Palestina: Giustizia, uguaglianza e libertà per tutti

Rania Hammad

Nel 2004, al culmine della seconda Intifada, ho scritto un libro per gli studenti delle scuole secondarie in italiano intitolato Vita Tua Vita Mea . Il sottotitolo diceva “Le altre voci israeliane raccolte da una palestinese”. Il libro includeva articoli di noti/e israeliani/e che appartenevano al cosiddetto “campo della pace”.

Ispirandomi al motto latino, mors tua vita mea (la tua morte è la mia vita), l’ho modificato in vita tua vita mea (la tua vita è la mia vita), per trasmettere un significato chiaro a quegli israeliani nei quali avevo riposto la mia fiducia, dicendo loro di dare importanza alle nostre vite, ai nostri diritti e di lottare all’interno della loro società per umanizzare i palestinesi che avevano demonizzato e disumanizzato per opprimere e occupare. Li ho esortati a raggiungere la loro gente e far loro vedere che potevamo vivere insieme nella terra una volta chiamata Palestina, dal fiume al mare, la nostra patria. Questa verità storica era necessaria per la riconciliazione.

È stato un tentativo disperato da parte mia di raggiungere coloro che avrebbero potuto rappresentare possibili alleati con cui costruire una pace basata sul rispetto per la nostra comune umanità. Era un grido affinché agissero con urgenza e ponessero fine al ciclo di violenza avviato da Israele; perché la violenza non è mai iniziata dagli oppressi ma è una reazione alla violenza dell’oppressore. Li ho invitati a parlare apertamente, ho chiesto loro di denunciare il razzismo del sionismo e i piani per la continua colonizzazione, di fermare le aggressioni e gli attacchi, le uccisioni illegali e gli omicidi mirati, il furto di terre e le narrazioni di propaganda su tutta la nostra storia come popolo. Li ho implorati di avere il coraggio di affrontare l’ingiustizia nel cuore dello stato coloniale di Israele e di lottare contro quella tendenza genocida che continua a brutalizzare e massacrare i palestinesi, a cancellare le nostre vite in modo che solo le loro possano esistere.

Il mio è stato uno sforzo per onorare le voci e gli intellettuali israeliani che avevo conosciuto nel corso degli anni e che affermavano di essere “diversi”, in contrasto con coloro che difendevano in modo scioccante, aperto e orgoglioso la loro determinazione non solo a opprimere e sottomettere i palestinesi, ma ad annientarci e sostituirci nella nostra terra.

Col passare del tempo, ho gradualmente scoperto che, mentre molti nel “campo della pace” (la “sinistra israeliana” – gli alleati scelti e preferiti dall’Occidente) dichiaravano di non essere come quegli israeliani che “sparano e piangono” – intendendo i sionisti liberali che rimangono fedeli all’ideologia coloniale di insediamento dello stato fingendo di avere una posizione liberale e progressista – molti si sono rivelati letteralmente proprio questo. Con la seconda Intifada, divenne chiarissimo che qualsiasi solidarietà, sostegno o simpatia veniva data solo finché ad essere uccisi erano i palestinesi; se ci fosse stato un qualsiasi atto di resistenza o ritorsione alla violenza e all’oppressione di Israele, noi palestinesi saremmo diventati immediatamente una “minaccia esistenziale”, quindi diventava del tutto accettabile che noi fossimo annientati in nome della loro sicurezza. Ciò è diventato palesemente evidente con il genocidio di Gaza, poiché quelli del “campo della pace” sono stati incapaci di contestualizzare le azioni di quel giorno di ottobre e tutto ciò che vi aveva condotto. Anche loro hanno ripetuto a pappagallo la versione della maggioranza politica di estrema destra in Israele, che ha parlato dell’evento come se non fosse stato provocato – come se fosse accaduto nel vuoto – dimenticando la situazione di oppressione storica. C’è stato anche chi è rimasto in silenzio e non ha detto nulla finché migliaia di bambini palestinesi non sono stati estratti dalle macerie. Questa posizione ha rivelato molto sulla loro vera bussola morale e integrità, poiché hanno permesso che le false narrazioni rimanessero incontrastate, tutelando e rafforzando di fatto i loro privilegi e, alla fine, aiutando il genocidio. Hanno legittimato lo status quo.

Speravo che sarebbero stati loro a portare avanti il ​​cambiamento a livello interno, e non che lo ricevessero imposto dall’esterno, vergognandosi di riconoscere ciò che Israele era fin dall’inizio. Ho sperato che il movimento Palestinian Lives Matter sarebbe nato all’interno di Israele e che avrebbero avuto la capacità di non commettere un genocidio peggiore di quello che avevano già commesso nel 1948 quando erano fuggiti dal nazismo per creare il loro Stato in Palestina attraverso la pulizia etnica e l’espropriazione delle terre. Ma la Nakba si è ripetuta e ora è visibile sugli schermi di tutti.

Se avessero voluto creare un movimento Palestinian Lives Matter, lo avrebbero fatto in reazione all’espansione degli insediamenti, alla pulizia etnica a Gerusalemme Est, all’assedio di Gaza, a ogni campagna di bombardamenti contro Gaza, all’uccisione di giornalisti, all’uccisione di bambini e di persone disarmate, di civili, la repressione del dissenso palestinese, la detenzione amministrativa e gli omicidi mirati e altri pilastri delle permanenti politiche di Israele. Ma gli israeliani non hanno creato un movimento Palestinian Lives Matter; il resto del mondo lo ha fatto. Ci è voluto un genocidio per innescare un movimento di solidarietà globale sorprendente e senza precedenti per la Palestina.

C’è ora uno straordinario livello di consapevolezza e un drammatico cambiamento nella narrazione guidato in gran parte dal movimento di solidarietà globale per la Palestina. Grazie al coraggio dei giornalisti palestinesi e della società civile, che stanno pagando con la vita per raccontare la realtà palestinese sul campo e diffondere informazioni e immagini attraverso i social media, il mondo ha visto il genocidio svolgersi in tempo reale.

Le comunità della diaspora palestinese, insieme ai loro alleati e partner, continuano a influenzare l’opinione pubblica sostenendo la causa palestinese e costruendo e rafforzando un vasto movimento globale di base in difesa dei diritti dei palestinesi, per fermare il genocidio e per porre fine all’occupazione una volta per tutte.

Persone in tutto il mondo manifestano ogni settimana dall’ottobre 2023, partecipando alla disobbedienza civile e impegnandosi in azioni dirette per fare pressione sui propri governi affinché smettano di sostenere Israele politicamente, economicamente e militarmente. Sindacati, accademici, chiese, aziende, gruppi ebraici, creativi, scrittori e giovani di tutto il mondo sono stati impegnati in una campagna mondiale per far luce sulla causa palestinese.

Fermare il genocidio, porre fine all’occupazione, porre fine all’apartheid e chiedere il diritto al ritorno dei rifugiati sono stati la base di questa lotta globale e intersezionale per fare pressione sui politici affinché approvino un embargo sulle armi contro Israele e vietino i prodotti che provengono dagli insediamenti illegali israeliani, così come denunciare i governi per la loro complicità nel sostegno all’occupazione illegale e al genocidio di Israele. Le persone in tutto il mondo sono diventate sempre più favorevoli al movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) e hanno accolto l’appello della società civile palestinese a isolare, sanzionare e costringere Israele a rispettare il diritto internazionale. Sono state intraprese azioni legali contro governi, tra cui Regno Unito, Stati Uniti, Italia, Giappone e altri, per la loro complicità nel genocidio, perché blocchino le esportazioni di armi verso Israele, e per il loro mancato rispetto delle stesse proprie leggi nazionali.

C’è stata una risposta significativa da parte di sindacati di tutta Europa e degli Stati Uniti. I sindacati dei trasporti hanno interrotto le spedizioni di armamenti dai porti di diversi paesi europei e organizzatori sindacali hanno fatto temporaneamente chiudere le fabbriche di armi in Europa e Nord America.

Gli operatori sanitari negli Stati Uniti hanno mostrato un enorme sostegno alla Palestina concentrandosi sull’impatto della violenza a Gaza contro operatori sanitari e pazienti.

I dipendenti di Google hanno protestato contro il progetto Nimbus, un contratto da 1,2 miliardi di dollari tra il governo e l’esercito israeliano con Google e Amazon, che fornisce tecnologia all’esercito israeliano. I dipendenti hanno subito gravi ritorsioni per il loro impegno e la loro opposizione.

Migliaia di artisti, curatori e creativi da tutto il mondo hanno firmato una lettera aperta chiedendo alla Biennale di Venezia, l’evento artistico più importante del mondo, di non accogliere quest’anno il padiglione nazionale di Israele e di non consentire la rappresentazione di uno stato di apartheid genocida. Sebbene il padiglione israeliano sia rimasto chiuso, i curatori israeliani hanno rilasciato una dichiarazione vuota e opportunistica per ottenere la massima copertura mediatica, affermando che sarebbero rimasti chiusi fino alla liberazione degli ostaggi e all’attuazione di un cessate il fuoco. Di fronte alle porte chiuse del padiglione, sorvegliate dai militari italiani, si sono svolte manifestazioni che chiedevano che il padiglione rimanesse chiuso fino all’attuazione di un cessate il fuoco permanente, alla fine del genocidio e alla fine dell’occupazione.

La solidarietà nelle università americane è cresciuta straordinariamente in tutti gli Stati Uniti, il paese che è il più fedele alleato di Israele. Gli studenti di tutti gli Stati Uniti hanno costruito accampamenti nelle loro università, chiedendo che le loro scuole disinvestano dalle aziende che traggono profitto dall’occupazione. Dalla Columbia a Yale, New York University, MIT, Tufts, Harvard, Emerson, Barnard e UC Berkeley, gli studenti chiedono alle loro università di tagliare i legami con l’esercito israeliano, reclamando un cessate il fuoco immediato, la fine del genocidio e la fine del conflitto e dell’ occupazione e libertà per la Palestina. Hanno cantato canzoni del movimento anti-apartheid in scene che ricordano i raduni sugli stessi prati durante la guerra del Vietnam. Alcuni dei gruppi filo-palestinesi più attivi coinvolti nei raduni e nelle manifestazioni sono membri delle comunità ebraiche americane e del gruppo Jewish Voice for Peace. Sono soprattutto gli studenti e i giovani a mettere in discussione le politiche del governo che limitano la libertà di espressione in Palestina, a mettere a rischio il futuro del loro lavoro e a subire violenze mirate da parte della polizia.

In questo momento storico, sganciare Israele dall’ebraismo è fondamentale. L’ebraismo è una religione mondiale, una delle tre religioni monoteistiche, e ha molti punti in comune con il cristianesimo e l’Islam. Israele, tuttavia, è uno stato coloniale distinto, le cui azioni genocide devono essere contrastate da tutti, compresi gli ebrei. L’esperienza ebraica di discriminazione e genocidio in Europa e il conseguente trauma collettivo non devono mai essere usati come giustificazione per commettere un altro Olocausto contro il popolo nativo della Palestina, che è stato colonizzato, occupato e oppresso per oltre 76 anni e che merita di vivere liberamente e in sicurezza sulla propria terra. Ogni ebreo che è stato educato a credere che l’ebraismo e Israele siano la stessa cosa dovrebbe ora considerare il significato di tale associazione e capire come tale indottrinamento serva gli interessi di uno stato israeliano la cui ideologia fondatrice, il sionismo, guida la pulizia etnica e l’annientamento del popolo indigeno palestinese.

Tutte le forme di razzismo, compreso l’antisemitismo, non possono mai essere tollerate. E non c’è nulla di ebraico nelle politiche criminali, nell’apartheid e nel genocidio di Israele, quindi non c’è nulla di antisemita nel denunciare Israele per i suoi crimini di guerra e contro l’umanità.

Oggi dobbiamo tutti scegliere a quale dei due motti aderiamo nelle nostre vite, vita tua vita mea o mors tua vita mea : questo risveglio morale e spirituale è importante per tutti noi. Significa anche che la liberazione dell’ebraismo dall’egemonia israeliana e la liberazione della Palestina vanno di pari passo.

Traduzione a cura di Alessandra Mecozzi

Fonte: Palestina Cultura Libertà

Immagine: Disegno di Gianluca Foglia Fogliazza della famosa affermazione di Vittorio Arrigoni: “Ci sarà un cessate il fuoco e lo chiameranno pace”.