Brasile: si comincia a fare pulizia

Teresa Isenburg

Non parlerò del BRICS, su cui molto si dice, soprattutto per sostenere da parte dell’Occidente che non potrà funzionare. Sembra invece a me una iniziativa che si pone all’altezza dei problemi strutturali che rendono caotiche e pericolose le relazioni internazionali continuamente destabilizzate da guerre e sanzioni. Il Brasile non è fra i protagonisti più potenti del sodalizio, ma ha un peso e una funzione continentale per l’America del Sud e l’America Latina. Ovviamente l’Europa potrebbe giocare un ruolo utile in questa riorganizzazione del mondo, ma – avendo perduto l’indispensabile istinto di autoconservazione a favore della subalternità ad interessi altrui – declina in modo inesorabile.

Vorrei invece parlare di Dilma Rousseff, attuale presidente della banca del BRICS. Il 21 agosto 2023 il Tribunale Regionale Federale della 1° regione di Brasilia ha confermato all’ unanimità l’archiviazione del processo contro Dilma ed altri per le cosiddette “pedalate fiscali”, basato su accuse senza fondamento. È stata così confermata la decisione del Ministero Pubblico Federale del settembre 2022 di archiviare il processo. Riprendendo il commento dell’ex ministro della Giustizia Eugênio Aragão su Brasil 247 del 23 agosto: con “pedalata fiscale” si faceva riferimento al ritardo da parte del governo nel versamento restituivo a banche pubbliche, pratica che peraltro non infrangeva il principio dell’annualità fiscale.

Si chiude così dopo sette anni il lungo tragico cammino del colpo di Stato di agosto 2016, che deponeva in modo anticostituzionale (e oggi viene definitivamente riconosciuto anche extra legale) la presidente Dilma, consegnava la presidenza al collaborazionista e traditore della Costituzione Michel Temer e apriva la strada alla disgrazia Bolsonaro. Che la deposizione di Dilma fosse un atto illecito era evidente già in quell’agosto del 2016 quando la presidente per una intera giornata si difese davanti al Senato in seduta giudicante. Che lo scopo fosse altro era pure evidente. Eppure le grandi democrazie non hanno detto una parola, magistrati di fama internazionale hanno appoggiato l’operazione anticorruzione Lava Jato (che già allora mostrava segni evidenti di irregolarità) volta a creare un clima di discredito nei confronti della politica. E quando nel 2018 venne eletto Bolsonaro, dirigenti politici di primo piano, anche nel nostro paese, hanno espresso grande soddisfazione. Come se fosse normale eleggere a capo dell’esecutivo un difensore della pratica della tortura.

Con questa sentenza il cerchio si chiude: essa pone il marchio inconfondibile del colpo di Stato su tutta la vicenda. Naturalmente la grande stampa commerciale brasiliana non parla dell’assoluzione di Dilma e mi sembra che anche i media italiani non diano molto spazio a questo passaggio né pensino ad un minimo di autocritica sul silenzio “occidentale” nel 2016 e sulla tolleranza nei confronti di Bolsonaro. Per capire l’opzione del neoliberismo in difficoltà per governi di estrema destra, spesso lontani dalle costituzioni dei loro paesi, vale la pena di leggere un bell’articolo della filosofa brasiliana Marilena Chauí, honoris causa di diverse università internazionali: “Neoliberalismo: a nova forma do totalitarismo, “A Terra é redonda”, (06/10/2019) che offre qualche appiglio per capire il periodo che ci è dato di vivere.

Per quanto concerne la situazione interna del Brasile, il governo si batte contro una Camera spostata molto a destra per fare approvare provvedimenti irrinunciabili: l’eliminazione del tetto di spesa con la creazione di un nuovo schema fiscale, la revisione del sistema di prelievo fiscale, oltre alle misure sociali con programmi di sostegno alle famiglie, l’aumento del salario minimo, la riattivazione dei programmi sanitari come le vaccinazioni o la farmacia popolare, che assicura un ventaglio di medicine molto usate. Oltre, naturalmente, al problema che ben conosciamo anche in Italia delle liste di attesa nel Sistema sanitario.

Le opposizioni – soprattutto alla Camera – hanno molto insistito per attivare una serie di commissioni parlamentari di inchiesta con l’obiettivo di costruire e divulgare un’informazione orientata. In particolare vi è una commissione sul Movimento dei lavoratori senza terra/MST e un’altra sul colpo di Stato (sventato) dell’8 gennaio 2023. La prima intende criminalizzare l’MST ed è dominata da agrari, devastatori di foreste e simili. Ma la scena al momento è occupata dalla seconda, che nelle intenzioni dei proponenti avrebbe dovuto dimostrare che il governo da pochi giorni in carica sapeva dell’eversione in corso e non fece nulla per fermarla, per poi poter colpire i propri avversari.

Questa ipotesi fantasiosa non solo non trova nessun riscontro, ma attraverso le deposizioni e l’accesso a numerosi documenti e prove emerge un quadro ben diverso. In primo luogo risulta evidente un coinvolgimento, in diretto contatto con gli uffici della presidenza della Repubblica, di settori non piccoli delle forze armate, anche in servizio, nel progetto di impedire la vittoria di Lula a tutti i costi, fino all’invasione dei palazzi dei Tre Poteri. In secondo luogo affiora un impressionante mondo di malaffare attorno alla figura stessa dell’ex presidente. Traffici di preziosi acquisiti in modo illecito e sottratti al loro regolare destino nel patrimonio dell’Unione, produzione di documenti sanitari contraffatti, tentativi di utilizzare hackers per inficiare l’affidabilità delle urne elettroniche, oltre, naturalmente, al piccolo cabotaggio di uso per spese private di denaro pubblico, assunzione di funzionari fantasma ecc.ecc. Il tutto utilizzando come manovalanza funzionari del più stretto circolo presidenziale come l’aiutante di ordine, avvocati personali di fiducia, militari infedeli alla Costituzione, deputati fedelissimi.

Al momento attuale sembra difficile immaginare come Bolsonaro potrà salvarsi da questa catena di accuse documentate di crimini correnti, tenendo anche conto che il procuratore generale della Repubblica che ha avuto lo stomaco di insabbiare i risultati circostanziati della commissione sulla pandemia (100.000 morti attribuiti alla gestione negazionista promossa in prima persona dall’ex presidente) è in scadenza e sembra improbabile che sia riconfermato. Quello che colpisce per chi in Italia ha vissuto le nebbie giudiziarie degli attentati dal 1969 in avanti è il lavoro di verifica delle prove che la polizia federale e la magistratura stanno svolgendo: sembra che – volendo – si possa sapere come siano andate le cose, anche sotterranee e nascoste ai più. Volendo, appunto.