalizzati, ma sono generalmente respinti da settori della classe media ampi e anche da molti settori popolari.
Un altro cambiamento importante che questi governi fronteggiano è la necessità di superare la cultura ereditata che esiste all’interno del popolo, ma non solo tra di loro. Persiste anche tra quadri, funzionari governativi, leader di partito e militanti, lavoratori e le loro direzioni sindacali. Sto parlando di caratteristiche quali l’individualismo, il personalismo, il carrierismo politico, il consumismo.
Inoltre, i progressi arrivano ad un ritmo lento e, di fronte a questo, molti esponenti della sinistra tendono a demoralizzarsi. Molti di loro hanno visto la presa del potere governativo come una bacchetta magica in grado di risolvere rapidamente i bisogni più urgenti della popolazione. Quando le soluzioni non sono rapidamente prossime, la disillusione prende piede.
Ecco perché ritengo che, proprio come i nostri leader rivoluzionari hanno bisogno di utilizzare lo stato al fine di modificare il rapporto di forze ereditato, loro devono anche svolgere un compito pedagogico quando si trovano di fronte a limiti o freni lungo il percorso – quella che chiamo una pedagogia dei limiti. Molte volte crediamo che parlare di difficoltà servirà soltanto a demoralizzare e scoraggiare il popolo, quando, al contrario, se vengono mantenuti i nostri settori popolari informati, vengono spiegate le ragioni per cui non è possibile raggiungere subito gli obiettivi desiderati, questo può aiutarli a capire meglio il processo in cui si trovano e moderare le loro richieste. Anche gli intellettuali dovrebbero essere ampiamente informati in modo che siano in grado di difendere il processo e anche di criticare se necessario.
Ma questa pedagogia dei limiti deve essere simultaneamente accompagnata dalla promozione della mobilitazione e della creatività popolari, evitando di addomesticare le iniziative della gente e preparandoci ad accettare le critiche di eventuali anomalie all’interno del governo. Non solo dovrebbe essere tollerata la pressione popolare, dovrebbe essere chiaro che è necessaria per aiutare le persone al governo a combattere errori e deviazioni che possono emergere lungo la strada.
Provo un senso di frustrazione non essendo grado di parlare di tante altre questioni, ma devo finire, e per farlo voglio leggere alcune delle varie domande che mi pongo nel libro, e che io credo possano aiutarci a valutare se i governi più avanzati che ho citato stanno facendo passi verso la costruzione di una nuova società socialista:
Mobilitano i lavoratori, e il popolo in generale, per portare avanti determinate misure e stanno contribuendo a un aumento delle loro capacità e potere?
Capiscono la necessità di un popolo organizzato, politicizzato, che sia in grado di esercitare la pressione necessaria che può indebolire l’apparato statale ereditato e quindi in grado di portare avanti il processo di trasformazione proposto?
Capiscono che la nostra gente deve essere protagonista e non comparsa?
Ascoltano le persone e le lasciano parlare?
Capiscono che possono contare su di loro per combattere gli errori e le deviazioni che vengono lungo la strada?
Danno loro risorse e chiedono loro di esercitare il controllo sociale sul processo?
In sintesi, stanno contribuendo alla creazione di un soggetto popolare che è sempre più il protagonista, capace di andare assumendo crescenti responsabilità di governo?
A questo proposito, credo che la proposta di aprire un dibattito nazionale che includa tutti i settori sociali del paese sulla questione del prezzo della benzina è di importanza trascendentale. Credo che sia trascendentale perché si chiede al popolo, non al partito, di discutere la questione. Credo che il ruolo del partito dovrebbe essere quello di coinvolgere pienamente se stesso nella discussione come strumento per facilitare il dibattito.
Vorrei finire insistendo su qualcosa che non mi stancherò mai di ripetere:
Al fine di avanzare con successo in questa sfida, abbiamo bisogno di una nuova cultura di sinistra: una cultura pluralista e tollerante, che mette al primo posto ciò che ci unisce e lascia come secondario quello che ci divide; che promuove una unità basata su valori come la solidarietà, l’umanesimo, il rispetto per le differenze, la difesa della natura, il rifiuto del desiderio di profitto e delle leggi del mercato come principi guida per le attività umane.
Una sinistra che si rende conto che la radicalità non consiste nell’ agitare gli slogan più radicali o nel compiere le azioni più radicali – che solo pochi capiscono e tanti spaventano – ma che sia capace di creare spazi di incontro e di lotta per ampi settori perché constatare che ci sono molti di noi nella stessa lotta è ciò che ci rende forti e radicalizza.
Una sinistra che capisce che noi dobbiamo conquistare l’egemonia, vale a dire che dobbiamo convincere piuttosto che imporre.
Una sinistra che capisce che più importante di quello che abbiamo fatto in passato è ciò che facciamo insieme in futuro.

Traduzione e nota introduttiva di Maurizio Acerbo
www.maurizioacerbo.it

 

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