L’economia di guerra durante la Seconda Guerra Mondiale (Parte II)

economia di guerra seconda guerra mondiale

di Andrea Vento *

Il concetto di economia di guerra

I due Paesi coinvolti direttamente nel conflitto, Ucraina e Russia, hanno dovuto necessariamente apportare profonde modificazioni alla propria struttura economica per far fronte allo sforzo bellico tali da costringere gli economisti a far ricorso ad un concetto che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale era rimasto relegato nelle pagine dei manuali: economia di guerra.

Gli esperti ricorrono a tale terminologia quando uno Stato riorganizza la struttura della propria economia nel corso di un conflitto per garantire che la capacità produttiva venga configurata in modo ottimale per sostenere lo sforzo bellico.

Con l’economia di guerra, i governi devono assicurare che le risorse siano allocate in modo efficiente per far fronte sia all’impegno militare, sia alla domanda proveniente dalla società civile. In sostanza, costituisce, da un lato, una necessità per garantire la difesa e la sicurezza del Paese e, dall’altro, una strategia finalizzata all’ottenimento di un vantaggio economico e produttivo sulla controparte.

L’economia di Guerra durante la Seconda Guerra Mondiale

Nel corso della storia si sono verificati non infrequenti casi di Paesi che a seguito dell’attuazione di una economia di guerra, non avendo subito gravi distruzioni, al termine del conflitto hanno beneficiato di un ampliamento e un rafforzamento del loro struttura produttiva, come gli Stati Uniti al termine della Seconda Guerra Mondiale. Sussistono anche situazioni di Stati che dopo aver subito la devastazione bellica dell’apparato produttivo, hanno sfruttato la ricostruzione per dotarsi di infrastrutture e impianti industriali moderni e tecnologicamente avanzati, come accaduto in Giappone e in Germania dopo l’ultimo conflitto mondiale. Mentre in Corea del Sud, i militari guidati dal generale Park Chung-hee, saliti al potere con un colpo di stato nel 1961, avviarono un processo di industrializzazione che, grazie al ruolo centrale dello Stato nell’economia, innescò in un Paese ancora rurale e sostanzialmente arretrato, oltre che devastato dal conflitto col Giappone e dalla Guerra di Corea (1950-53), un significativo processo di sviluppo socio-culturale e una forte crescita economica, passata alla storia come “miracolo sul fiume Han”[1].

In un contesto di economia di guerra i governi riservano priorità alle produzioni di sostegno dell’attività militare e possono ricorre a specifici provvedimenti economici quali: l’emissione di appositi strumenti finanziari per reperire risorse aggiuntive, come le obbligazioni di guerra,  ridistribuire le risorse fiscali a favore dello sforzo bellico a detrimento di altre necessità non prioritarie in tempo di guerra, incentivare le imprese private ad ampliare e a spostare la produzione verso il comparto militare, non che stabilire il razionamento dei prodotti alimentari per garantire l’approvvigionamento dell’intera popolazione.

Gli Stati coinvolti direttamente nella Seconda Guerra Mondiale necessariamente ricorsero ad una economia di guerra durante il conflitto, mentre la Germania nazista aveva già adottato tale modello a seguito della politica di riarmo implementata dopo la salita di Adolf Hitler alla Cancelleria nel 1933, spostando risorse dalla produzione di beni di lusso verso armamenti, mezzi ed equipaggiamenti militari, i cui frutti risultarono imponenti sin dal 1935 (tabella 1).

Diverso il caso degli Stati Uniti, i quali inizialmente non coinvolti nel conflitto mondiale, fra il 1 settembre del 1939 e il dicembre del 1941 hanno dapprima concentrato lo sforzo produttivo verso la produzioni di armi, munizioni e attrezzature indirizzate agli alleati europei beneficiando di una significativa ricaduta sul proprio ciclo economico, per poi ricorrere pienamente ad una economia di guerra dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour dell’8 dicembre 1941. Da quel momento, l’economia di guerra registrò un’inevitabile accelerazione con il governo federale che divenne committente e acquirente addirittura di oltre la metà della produzione industriale nazionale.

Il modello di economia di guerra statunitense, contrariamente agli altri Paesi belligeranti, non risultò caratterizzato da una pianificazione statale centralizzata tant’è che, ispirandosi alle logiche del mercato, il governo si limitò ad agire principalmente sul lato della domanda, lasciando l’offerta sostanzialmente libera. Tale politica economica determinò un considerevole afflusso di capitali verso le imprese che restò a disposizione anche al termine della guerra, anche in considerazione del fatto che il territorio continentale degli Stati Uniti non aveva subito distruzioni. Infine, il cospicuo aumento della presenza delle donne nelle fabbriche per sopperire alla chiamata alle armi di milioni di giovani maschi, la priorità assegnata ad alcuni comparti produttivi a discapito di altri, la conversioni di molte produzioni in senso militare e la massimizzazione dello sforzo produttivo, determinarono inevitabilmente una riorganizzazione ed un efficientamento del lavoro che continuò ad essere adottata anche nel dopoguerra.

L’economia statunitense, dopo la Grande depressione innescata dal crollo della Borsa di Wall Street del 24 ottobre del 1929, il “giovedì nero”, e l’introduzione del Primo New Deal (1934-35) da parte del presidente Franklin Delano Roosevelt, a seguito del parziale depotenziamento dei provvedimenti economici causato dalla dichiarazione di incostituzionalità della Corte Suprema Federale (tabella 1), scese nuovamente in recessione nel biennio 1937-38 e dovettero aspettare fino a quando l’amministrazione fu costretta a grosse spese federali per sostenere lo sforzo bellico durante la Seconda Guerra Mondiale, affinché l’economia nazionale recuperasse pienamente (grafico 1).

Tra il 1939 e il 1944 la produzione nazionale quasi raddoppiò. Di conseguenza, la disoccupazione cadde dal 14% del 1940 a meno del 2% nel 1943 (grafico 2), con la forza lavoro che crebbe di dieci milioni di unità.

L’economia di guerra non risultò tanto un trionfo della libera impresa, quanto il risultato dell’attività di finanziamento del governo che infatti registrò un eccezionale aumento del debito pubblico, il quale, in rapporto al Pil, passò dal 40% del 1938 ad oltre il 120% nel 1945 (grafico 3). Mentre la disoccupazione rimase alta per tutto il periodo del New Deal i consumi, gli investimenti e le esportazioni nette, i pilastri della crescita economica, rimasero bassi. Fu, quindi, la Seconda Guerra mondiale, non il New Deal, che mise la parola fine alla decennale depressione. Tantomeno il New Deal modificò in modo sostanziale la distribuzione del potere all’interno della società e dell’economia statunitense, accertato che determinò solo un piccolo, seppur significativo, beneficio per i ceti sociali più colpiti dalla Grande depressione.

Tabella 1:  indici della produzione industriale negli anni immediatamente seguenti la crisi del 1929, ponendo come riferimento a 100 il valore nel 1929.

andamento produzione industriale
In definitiva, il forte sviluppo dell’industria militare necessario per sostenere il fronte di guerra europeo e quello pacifico, la riorganizzazione del lavoro e l’aumento delle produzioni trainato dalla imponente domanda federale e dalla crescita dell’export anche di prodotti alimentari verso i Paesi alleati di Washington, vale a dire l’economia di guerra del 1941-45, si rivelarono fattori fondamentali nell’ascesa degli Stati Uniti a ruolo di superpotenza mondiale, decretandone il definitivo sorpasso ai danni dell’Impero britannico, dopo aver compiuto quello in campo economico già al termine della Prima Guerra Mondiale. Ruolo sancito proprio in quegli anni alla Conferenza di Bretton Woods del luglio 1944 durante la quale gli Usa capitalizzarono tutto il loro peso geopolitico, economico e militare riuscendo a far elevare il dollaro a moneta di riferimento degli scambi internazionali, oltre a ottenere l’introduzione delle parità fisse fra le divise e la convertibilità del dollaro in oro. Inoltre, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, istituzioni internazionali finanziarie fondate proprio in quel consesso a garanzia dell’ordine internazionale finanziario a guida statunitense, non casualmente ne venne stabilita la sede ad Washington.

*Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

 

Grafico 1: andamento del Pil degli Usa fra 1929 e 1941. Fonte: Federal Reserve 2006

Grafico 1: andamento del Pil degli Usa fra 1929 e 1941. Fonte: Federal Reserve 2006

 

Grafico 2: tasso di disoccupazione negli Usa fra 1910 e il 1962.  In evidenza su sfondo azzurro chiaro gli anni della Grande Depressione (1929-1939).

Grafico 2: tasso di disoccupazione negli Usa fra 1910 e il 1962. In evidenza su sfondo azzurro chiaro gli anni della Grande Depressione (1929-1939).

 

Grafico 3: rapporto debito/Pil in percentuale degli Usa fra il 1929 e 1950
Grafico 3: rapporto debito/Pil in percentuale degli Usa fra il 1929 e 1950

 

[1] “Insubordinazione e sviluppo. Appunti per la comprensione del successo e del fallimento delle nazioni” di Marcelo Gullo, Fuoco Edizioni, 2014.

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