COVID 19: Una pandemia africana

Félix Atchadé[1]

Oltre 18 mesi dopo l’inizio della pandemia da SRAS-COV2, la catastrofe epidemica e le sue conseguenze demografiche – annunciate come ineluttabili dalle cassandre  in Africa subsahariana – non si è realizzata. L’espressione epidemiologica della malattia è stata finora meno accentuata in Africa che in Europa o in America del Nord, a titolo d’esempio. Non c’è ancora un’opinione scientifica comune sulle ragioni di questo fatto, e sono state date numerose spiegazioni: demografiche (popolazione giovane), meteorologiche e/o climatiche (calore, umidità, ecc.), virologiche (è un virus con involucro, quindi fragile ai tropici), di sanità pubblica (ricorso precoce al depistaggio, distanza sociale, esperienza nella gestione delle epidemie, ecc.), economiche (minore integrazione nella mondializzazione), ecc. Queste spiegazioni basate sul buon senso per il momento sono delle estrapolazioni. Mancano dati empirici per confermarle o meno. Non è accertato che questa congiuntura permanga, perché la situazione sanitaria non è uniforme nella regione e l’espressione epidemica della malattia è estremamente mobile. In questi ultimi mesi, la vigilanza s’impone a seguito della constatazione di ondate sempre più difficili da affrontare per i sistemi sanitari. Anche se la catastrofe epidemica non ha toccato il continente, c’è un effetto Covid-19 le cui manifestazioni economiche, politiche e sociali stanno minando le società e gli Stati africani.

Un’espressione epidemiologica specifica

Al 31 agosto 2021, sono stati segnalati dal Centro africano di prevenzione e lotta contro le malattie dell’Unione Africana (Africa CDC) un totale di 5.442.398 casi di Covid-19 e di 132.908 decessi nei 49 Paesi dell’Africa subsahariana. Il tasso di letalità (TdL) o letalità, cioè la proporzione di decessi legati alla malattia, è 2,44. Questo rappresenta il 3,6% di tutti i casi e il 4,3% di tutti i decessi rilevati nel mondo. Oltre la metà dei Paesi della regione riportano dei TdL superiori alla media mondiale. Dall’inizio della pandemia, la quasi totalità dei Paesi ha conosciuto per lo meno due ondate, oltre un terzo ne ha subita una terza e quattro Paesi (Benin, Kenya, Isola Mauritius e Somalia) hanno avuto una quarta ondata di casi di Covid-19[2].

Figura 1: Tendenza dei nuovi casi di Covid-19 segnalati al giorno per regione dell’Unione africana (Africa subsahariana e Africa settentrionale) dal 15 febbraio 2020 al 31 agosto 2021.
Fonte: Africa CDC

Come si può vedere in questa figura, il continente è alla terza ondata. Ogni nuova ondata è connotata da un aumento del numero di casi e di decessi. Le varianti alfa o inglese, beta o sudafricana, delta o indiana e/o gamma o brasiliana sono segnalate nella regione con una frequenza più o meno variabile. È tuttavia opportuno restare prudenti nel valutare le statistiche. Purtroppo, più che altrove, il numero di test di depistaggio del Covid-19 resta basso, malgrado siano stati fatti sforzi considerevoli. In Senegal, il direttore del Centro per le operazioni di emergenza sanitaria (COUS) ha riconosciuto pubblicamente che le statistiche pubblicate quotidianamente non riflettono la realtà. Il numero di decessi giornalieri è sottostimato, perché i decessi al di fuori delle strutture ospedaliere non vengono conteggiati[3]. Inoltre, la capacità giornaliera di esecuzione di test non arriva a una decina di migliaia[4]. Altra fonte di difficoltà è il fatto che in alcuni Paesi non si faccia la ricerca delle varianti, malgrado gli aiuti tecnici dell’Africa CDC e dell’Ufficio regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Una mobilitazione precoce

Fin dal primo trimestre dell’anno, cioè qualche settimana dopo l’inizio della pandemia, i Paesi africani – con qualche notevole eccezione – hanno preso le misure più ardite per contrastare la malattia. In Sudafrica era stato dichiarato lo “stato di catastrofe” ed era stato adottato un confinamento stretto. In Senegal il Presidente della Repubblica aveva annunciato, nel corso di un appello alla nazione, il coprifuoco, rigide limitazioni agli spostamenti nel territorio e la chiusura degli stabilimenti scolastici e universitari. Nei primi momenti della pandemia, le reazioni dei governi sono state valutate da alcuni osservatori e da vasti settori della popolazione come sproporzionate in rapporto alla minaccia. Le immagini di ospedali italiani strapieni, dove i pazienti sono intubati nei corridoi, o le dichiarazioni di professionisti della sanità in Francia, luogo privilegiato del turismo medico delle élites dei Paesi africani francofoni, che sottolineavano la mancanza di mezzi per far fronte all’afflusso di pazienti infetti, hanno incitato le autorità a prendere le misure più radicali per far fronte al rischio. C’è stata una richiesta di protezione di fronte al pericolo che era in mondovisione. Questa richiesta aveva cominciato ad essere espressa in diversi Paesi del continente fin da metà febbraio.

In Tanzania, l’atteggiamento delle autorità è stato diverso. All’inizio della pandemia, le autorità hanno adottato le misure raccomandate dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Piuttosto rapidamente, di fronte al deteriorarsi della situazione il capo di Stato John Magufuli, scomparso nel marzo 2021, ha mutato discorso e strategia. Tutte le misure di controllo sanitario legate alla malattia del Covid-19 sono state rimandate: le frontiere aperte ai turisti. Dopo tre giorni di preghiera, il presidente Magufuli decretava che Dio aveva liberato il Paese dalla malattia. Nelle settimane successive, ha continuato a prendersi gioco del discorso scientifico sulla malattia, sostenendo che i test sono talmente poco affidabili che una papaya, una quaglia e una capra sono state trovate positive. Da aprile 2020 a giugno 2021, le autorità sanitarie non hanno fornito alcun dato statistico sulla malattia. Perfino quando le élites e alcuni alti dirigenti del regime sono morti di Covid-19, ufficialmente sono stati dichiarati vittime di “polmoniti”.

La vaccinazione, il suo apartheid e la contestazione

Al 5 settembre 2021, tutti i Paesi dell’Africa subsahariana – con l’eccezione dell’Eritrea e del Burundi – avevano lanciato campagne di vaccinazione contro il Covid-19. La strategia vaccinale consiste nell’individuare le fasce di popolazione prioritarie. Secondo le cifre dell’Africa CDC, che aggrega i dati dell’insieme dei Paesi dell’Unione Africana, sono stati somministrate 108,9 milioni di dosi, cioè una copertura del 4,1% della popolazione del continente. Tra le dosi somministrate, 67,5 milioni erano prime dosi e 38,4 erano seconde dosi. La proporzione di popolazione interamente vaccinata è del 2,93%. In Africa subsahariana, il Sudafrica con il 24,3% della popolazione interamente vaccinata si trova al primo posto. Questi dati non sono comparabili con la copertura vaccinale in Europa e in America settentrionale. Mentre su scala mondiale 140 Paesi hanno vaccinato almeno il 10% della loro popolazione, in Africa subsahariana solo una decina di Paesi hanno potuto raggiungere questo obiettivo, a causa delle incredibili ineguaglianze di accesso al vaccino. Alcuni non esitano a parlare di apartheid vaccinale, talmente è sbilanciata la ripartizione mondiale dei vaccini in favore dei Paesi ricchi. Al ritmo a cui vanno le campagne di vaccinazione, l’obiettivo di raggiungere una copertura del 60% della popolazione da qui a giugno 2022, grazie al dispositivo COVAX[5] diretto dall’OMS e dall’African Vaccine Acquisition Trust (AVAT[6]) guidato dall’Unione Africana, sembra compromesso. L’interdizione all’India di esportare vaccini anti Covid-19 nel marzo 2018, in risposta ad una recrudescenza di casi di Covid-19, ha provocato una rottura di stock di vaccini in diversi Paesi africani ed ha mostrato la vulnerabilità dell’iniziativa COVAX.

La vaccinazione contro la malattia del Covid-19 si scontra, nell’Africa subsahariana, con problemi strutturali legati alla catena di approvvigionamento, alla logistica o alla fabbricazione. Ma c’è un problema che si è affermato durante la pandemia e che si può considerare senza precedenti nella storia sanitaria di numerosi Paesi della regione: la diffidenza verso il vaccino. I discorsi anti-vaccino si fanno strada sui social e anche nei media in orari di grande ascolto, e non sono solo appannaggio di qualche emarginato. Questo fenomeno è stato segnalato in parecchi Paesi africani ed ha diverse spiegazioni[7]. C’è la diffidenza del pubblico verso la risposta del governo al Covid-19; la mancanza di coinvolgimento della comunità nella presa di decisioni sulle questioni sanitarie; la mancanza di volontà politica di lottare contro la disinformazione sul Covid-19 nei media sociali e tradizionali.

La medicina è stata a lungo presentata come l’aspetto nobile della colonizzazione, ma è stata anche e soprattutto uno strumento di dominio e a volte di coercizione. Infine, le memorie sono piene di ricordi dolorosi, come quello del “Dottor Morte”, Wouter Basson, che agiva in Sudafrica al tempo dell’apartheid; lo scandalo della Lomidine[8], presunto rimedio miracolo contro la malattia del sonno, responsabile di numerosi morti e la cui messa al bando è stata ottenuta solo al prezzo di rivolte; o ancora il test clinico selvaggio della trovafloxacine (Trovan) condotto dal gigante farmaceutico Pfizer in Nigeria, nel 1996.

Personalità di primissimo piano come il capo di Stato congolese e Presidente in carica dell’Unione Africana, Félix Tshisekedi, è stato tra i primi a manifestare dei dubbi sui vaccini anti Covid-19. Il 19 aprile 2021 egli ha brillato per la sua assenza inattesa e inesplicata alla cerimonia di avvio della campagna di vaccinazione in Congo. Qualche settimana dopo, a Goma – nell’est del Paese – ha dichiarato: «Ho fatto bene a non farmi vaccinare»[9]. Dichiarazioni che il suo capo della comunicazione ha cercato di attenuare sulle antenne di Radio France Internationale (RFI): «… il Presidente ha detto che personalmente aveva dei dubbi su questo vaccino. E sul piano personale aspetterà l’arrivo in RDC di altri lotti di vaccino, il che è imminente. A quel punto, quando ci sarà una scelta più ampia, si farà vaccinare. Il vaccino non è un obbligo legale, è una raccomandazione, ognuno è libero di farsi vaccinare o no»[10].

Solo un’infima parte (l’1%) dei vaccini somministrati in Africa è prodotta sul posto. I fabbricanti in questione sono basati in cinque Paesi: Sudafrica, Egitto, Marocco, Senegal e Tunisia. La pandemia fa muovere le cose; in aprile 2021 i dirigenti africani si sono impegnati in un piano ambizioso di costruzione di fabbriche e di aiuti alla ricerca e allo sviluppo, allo scopo di far arrivare la quota di vaccini fabbricati in Africa al 60% entro il 2040. L’Africa CDC prevede di creare cinque nuovi centri di produzione di vaccini in tutta l’Africa, e la Banca Africana per lo Sviluppo si è impegnata a finanziare almeno due piattaforme tecnologiche per la produzione di vaccini per un valore di 400 milioni di dollari[11].

Un’importante società farmaceutica egiziana ha firmato un accordo per produrre al Cairo oltre 40 milioni di dosi del vaccino Sputnik V all’anno. Anche le Seychelles hanno registrato il vaccino Sputnik V nel quadro di un’autorizzazione d’urgenza per il suo impiego.

Dalla crisi sanitaria alla catastrofe economica

In Africa subsahariana, anche se la pandemia del Covid-19 non ha avuto un impatto epidemiologico simile a quello verificatosi in Europa o in America del Nord, sono però catastrofiche le sue conseguenze economiche. Secondo le stime della Banca Mondiale, l’attività economica si è ridotta del 2,6% nel 2020. La pandemia ha fatto precipitare la regione nella sua prima recessione dopo oltre 30 anni. Il PIL pro capite è diminuito ulteriormente a causa della crescita demografica (-4,7%)[12]. La povertà, misurata dalla soglia internazionale della povertà, nel 2020 è aumentata per la prima volta dal 1998. Si calcolano dai 26 ai 40 milioni di poveri in più. La Banca Mondiale riporta che «le donne e i giovani hanno risentito in misura sproporzionata della mancanza di opportunità e di un accesso iniquo alle reti sociali di sicurezza»[13]. Milioni di posti di lavoro sono stati perduti nel settore informale, che occupa oltre l’80% degli attivi nella maggior parte dei Paesi.

Le ragioni di questa recessione possono essere ridotte a tre. La prima causa è la caduta dei prezzi delle materie prime estrattive, che procurano ad oltre la metà dei Paesi della regione una buona parte dei loro redditi da esportazione e finanziari. I Paesi petroliferi (Nigeria, Angola, Gabon, ecc.), le cui difficoltà sono iniziate a fine 2019 con la diminuzione del prezzo del petrolio, dovuta al fallimento delle trattative tra l’Arabia Saudita e la Russia, si sono trovati in gravi difficoltà fin dall’inizio della pandemia. Nel corso del 2020, per esempio, il prezzo dell’oro nero ha registrato un calo ineguagliato dal 2004. Le ripercussioni per Paesi quali la Nigeria, il Gabon, la Guinea equatoriale o l’Angola, le cui esportazioni di petrolio procurano oltre i tre quarti degli introiti di bilancio, sono state notevoli. Sulla scia della caduta del prezzo del petrolio, quello di alcuni metalli come alluminio, stagno, zinco e piombo hanno avuto la stessa sorte. Alla diminuzione dei prezzi di queste risorse minerarie bisogna aggiungere la diminuzione dei volumi di esportazioni a seguito del calo della domanda mondiale.

La seconda causa è legata alle restrizioni alla circolazione dei beni e delle persone (chiusura delle frontiere) per evitare la propagazione del virus; questo ha comportato conseguenze importanti sugli introiti in valuta e sull’approvvigionamento dei Paesi. Il turismo e i trasporti sono stati i settori più danneggiati dalla sospensione dei voli verso l’Africa. Da notare, inoltre, che la diminuzione delle rimesse dei migranti (-20%), che rappresentano il 4% del PIL del continente, ha a sua volta comportato delle ripercussioni sugli introiti in valuta.

La terza spiegazione di questa recessione è legata alle misure di confinamento prese in alcuni Paesi, in particolare in Sudafrica, la seconda economia del continente. Nel resto della regione le misure quali la chiusura delle scuole, il coprifuoco e il divieto di radunarsi hanno avuto un forte impatto sull’attività produttiva e hanno inferto un colpo al settore della cosiddetta economia informale. Data la mancanza di meccanismi di sicurezza sociale, in molti Paesi i consumi delle famiglie sono fortemente diminuiti.

Crollo delle finanze pubbliche e crisi del debito

Le misure prese per lottare contro la propagazione del virus (confinamento, coprifuoco, divieto di radunarsi, ecc.) hanno costretto gli Stati, soprattutto i più ricchi, ad aumentare la spesa pubblica concedendo aiuti alle imprese e sostenendo i consumi delle famiglie. Le misure finanziarie derivanti da queste iniziative hanno rappresentato il 2,5% del PIL della regione[14]. Ma la maggior parte dei Paesi subsahariani, come ci si poteva aspettare, ha avuto delle difficoltà per mettere in pratica queste politiche anticicliche. All’aumento della spesa pubblica, che ha toccato tutti i Paesi, si è aggiunta una forte diminuzione degli introiti finanziari. Contemporaneamente, il continente ha assistito a forti uscite di capitale (4 miliardi di dollari). Il Sudafrica è stato particolarmente toccato da questo fenomeno. Il degrado delle finanze pubbliche ha avuto come conseguenza un aumento del tasso di indebitamento dei Paesi africani. Ciò ha costretto gli istituti finanziari internazionali (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale) a rivedere i loro parametri di analisi della sostenibilità del debito per il Kenya e il Ruanda, ad esempio. Per quanto riguarda il debito, va detto che in realtà la pandemia di Covid-19 è il catalizzatore, nel senso chimico del termine, della crisi che lo riguarda, piuttosto che la causa. Questa crisi era attesa, e come sempre in finanza era stata prevista da alcuni attori.

Nel 2018 il Mozambico aveva dichiarato bancarotta per il pagamento delle sue scadenze. Nel corso del decennio precedente, parecchi Paesi africani si erano lanciati in un indebitamento sconsiderato, facendo largamente appello ai mercati finanziari a scapito dei prestiti delle Istituzioni Finanziarie Internazionali. Di fronte alle difficoltà create dalla pandemia, il 15 aprile 2020, i ministri delle finanze e le banche centrali del G20 hanno deciso di sospendere il pagamento del debito di 76 Paesi in tutto il mondo, di cui 40 in Africa. Così, i pagamenti che dovevano essere fatti nel 2020 sono stati riportati al 2022 e scadenzati su tre anni. Quest’atto ha liberato 20 miliardi di dollari di liquidità. La moratoria ha riguardato solo una parte del debito pubblico: 20 miliardi sui 32 che questi Paesi devono rimborsare ogni anno, sia ad altri Stati che a istituzioni internazionali. Il 17 giugno 2020, durante il vertice Cina-Africa sulla solidarietà contro il Covid.19, il Presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che la Cina cancellerà i prestiti senza interesse che arrivano a scadenza entro la fine del 2020.  Ha anche esortato le istituzioni finanziarie cinesi ad organizzare “consultazioni amichevoli” con le nazioni africane «per mettere a punto degli accordi per prestiti commerciali con garanzie sovrane». Alcuni mesi dopo, il 18 marzo 2021, si è tenuto a Parigi il Vertice per il rilancio delle economie africane. Emmanuel Macron aveva riunito a questo scopo una ventina di capi di Stato africani per trovare delle soluzioni per uscire dalla crisi legata al Covid-19. Il Vertice non ha corrisposto alle aspettative. Si confidava in una cifra di 100 miliardi di dollari tramite l’emissione di Diritti speciali di prelievo (DSP) da parte del FMI, invece ci si è dovuti accontentare di un terzo di questa cifra (33 miliardi di dollari). La pandemia del Covid-19 ha reso insostenibile per i Paesi africani il fardello del debito e ha dato un’altra prova delle diseguaglianze mondiali dei termini dello scambio, delle basi di produzione e d’esportazione troppo rigide, della vulnerabilità alle scosse esogene (comprese le fluttuazioni dei flussi di capitale) dei Paesi africani.

L’impatto macroeconomico del Covid-19 non è omogeneo in tutto il continente. Le regioni, i Paesi sono stati colpiti in modo diverso. Ad esempio in Africa australe la recessione è stata più forte che altrove. L’inserimento privilegiato nell’economia mondiale della potenza economica regionale, il Sudafrica, costituisce la chiave per capire. Le altre potenze economiche, quali il Nigeria e l’Angola, che sono grandi esportatori di petrolio, hanno sofferto del calo dei prezzi e della domanda mondiale. I Paesi esportatori di prodotti agricoli, come la Costa d’Avorio, l’Etiopia e il Kenya, sono stati colpiti dalla caduta della domanda e dalla perturbazione delle catene di rifornimento. La riduzione dei viaggi internazionali provocata dalla pandemia ha portato un duro colpo ai Paesi fortemente dipendenti dai viaggi e dal turismo. Nel Sahel, l’impatto della crisi è stato relativamente contenuto a causa della minore integrazione nel mercato mondiale, ma anche grazie all’aumento del prezzo dell’oro, di cui il Burkina Faso, il Mali, il Niger e il Senegal sono esportatori. L’oro, valore rifugio in caso di crisi, ha visto il proprio prezzo aumentare del 30% durante il 2020. C’è da chiedersi se l’esacerbarsi della violenza nella regione nel corso di questi ultimi mesi non sia legato ai conflitti per il controllo sulle miniere.

Qualsiasi crisi ha un effetto miracoloso sull’autoritarismo

L’autoritarismo non ha aspettato la pandemia da Covid-19 per sbocciare e spandersi sul continente. Da oltre un decennio, la promessa di “rinnovamento democratico” fatta dalle Conferenze nazionali[15] all’inizio degli anni ’90 è solo un remoto ricordo. In parecchi Paesi i satrapi hanno il vento in poppa. Hanno dalla loro la forza, la strumentalizzazione del diritto e della giustizia e la protezione diplomatica in nome della “lotta contro il terrorismo”. La pandemia è stata l’occasione per ulteriori giri di vite nella restrizione delle libertà individuali e private. Con qualche rara eccezione, le autorità dei Paesi africani sono state estremamente reattive appena la pandemia è stata dichiarata in Europa. Dal Sudafrica al Ruanda, passando per il Kenya, l’Uganda, il Senegal o ancora la Nigeria, che ha imposto il confinamento delle popolazioni di Abuja e di Lagos, cioè oltre 15 milioni di persone a partire dal 30 marzo 2020. Queste misure prevedevano la chiusura delle scuole, restrizioni alla circolazione delle persone e limitazioni agli orari di apertura dei bar e dei ristoranti, o addirittura la loro chiusura. Il concetto francese di “stato d’emergenza sanitaria”, in particolare i due primi termini dell’espressione, ha riscosso molto successo presso numerosi governanti. In Costa d’Avorio il presidente Alassane Ouattara da un lato liberava dei prigionieri per reati comuni per alleggerire i luoghi di detenzione e dall’altro cercava con zelo il minimo pretesto per mandarci i dirigenti dei partiti d’opposizione. Nel silenzio assordante della “comunità internazionale”, si è concesso un terzo mandato illegale e illegittimo al termine di un procedimento elettorale caratterizzato da una repressione criminale (85 morti e 484 feriti)[16]. Ignorando gli appelli dei suoi oppositori e di ampi settori della società civile ad attenersi alle disposizioni costituzionali, il capo di Stato ivoriano ha strumentalizzato l’istituzione giudiziaria per raggiungere i suoi obiettivi politici. Si è spinto fino a organizzare delle caricature di processi moscoviti per eliminare i suoi avversari dalla corsa alla presidenziale e per costringere alcuni ad andare in esilio.

In Senegal, il presidente Macky Sall, che ha per costituzione poteri molto ampi, ha fatto adottare una legge abilitante che ha esautorato l’Assemblea nazionale. Si è dato pieni poteri, cosa che di fatto già esiste, poiché in parlamento i membri della maggioranza dichiarano di essere “deputati del Presidente della Repubblica”. In Guinea, il presidente Alpha Condé inizialmente ha fatto come se la malattia non esistesse per il tempo necessario a far adottare per referendum una nuova costituzione che gli permettesse di ottenere un terzo mandato. In seguito la lotta contro la pandemia è diventata una priorità nazionale. In nome degli imperativi di sanità pubblica, le manifestazioni di protesta dell’opposizione erano vietate e represse. In Uganda, il governo ha preso fin da marzo 2020 delle misure proattive per tenere sotto controllo la propagazione del virus nel Paese. Ma durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali e legislative del 14 gennaio 2021, il partito al potere si è sbarazzato di tutte le misure imposte per lottare contro la malattia. Mentre si concedevano tutte le libertà di non osservanza delle regole, le forze dell’ordine prendevano a pretesto il mancato rispetto delle distanze per disperdere gli assembramenti dell’opposizione che, per evitare misure arbitrarie, rispettava scrupolosamente i protocolli adottati.

Conclusione

In Africa, la pandemia da Covid-19, pur non avendo avuto proporzioni drammatiche dal punto di vista epidemiologico, resta comunque inquietante. L’ondata dell’ultimo trimestre del 2020 e dell’inizio del 2021 e quella legata alla variante delta dell’inizio del secondo semestre 2021 hanno dimostrato che è necessario mantenere la vigilanza. Al di là della dinamica epidemica, il Covid-19 è l’acceleratore – nel senso chimico del termine – di tutte le crisi in Africa. È necessario che ci sia un prima e un dopo, una cesura che deve permettere di rivedere da cima a fondo il modo di sviluppo dell’Africa ed il suo posto nel mondo. Questo cambiamento di paradigma deve operare una rottura radicale con le politiche neoliberiste ispirate dal consenso di Washington. Che queste politiche si chiamino aggiustamento strutturale, strategia di crescita accelerata, iniziativa PPMI (Paesi poveri molto indebitati), Documento strategico di riduzione della povertà (DSRP), ecc., esse hanno in comune il fatto di essere fondate sul postulato che le forze del mercato sono le più adatte per favorire la crescita economica che, a sua volta, viene confusa con lo sviluppo. Queste politiche hanno mostrato i loro limiti, data la loro incapacità di invertire la crisi economica causata dalla pandemia. È necessario contrastare questa ideologia e rimettere al centro dell’azione politica, come scopo in sé, lo sviluppo dell’essere umano. Questo cambiamento di paradigma non può realizzarsi al di fuori del quadro di uno Stato sociale che mantenga la promessa di assicurare ad ognuno le condizioni della sua dignità, a prescindere dai casi della vita.

Riassunto

In Africa subsahariana, oltre un anno dopo l’inizio della pandemia da Covid-19 la catastrofe epidemica annunciata non si è realizzata. Ma ogni nuova ondata di pandemia è più grave della precedente, in numero di casi e in mortalità. Tuttavia le conseguenze socioeconomiche e politiche sono disastrose. La crescita economica è in stallo, gli introiti fiscali sono crollati, mentre il debito s’impenna e la disoccupazione cresce. Sebbene i vaccini siano ormai disponibili, i Paesi africani hanno dei problemi per ottenerne a causa delle strategie di fornitura dei Paesi ricchi e delle diverse manovre dell’industria farmaceutica per non aumentare la propria capacità produttiva.

 

 

 

 

 

[1] Medico specialista della sanità pubblica e di etica medica.

[2] Centro africano di prevenzione e lotta contro le malattie dell’Unione Africana (Africa CDC), Bollettino d’informazione n. 85: sulla pandemia della malattia del Coronavirus (Covid-19), 31 agosto 2021.

[3] https://www.seneplus.com/opinions/senegal-une-gestion-sanitaire-problematique

[4] https://www.rfi.fr/fr/afrique/20210718-covid-19-afrique-senegal-contaminations-tests-pasteur-diatropix-unitaid

[5] COVAX è un’iniziativa che ha lo scopo di assicurare un accesso equo alla vaccinazione contro il Covid-19 in 200 Paesi. E’ stata lanciata a fine aprile 2020 dall’OMS, la Commissione Europea, la Francia e la Fondazione Bill e Melinda Gates.

[6] The African Vaccine Acquisition Trust (AVAT) è un dispositivo basato sull’acquisto raggruppato di vaccini da parte dell’Unione africana.

[7] Otu, A., Osifo-Dawodu, E., Atuhebwe, P., Agogo, E., & Ebenso, B. (2021). Beyond vaccine hesitancy: time for Africa to expand vaccine manufacturing capacity amidst growing COVID-19 vaccine nationalism. The Lancet. Microbe.

[8] Lachenal, Guillaume, Le médicament qui devait sauver l’Afrique : un scandale pharmaceutique aux colonies, La Découverte, 2014 (Il farmaco che doveva salvare l’Africa: uno scandalo farmaceutico nelle colonie – NdT).

[9] Marie-France Cros RDC : Tshisekedi promeut « des produits anti-COVID» congolais à Berlin, La Libre Afrique (consulté le 8 septembre 2021)
https://afrique.lalibre.be/63333/rdc-tshisekedi-promeut-des-produits-anti-covid-congolais-a-berlin/

[10] La cerchia di Félix Tshisekedi chiarisce il suo rifiuto di farsi vaccinare contro il Covid-19
https://www.rfi.fr/fr/afrique/20210704-rdc-l-entourage-de-f%C3%A9lix-tshisekedi-clarifie-son-refus-de-se-faire-vacciner-contre-le-covid-19

[11] Otu, A., Osifo-Dawodu, E., Atuhebwe, P., Agogo, E., & Ebenso, B. (2021). Beyond vaccine hesitancy: time for Africa to expand vaccine manufacturing capacity amidst growing COVID-19 vaccine nationalism. The Lancet. Microbe.

[12] Agenzia francese dello sviluppo (AFD), L’économie africaine 2021, La Découverte, 2021

[13] Banque Mondiale, Rapport 2020 sur la pauvreté et la prospérité partagée, 2021
https://openknowledge.worldbank.org/bitstream/handle/10986/34496/211602ovFR.pdf

[14] Agenzia francese per lo sviluppo (AFD), L’économie africaine 2021, La Découverte, 2021.

[15] Le Conferenze nazionali designano, nell’Africa francofona, un periodo di transizione democratica che ha avuto luogo negli anni ’90, e si sono svolte sotto forma di conferenze in diverse ex colonie francesi e belghe.

[16] https://www.lexpress.fr/actualite/monde/afrique/cote-d-ivoire-85-morts-lies-a-l-election-depuis-aout_2138442.html (consultato il 14 settembre 2021).