Unione Europea: finché c’è guerra c’è profitto

L’Italia al sesto posto nell’export mondiale di armamenti. Leonardo è la 13ma azienda bellica al mondo. E il Consiglio Europeo punta al riarmo.

Di Giovanni Monaci –

“L’ Unione europea è determinata ad aumentare la sua prontezza alla difesa e le sue capacità di difesa complessive affinché siano all’altezza delle sue esigenze

e ambizioni nel contesto delle crescenti minacce e sfide per la sicurezza. (…) La base industriale e tecnologica di difesa europea dovrebbe essere rafforzata di conseguenza in tutta l’Unione”.

Il summit dei capi di Stato e di governo dello scorso 21 marzo ha posto al centro di ogni discussione la guerra, mettendo nero su bianco nel documento conclusivo l’insistenza sulle spese per armare gli eserciti dei 27, anche se rimangono i consueti distinguo tra “frugali” e non sulle modalità di finanziamento.

Vi si legge dell’ “impegno comune di aumentare in modo sostanziale la spesa per la difesa, e investire insieme in modo migliore e più rapido; migliorare l’accesso dell’industria europea della difesa ai finanziamenti pubblici e privati”. A livello dei singoli governi, mentre c’è chi spinge apertamente (il francese Macron) per l’invio di truppe in Ucraina, si riapre la prospettiva del ritorno alla leva obbligatoria: serve nuova “carne da cannone”, dato che le guerre stanno tornando alle trincee e alle carneficine di soldati, oltre al massacro di civili innocenti!
Già il rapporto annuale sulla spesa militare globale dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) del maggio 2023 aveva riscontrato il record della spesa militare mondiale nel 2022, cresciuta per l’ottavo anno consecutivo, fino al massimo storico di 2.240 miliardi di dollari. E l’aumento di gran lunga più marcato (+13%) era stato registrato in Europa.
Con l’’Italia al 12esimo posto della classifica, immediatamente dietro l’Ucraina, con una spesa di 33,5 miliardi di dollari nel 2022.

Nel marzo di quest’anno poi, il Sipri ha pubblicato la scheda sui “Trends In International Arms Transfers, 2023”: un quadro del commercio internazionale di armi nel quinquennio 2019-2023, identificando 66 Stati come esportatori di sistemi d’arma. Usa, Francia, Russia, Cina e Germania, nell’ordine i cinque più grandi esportatori, rappresentano da soli il 75% dell’esportazione globale di armamenti. Ma subito dopo, al sesto posto, si colloca l’Italia che copre il 4,3% dell’esportazione mondiale – davanti ad altri “campioni” dell’export bellico quali il Regno Unito o Israele, o la stessa Turchia – ed è fra i primi dieci il Paese con il maggior incremento percentuale sul quinquennio precedente 2014-18: +86%.

L’esportazione di armamenti del blocco occidentale (Usa più paesi dell’Europa occidentale) cresce tra i due periodi del 10%, raggiungendo il 72% delle esportazioni mondiali.
Secondo il Sipri, il 71% delle esportazioni di armi italiane ha per destinazione il Medio Oriente, dove l’import bellico dall’Italia si trova al terzo posto, dopo Usa (52%) e Francia (12%). Tra i principali beneficiari c’è il Qatar (terzo importatore mondiale), cui l’Italia ha venduto il 15% dei sistemi d’arma acquistati nel periodo, e l’Egitto, del quale l’Italia è il secondo paese esportatore con il 22%, dopo la Germania (27%) e prima della Russia (20%).
Tra i principali acquirenti dall’Italia non manca certo Israele, a dispetto del divieto che la legge 185/90, pone alla vendita di armi a paesi belligeranti.

Contrariamente a quanto assicurato dal governo Meloni, un’inchiesta del mensile Altraeconomia ha rivelato che l’export italiano di “Armi e munizioni” verso Tel Aviv non è stato “bloccato” dopo l’inizio dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza. Lo certificano le statistiche del commercio estero dei mesi di ottobre e novembre 2023. Le cifre, pur esigue, impongono chiarezza: nei due mesi, infatti, l’Italia ha esportato armi e munizioni verso Israele per un valore di 817.536 euro. Sempre Altraeconomia ha denunciato come le corvette israeliane, impegnate come le forze di terra e aria nell’attacco contro Gaza, siano armate dall’Italia, in particolare da Leonardo e Simmel Difesa. Infatti, dagli anni ‘70 la Oto Melara, oggi controllata da Leonardo, ha dotato di cannoni da 76 mm le imbarcazioni Sa’ar 3, 4 e 5, che hanno a bordo il sistema radar per il fire-control Orion Rtn-10X, prodotto da Selenia, sempre del gruppo Leonardo. Simmel, con base a Colleferro (Roma), ha suscitato minor attenzione, ma è la maggior produttrice italiana di munizionamento di medio e grosso calibro e leader internazionale nel munizionamento navale.

Non è un caso se, nel 2022, Leonardo era al 13mo posto nella graduatoria Sipri delle prime 100 aziende al mondo per produzione e vendita di sistemi d’arma, con un fatturato bellico di 12.470 milioni di dollari (83% del fatturato totale), mentre Fincantieri si trovava al 46esimo posto con un fatturato militare di 2.820 milioni di dollari (36% del totale). Nel 2023 Leonardo ha visto crescere i suoi ricavi dal 3,9% al 15,3%. Il valore delle sue azioni è cresciuto in un anno dell’88%.

 

Fonte: www.sinistrasindacale.it