Ucraina: fascisti di ieri e di oggi

Miguel Lawner*

I miei genitori sono nati in Ucraina. Vivevano nel sud-ovest del paese, vicino alla frontiera polacca, in villaggi popolati principalmente da famiglie di agricoltori ebrei. Bastava attraversare il fiume Dniester per entrare in territorio polacco.

Dopo il trionfo della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 il potere zarista crollò in tutto l’impero, ma all’inizio i bolscevichi furono in grado di dominare solo il territorio tra San Pietroburgo e Mosca.

C’era dunque un vuoto di potere in Ucraina, che portò all’emergere di quelle che erano conosciute come Bande Bianche, bande di avventurieri di tutti i tipi, compresi ex membri dell’Okhrana (la polizia segreta dello zar), che vagavano per il paese compiendo assalti a villaggi come quello dove vivevano i miei genitori. La più famosa era quella guidata da Simon Petliura[1], di cui mia madre mi raccontava con orrore le violenze.

Questi attacchi vengono definiti con la parola russa pogrom, che significa devastazione. È un termine che indica gli attacchi alle comunità ebraiche e che ha origine in Ucraina, dove la persecuzione degli ebrei iniziò alla fine del XIX secolo, quando gli ebrei furono accusati, senza prove, di essere responsabili dell’assassinio dello zar Alessandro II, avvenuto nel 1881.

I miei genitori raccontavano di come avevano dovuto appostare delle vedette sulle cime degli alberi più alti, per scrutare l’orizzonte. Appena in lontananza appariva della polvere era segno che la cavalleria di Petliura si stava avvicinando; tutti si affrettavano dunque a scendere nelle cantine sotterranee, costruite appositamente per tenere al sicuro loro e i loro animali, che venivano anestetizzati per garantire il silenzio assoluto. Angosciati, ascoltavano i banditi che picchiavano le armi contro il pavimento per localizzare l’accesso ai sotterranei.

Secondo Solzenitcyn, degli 887 pogrom registrati in Ucraina tra il 1918 e il 1920 circa il 40% può essere attribuito alle bande guidate da Petliura. La famiglia di mio padre, composta da 8 fratelli con i loro genitori, decise di emigrare in America. Nel 1921 abbandonarono tutto e passarono in Polonia, imbarcandosi nel porto di Danzica in direzione di Buenos Aires, per stabilirsi infine in Cile un anno dopo.

La famiglia di mia madre, composta da altre due sorelle e due fratelli, rimase in Ucraina. Quando Hitler invase l’Unione Sovietica nel giugno del 1941, il governo sovietico ordinò l’evacuazione totale delle città vicine al confine. Le due sorelle di mia madre obbedirono a questo ordine e si misero in viaggio per circa duemila chilometri, camminando per la maggior parte del tempo o viaggiando a volte in camion, a volte in treno, fino a raggiungere l’altro lato degli Urali, dove i sovietici avevano spostato gran parte della loro industria bellica. Rimasero lì fino alla fine della guerra.

Dei due fratelli, uno si arruolò nell’Armata Rossa e fu presto ucciso in combattimento. L’altro, sposato e con due bambini piccoli, si rifiutò di evacuare, dicendo alle sorelle: “I tedeschi non sono così male. Ora possiamo fare del buon gishef[2]“.

In Ucraina, i nazisti non ebbero bisogno di organizzare una Einsatzgruppe, le unità di polizia specializzate nel rastrellamento delle famiglie ebree e nel loro trasferimento nei campi di sterminio. Questo compito fu svolto con piena soddisfazione dai gruppi fascisti ucraini, il cui antisemitismo e anticomunismo erano e sono ancora radicati, così come il loro sentimento anti-russo. Furono loro a denunciare i nostri parenti non appena arrivarono le truppe d’occupazione naziste. Mio zio, sua moglie e i suoi due figli furono portati nei campi di sterminio, subendo la stessa sorte dei 6 milioni di ebrei gassati e cremati dai nazisti nel corso della seconda guerra mondiale.

I fascisti ucraini non si limitarono a cacciare gli ebrei dalla loro patria, ma organizzarono un corpo d’armata che si unì alle truppe naziste nella guerra contro l’Unione Sovietica, dove si fecero notare per la loro ferocia in combattimento. Uno dei principali organizzatori di questo distaccamento di mercenari e traditori della patria era Petro Krasnov, un leader cosacco che era andato in esilio dopo che i bolscevichi avevano preso il potere in Ucraina e che era tornato per servire l’esercito tedesco. Questo Petro è il nonno del colonnello Miguel Krassnoff[3], condannato dai tribunali cileni per il ruolo avuto nella tortura e nella sparizione di numerosi compatrioti.

L’avvocato Gabriel Zaliasnik, fino a poco tempo fa presidente della comunità ebraica in Cile, ha rivelato che “con l’ascesa al potere di Hitler, e in particolare in occasione dell’invasione nazista dell’ex Unione Sovietica, Petro Krasnov accettò l’incorporazione di unità cosacche nell’esercito tedesco. Tra questi soldati c’era proprio il padre del colonnello Miguel Krassnoff, Semeon Krassnoff. Sia il nonno che il padre del colonnello Krassnoff furono processati per crimini di guerra, tradimento e collaborazione con il nemico e condannati dalla Corte Suprema dell’URSS alla pena di morte. Furono infine giustiziati per fucilazione nel cortile della prigione di Lefortovo nel gennaio 1947”, e non sulla Piazza Rossa, per aver combattuto il comunismo, come disse “l’ex ministro del governo militare Alfonso Márquez de la Plata” in “un giornale della sera”[4].

Alla fine della guerra, le due sorelle di mia madre si misero in viaggio per tornare a casa, camminando a piedi per gran parte del percorso. Durante il viaggio, la sorella maggiore morì, lasciando una figlia piccola di nome Bella, nata dal suo matrimonio con Motia, anche lui di origine ebraica, che si era arruolato nell’Armata Rossa e che terminò la guerra con il grado di colonnello. L’unica sorella sopravvissuta di mia madre, mia zia Brane, insieme a suo cognato Motia e a sua nipote, arrivarono nel 1946 nella stessa casa nella città di Kamenetz-Podolsk che avevano lasciato all’inizio dell’invasione dell’esercito tedesco.

Dopo la fine della guerra, mia madre scrisse una lettera dopo l’altra finché nel 1962 riuscì a ristabilire il contatto con sua sorella Brane. Fu solo allora che potemmo riprendere una corrispondenza stabile e venimmo a conoscenza del drammatico destino dei nostri parenti. Nel 1971 invitammo la zia Brane a venire in Cile, dove rimase con noi per tre mesi; potemmo così conoscere meglio le indicibili sofferenze vissute durante la guerra.

Settant’anni sono passati tra l’incorporazione dell’Ucraina nell’Unione Sovietica nel 1922 fino al crollo dell’URSS nel 1991. A parte gli anni dell’occupazione nazista, l’Ucraina si sviluppò per tutto quel periodo senza conflitti etnici o razziali, ma è bastato che terminasse il potere sovietico per scatenare nuovamente lo sciovinismo e la persecuzione contro le famiglie di origine ebraica, al punto che la Germania stessa ha deciso di venire in loro aiuto.

Come forma di riparazione per tanti crimini e danni commessi contro gli ebrei, il governo tedesco ha organizzato un grande programma di rifugiati, salvando migliaia di famiglie vittime dell’antisemitismo scatenato nuovamente in Ucraina, e le ha fatte stabilire sul proprio territorio, fornendo loro ogni tipo di sostegno finanziario e sociale. Mia zia Brane, suo cognato Motia, sua nipote Bella e suo figlio quindicenne Roman sono arrivati nel 1994 a Mulheim, vicino a Dortmund, dove hanno potuto stabilirsi, studiare e lavorare senza problemi. Mia zia Brane è morta lì nel 1997. Durante un viaggio in Europa un anno prima siamo andati a trovarli e abbiamo trovato mia zia malata e ricoverata in ospedale, dove è morta poco dopo.

Dopo il crollo del mondo socialista, l’Ucraina, come le altre repubbliche che hanno seguito quel percorso, ha vissuto una brutale restaurazione del capitalismo. Tutte le conquiste in materia di istruzione, sanità, assistenza sociale e sviluppo urbano sono state smantellate, accompagnate da una gigantesca campagna mediatica anticomunista volta a bloccare la memoria storica dei suoi popoli.

La globalizzazione ha esacerbato la cultura del consumismo, della competitività e della violenza, portando con sé l’illusione di un presunto benessere per un nucleo ridotto della società e colpendo le conquiste sociali e le tasche della grande maggioranza della popolazione.

Un pugno di ex funzionari del regime si è impadronito di tutte le aziende statali, generando vergognose fortune multimilionarie; tra essi l’ex primo ministro dell’Ucraina, Yulia Timoshenko, ora rilasciata dalla prigione dove è stata detenuta per tre anni, così come il primo ministro Yanukovych, recentemente destituito[5], rappresentano due gruppi dell’attuale oligarchia corrotta, in lotta per il potere. Le loro fortune provengono dalla privatizzazione delle imprese pubbliche, un campo in cui alcuni uomini d’affari cileni sono stati discepoli notevoli.

La crisi iniziata negli Stati Uniti nel 2008 ha condotto a un forte rallentamento economico la maggior parte delle nazioni europee. Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e ora anche l’Italia hanno tassi di disoccupazione vicini o superiori al 20%. Milioni di cittadini indignati marciano per strada o scendono nelle piazze di molte città europee, protestando per il brusco deterioramento delle loro vite, soprattutto i giovani, che vedono un triste futuro davanti a sé.

L’Ucraina non fa eccezione. Tuttavia, il legittimo malcontento popolare è stato rapidamente monopolizzato dai fascisti di oggi, che hanno preso il controllo delle proteste nella Piazza dell’Indipendenza di Kiev, brandendo armi ed erigendo barricate. I cancellieri di Germania e Canada, così come il senatore repubblicano MacCaine, sono accorsi in loro sostegno, esortando i loro ragazzi “a combattere per la democrazia fino alla fine”. Accanto alle bandiere ucraine, sono state issate le bandiere dei secessionisti ceceni e del più radicale dei gruppi islamici che combattono oggi in Siria.

La disperazione del popolo ucraino è stata abilmente sfruttata dai militanti fascisti ucraini del partito Svoboda (Libertà), un raggruppamento di nazionalisti fanatici il cui motto è «Ucraina al di sopra di tutto», analogamente al motto nazista «Deutschland über Alles» (Germania al di sopra di tutto). Illustrativo del fanatico zelo nazionalista che li ispira è il fatto che una delle loro prime misure è stata quella di imporre attraverso il parlamento un accordo che dichiara l’ucraino unica lingua ufficiale, in una situazione in cui quasi il 40% della popolazione è di origine russa e non parla praticamente altre lingue.

Il Partito Comunista d’Ucraina ha appena rilasciato una dichiarazione in cui sottolinea quanto segue: “Le azioni dei gruppi di ultradestra, guidati da forze apertamente neonaziste emerse sotto l’egida del regime di Yanukovych ed eredi ideologiche degli occupanti hitleriani, sono accompagnate da una nuova ed estremamente pericolosa recrudescenza dell’isteria anticomunista, che si manifesta nella diffusa distruzione dei monumenti a Lenin e agli eroi della Grande Guerra Patriottica[6], negli assalti criminali alle sedi del nostro partito a Kiev e in altre città del paese, nel terrore morale e fisico contro i comunisti e nelle richieste di vietare l’attività del Partito Comunista”.

Il quadro in Europa in questi giorni sta cominciando ad assomigliare troppo a quello degli anni ’30, prima dell’ascesa al potere di Hitler. In Francia, recenti sondaggi confermano che il partito di estrema destra Fronte Nazionale, guidato da Marine Le Pen, appare come l’opzione più votata in vista delle elezioni al Parlamento europeo del prossimo maggio.

In Grecia, il gruppo fascista Alba Dorata, che addirittura usa il saluto nazista, è entrato per la prima volta in parlamento. In Austria, Danimarca, Ungheria, Norvegia e Serbia le organizzazioni politiche di estrema destra hanno ottenuto un significativo sostegno popolare negli ultimi anni.

Non è un caso… l’impoverimento dei settori popolari e dei ceti medi d’Europa li rende facile preda del messaggio razzista e nazionalista, soprattutto se a questo si aggiunge la debolezza delle organizzazioni sociali e politiche di sinistra.

L’Ucraina è un caso particolarmente significativo in questo senso, date le radicate radici fasciste, rimaste latenti durante l’esistenza dell’URSS ma che oggi rinascono rafforzate dalla natura escludente del modello economico neoliberale. Tuttavia, mi è difficile ammettere che i valori umanisti e la solidarietà che conoscevamo siano scomparsi in questo terreno fertile.

Due libri ambientati in Ucraina ci avevano commosso in gioventù. Uno è il Poema Pedagogico di Anton Makarenko, sulla creazione in Ucraina di una colonia per il recupero i giovani di entrambi i sessi, che vagavano sul territorio come vagabondi o delinquenti. Si trattava di una situazione creatasi in seguito agli sconvolgimenti familiari causati dalla rivoluzione del 1917, e anche a causa del successivo intervento delle tre potenze e dei pogrom di cui sopra.

L’autore del libro è un insegnante che, alla fine degli anni ’20, venne incaricato dalle autorità sovietiche di dirigere la colonia intitolata a Maxim Gorky. Makarenko ricorre a metodi spesso discutibili per creare abitudini di convivenza, di studio e di lavoro collettivo tra ragazzi molto indisciplinati, con i quali arriva a fare a pugni. È stupefacente la reintegrazione sociale di questi veri e propri casi persi.

L’altro libro si intitola The Regional Clandestine Committee Acts, di Oleksiy Fedorov, che è il protagonista e l’autore del libro. Fedorov era il segretario regionale del partito comunista nella regione di Cernihiv quando ci fu l’invasione tedesca; si decise che entrasse in clandestinità per organizzare la resistenza di retroguardia contro l’occupazione tedesca, approfittando dell’esistenza di una grande area boschiva, propizia a questa operazione.

Era una guerriglia contro un nemico feroce e pesantemente armato, che veniva attaccato quotidianamente durante il trasporto delle truppe e dei rifornimenti. L’eroismo di questi combattenti clandestini diede un grande contributo alla vittoria dell’Armata Rossa, che alla fine scacciò gli invasori. Fedorov e i suoi compagni ucraini furono onorati alla fine della guerra come eroi dell’Unione Sovietica. Ricordo con grande emozione la lettura di questo libro, che ha segnato una tappa importante della mia gioventù.

Non può essere che i Makarenko e i Fedorov siano scomparsi. Forse sono troppo ottimista, ma non sarà Putin a fermare il fascismo in Ucraina o nella Federazione Russa. Saranno gli stessi abitanti di quei territori eroici a cui dobbiamo il fatto di aver messo fine alla barbarie, quasi 70 anni fa.

*Architetto cileno, nato nel 1928, fu incarcerato nella Escuela Militar durante il golpe di Pinochet, inviato ai lavori forzati sull’isola Dawson ed infine mandato in esilio in Danimarca.  

 

[1] Questo, come gli altri nomi ucraini del testo, è traslitterato in italiano dalla sua grafia ucraina e non russa (NdT).

[2] Yiddish: affari.

[3] La differenza tra il cognome del nonno e quello del nipote è dovuta alla traslitterazione diversa tra l’italiano (Krasnov) e lo spagnolo (Krassnoff) dell’originale cognome russo Краснов (NdT).

[4] Cooperativa.cl. Lunedì 21 novembre 2011.

[5] L’articolo è del 2014 (NdT).

[6] E’ la denominazione russa della II Guerra mondiale (NdT).