Polonia, tra stereotipi e possibili alternative

di Patrizio Digeva –

Da osservatore italo-polacco e militante di sinistra c’è una questione sulla quale di recente ho avuto più di un’occasione per riflettere e che mi sta particolarmente a cuore: quella, cioè, di tentare di alimentare un dibattito generale meno superficiale e stereotipato riguardo al panorama politico e sociale polacco. Ad essere onesto, trovo mediaticamente fuorviante, per esempio, vedere la parola fascismo sovente associata all’attuale governo polacco e ciò mi spinge ad intervenire per porre nella giusta luce questo delicato argomento. Il mio intento è quello di stimolare una riflessione più seria e matura, senza semplificazioni di sorta (anche come autocritica costruttiva, perché credo sia importante). Il fatto che in Europa i tradizionali mass media e buona parte della sinistra cosiddetta radicale (ahimè) spesso dicono che il presente esecutivo polacco sia un governo clerico-fascista a prescindere mi appare alquanto opinabile perché a mio avviso rappresenta una forzata semplificazione della realtà, che non tiene nel giusto conto i chiaroscuri e le sfumature storiche di questa nazione. La notoria affermazione secondo la quale il corrente governo sia clericale è comprensibile e la condivido in pieno, perché è una considerazione legittima e del tutto veritiera. Ma dire apertamente che sia fascista è ben altra questione. Cerco di spiegarmi. Che cos’è il fascismo? Il fascismo è l’inizio di un virus, anzi di un cancro che si è poi metastatizzato ed ha preso una nuova ed ancor più terribile forma nel nazismo. Senza il fascismo, il nazismo non sarebbe venuto alla luce. A mio modo di vedere le cose, nel caso polacco, il nazionalismo del Partito al potere (il PiS, Prawo i Sprawiedliwość = Diritto e Giustizia) non è un nazionalismo di tipo fascista, piuttosto una tipologia di pomposo nazionalismo incentrato su una costante ed affannosa ricerca di una comune identità a sfondo etnico e soprattutto religioso. E nazifascismo in Polonia (giustamente) è sinonimo di guerra, deturpazione e distruzione del proprio Paese.

Sto dicendo che in Polonia non esistono i fascisti? Non sto dicendo questo; purtroppo esistono anche lì; ma se ci sono, essi sono minoritari gruppi di facinorosi che non riescono ad avere una sana coscienza storica di sé, né individuale né collettiva e che utilizzano la religione come arma politica, principalmente in funzione anticomunista (per ovvie ragioni storiche che noi tutti conosciamo) ed iperidentitaria: è questa una delle questioni principali da analizzare, a mio avviso, e che rappresenta una solida comunanza di intenti con il PiS. Ed il PiS usa questi personaggi (di solito – ma non esclusivamente – disagiati teppisti da stadio che all’opinione pubblica generalmente provoca profondo fastidio) solo come pedine per scopi elettorali, e non per fini ideologici. Ciò, secondo me, rappresenta una mera mossa politica di Partito dettata dall’alto e da freddo pragmatismo, piuttosto che da una sincera convergenza ideologica. Se volessimo fare riferimento ad un considerevole ed influente movimento slavo di ispirazione fascista, in Polonia -a mio avviso- non esisterebbe un valido candidato; per lo meno non uno che abbia reali possibilità di venir ufficialmente legittimato a livello politico ed in maniera generalizzata tra la popolazione. Se volessimo cercare un esempio di veri e propri fascisti slavi, potremmo menzionare i cosiddetti banderowcy (plur., dal nome del leader ucraino Stephan Bandera, un noto criminale di guerra): banderowiec (sing.) è un termine polacco diffamatorio e designante quei fanatici indipendentisti e collaborazionisti ucraini che durante la guerra uccisero migliaia di polacchi (ebrei e non) nei territori dell’attuale Ucraina, i quali prima della guerra appartenevano alla Seconda Repubblica Polacca. I banderowcy erano (e sono) un manifesto esempio di veri e propri fanatici ipernazionalisti, giunti recentemente alla ribalta mediatica dopo la rivoluzione ucraina del 2014 in funzione anti-Janukovyč, sulla spinta dei movimenti di estrema destra antirussi (ed antipolacchi) che si oppongono principalmente all’influenza della Russia sull’Ucraina e, in misura minore, alla storica presenza polacca in quelle zone. Scrivo questo perché secondo me bisogna tenere bene in mente che i polacchi sono stati uno dei pochissimi popoli che durante la guerra non hanno avuto alcun tipo di collaborazionismo istituzionalizzato con l’invasore nazifascista, a parte sporadiche situazioni a titolo del tutto personale. La Polonia in proporzione è stato il Paese al mondo che più di tutti gli altri ha patito i danni del conflitto a livello demografico (grosso modo un 15 per cento dell’intera popolazione prebellica); dei 6 milioni di ebrei sterminati, metà erano polacchi. E tutto questo l’opinione pubblica polacca ne è a conoscenza e tende a preservarne la memoria. La Polonia ha sofferto troppo per via delle ostilità ed ha dato tanto alla lotta contro il nazifascismo e questa verità storica è ampiamente documentata e la sua eredità storica è stata sinceramente e profondamente interiorizzata sia tra l’opinione pubblica locale sia tra i governanti; quindi sarebbe meglio vagliare tutte queste considerazioni storiche prima di saltare a conclusioni affrettate e semplicistiche, tacciando l’esecutivo polacco di fascismo a priori; commettendo da questo punto di vista lo stesso errore di valutazione dei grandi mass media, i quali sono guidati da interessi politici ben precisi nelle loro valutazioni verso un governo che a suo modo è illiberale; nel senso di artefice fondamentale (e a volte autoritario) di riforme politiche centralizzate, ma di carattere manifestamente conservatore e con l’esplicito avallo della ultrareazionaria Chiesa Cattolica locale. Allora uno (giustamente) si chiede chi è che vota PiS e perché esso ha tanto seguito. Ebbene la risposta pure è significativa: buona parte di quelli che prima votavano SLD (Sojusz Lewicy Demokratycznej = Alleanza della Sinistra Democratica, la sinistra ex-comunista, due volte al potere tra gli anni ’90 e i primi anni 2000, la quale si è progressivamente ridotta nei numeri) sono attualmente più inclini a votare un partito come il PiS (promotore di manovre economiche centralmente pianificate in termini di sviluppo sociale) che non un partito centrista tipo il PO (Platforma Obywatelska = Piattaforma Civica, dell’ex-premier Donald Tusk, ontologicamente liberista fino al midollo ed a favore della privatizzazione ad ogni costo). Sembra un paradosso (ma non l’unico a livello mondiale se uno ci fa caso), eppure è così. Infatti con un calo di popolarità dei tradizionali Partiti di sinistra e con un governo di destra sì, ma sociale, (il quale dall’alto del suo appariscente patriottismo ostenta la promulgazione di stimolanti riforme a favore delle categorie sociali più vulnerabili), il discorso religioso sembrerebbe passare in secondo piano per una fetta non indifferente di elettori; i quali -nel migliore dei casi- sono a favore di queste misure per il loro basilare carattere sociale appunto (i meno abbienti, i pensionati, i nuclei famigliari con più figli a carico etc.); nel peggiore dei casi, invece, c’è chi lo fa soprattutto per un sospinto fervore religioso in funzione xenofobica (con annesse tendenze antisemitiche, dalle quali –tuttavia- da questo punto di vista il PiS è ufficialmente tenuto a dissociarsene come analizzato sopra; cosa che infatti fa ogni volta che esplode qualche scandaloso e spontaneo rigurgito antisemita tra una parte della popolazione meno educata) ed omofobica. Oltretutto, non è detto che nel mezzo non ci sia chi lo fa per gli uni e per gli altri motivi; i due orientamenti non sono necessariamente in contraddizione, soprattutto per quelle fasce di popolazioni meno istruite e più facile preda di pericolosi ed esplosivi dietrologismi.

 

Per fortuna, però, una recente forza politica marcatamente più di sinistra rispetto al tradizionale SLD (che da questo punto di vista presenta vaghe analogie con la progressiva metamorfosi subita dal PCI dopo la Svolta della Bolognina) ha iniziato a delinearsi all’orizzonte nello scenario politico polacco; la quale sta attirando maggiori consensi tra la gente, soprattutto fra la nuova generazione: Lewica Razem (Sinistra Insieme). Esso è un Partito fondato nel 2015 con la denominazione di Razem (Insieme), il quale ha assunto il presente nome nel 2019 per designare il singolo soggetto politico anziché la coalizione intera (chiamata Lewica = Sinistra, della quale fa anche parte il nuovo soggetto partitico di Nowa Lewica = Nuova Sinistra, formata dall’ex-SLD + l’ex- Wiosna = Primavera) alla quale Razem è stata chiamata a far parte in occasione delle elezioni parlamentari di quell’anno. Lewica Razem attualmente rappresenta un Partito fatto più che altro di giovani e portatore di istanze progressiste ed europeiste e dai toni fortemente socialisteggianti. Per questo motivo potrebbe rappresentare in Polonia una valida alternativa ed una incipiente speranza di socialismo democratico, con vocazione europeista, a lungo termine per il popolo polacco. Dopo le elezioni del 2019, la coalizione Lewica ha ottenuto 49 seggi (Nowa Lewica 43 + Lewica Razem 6) nella Camera bassa (il Sejm) e 2 seggi nel Senato (il Senat) ed è entrata in Parlamento; un risultato non così deludente se uno pensa che dopo la progressiva disfatta elettorale degli ultimi 15 anni della sinistra rappresentata dall’SLD, il panorama sociale polacco è stato (ed attualmente in parte lo è ancora) monopolizzato dal duo partitico PiS e PO. Il primo si muove attraverso una prospettiva governativa centralizzante e da destra (tuttavia -come ho già cercato di delineare sopra- non in chiave fascista a mio avviso, ma direi in chiave nettamente più religiosa ed identitaria); mentre il secondo agisce attraverso una prospettiva visceralmente liberista ed antistatalista, intesa come opposizione ideologica a tutte le manovre –reali o presunte- assistenzialistiche della pubblica amministrazione, inevitabilmente descritte come dispersive dal punto di vista economico e populisticamente dipinte come populiste dalla propaganda capitalista di cui il PO si fa fieramente portavoce. Entrambi i Partiti, tuttavia, convergono su una questione di non poco conto a livello di politica estera: sono entrambi dei convinti sostenitori delle posizioni atlantiste e pro-NATO; una questione sulla quale, invece, la coalizione Lewica si mostra indubbiamente (e direi giustamente) molto più scettica. L’esperimento di Lewica è stata, finora, un’esperienza a mio avviso positiva e costruttiva, che ha finalmente ridato corpo istituzionale ad un progetto di sinistra del quale la Polonia ha estremo bisogno, per combattere sia il deleterio e subdolo liberismo del PO, sia il fervore religioso-identitario (che a tratti rasenta l’oscurantismo medievale) del PiS.

La strada è ancora lunga, ma un soggetto politico decisamente più democratico e popolare è ora presente nel Parlamento polacco e questo non può non essere considerato un fattore oggettivamente positivo alla luce dell’attuale situazione: come già menzionato, Lewica è riuscita a eleggere 51 membri nel Parlamento grazie alle ultime elezioni nel 2019, rendendo così questa coalizione la terza forza politica più grande della Polonia e controbilanciando un’assenza totale di quattro anni della sinistra polacca nel Parlamento; ed inaugurando in tal modo una, seppur piccola, presenza parlamentare marcatamente più socialista nei tempi presenti. Questa vittoria indubbiamente è anche dovuta al fatto che i maggiori Partiti di sinistra abbiano deciso di coalizzarsi e di affrontare il percorso insieme e a quanto pare è stata una scelta che ha portato i suoi frutti dal punto di vista elettorale.

La strada è ancora molto lunga ed accidentata, però da questa esperienza condivisa noi simpatizzanti e militanti in Italia potremmo cercare di trarne le giuste conclusioni e provare sinceramente a capire perché un soggetto politico come Lewica in un Paese ex-comunista abbia avuto più successo di una coalizione come Potere al Popolo durante le nostre ultime elezioni, quelle del 2018. Indipendentemente dalle specifiche variabili di ogni circostanza, l’esperienza di Lewica ha tuttavia mostrato che l’unione può davvero fare la forza, una lezione che in Italia (a mio umile avviso) spesso si tende a dimenticare oppure a marginalizzare.