Perù e la perdurante instabilità politica

di Andrea Vento*

Sullo sfondo lo scontro sul modello economico fra oligarchia nazionale e capitale transnazionale da un lato e ceti subalterni e comunità amerindie dall’altro.

In meno di 5 anni si sono alternati ben 6 presidenti: l’ultimo, Pedro Castillo esponente di sinistra, è stato deposto il 7 dicembre 2022 scatenando una massiccia sollevazione dei popoli originari, brutalmente repressa dal governo illegittimo dell’ex vicepresidente Dina Boluarte. Un breve excursus delle travagliate vicende politiche peruviane dalla dittatura di Fujimori alle proteste contro la repressione in atto e a favore di imminenti elezioni presidenziali e una nuovo iter costituente. Le lotte contro il modello economico estrattivista e liberista che genera disuguaglianze, marginalità sociale e devastazioni ambientali.  

Fra i principali “mali endemici” latinoamericani, l’instabilità politica ha raggiunto negli ultimi anni in Perù un livello che probabilmente ha pochi precedenti storici. Dopo il decennio dittatoriale di Alberto Fujimori che ha attraversato tutti gli anni ’90 del secolo scorso (1990-2000), con l’inizio del nuovo millennio e la fuga di quest’ultimo in Giappone per sottrarsi alla giustizia peruviana, la presidenza viene assunta ad interim dal Presidente del Congresso, Valentin Paniagua nel novembre 2000. Fuoriuscito vincitore dalle nuove elezioni, nel luglio 2001, si insedia alla presidenza l’economista liberista Alejandro Toledo, rimanendo in carica fino al termine del mandato nel 2006. Nello stesso anno viene eletto il candidato centrista, Alan Garcia, già presidente prima dell’era Fujimori, dal 1985 al 1990, a cui succede nel 2011 Ollanta Humala, ufficialmente di centro-sinistra, ma ben presto protagonista di una decisa virata a destra che lo porta ad allontanarsi dalla sua base elettorale. Come confermano le dichiarazioni dell’accademico e politologo peruviano Wilfredo Ardito, “Humala paga l’isolamento in cui si è venuto a trovare al termine del suo mandato. Eletto con l’obiettivo di portare un messaggio di sinistra e innovazione, durante la sua presidenza si è invece avvicinato ai grandi gruppi estrattivi, da molti è stato visto come un traditore“.

Dopo aver affrontato il decennio di dittatura fujimorista e il cambio di linea politica di Humala, a partire dal 2016, allor che viene eletto l’economista, anch’egli liberista, Pedro Pablo Kuczynsky, il Paese si appresta al picco del destabilizzante tourbillon presidenziale. Dopo aver concesso la grazia a fine 2017 a Fujimori, finito in carcere dal 2007 per corruzione, nel marzo dell’anno successivo, Kuczynsky, a seguito  dell’incriminazione per voto di scambio, proprio per la liberazione dell’ex dittatore, si dimette e gli subentra il suo vicepresidente, Martin Vizcarra.

Quest’ultimo, dopo un lungo braccio di ferro istituzionale con il parlamento controllato dall’opposizione, previa apertura del procedimento di impeachment l’11 settembre 2020, viene sfiduciato dal Parlamento il 9 novembre successivo “per incapacità morale”, a causa di un presunto coinvolgimento in un caso di corruzione risalente al 2014. La rimozione di Vizcarra, accusato senza prove e in assenza di una inchiesta ufficiale, è stata giudicata, da diversi analisti e da molti peruviani, un golpe istituzionale compiuto da un parlamento delegittimato contro un politico che aveva nel suo programma di governo, pur essendo egli stesso parte dell’oligarchia nazionale, la moralizzazione delle istituzioni e la lotta alla corruzione.

A Viczarra, secondo le disposizioni della costituzione peruviana, il 10 novembre 2020 subentra, il Presidente del Congresso, Manuel Merino del partito di centro-destra Azione Popolare, che da vita ad un governo di estrema destra con il sostegno degli ammiragli della Marina Militare peruviana. Nel Paese intanto dilagano le proteste popolari contro la destituzione di Viczarra la cui brutale repressione sfocia il 15 novembre nell’uccisione di 3 manifestanti, oltre a centinaia di feriti. La condanna della condotta particolarmente violenta della polizia da parte del Corte Costituzionale peruviana provoca l’abbandono di 13 dei 18 ministri e la richiesta di dimissioni dell’appena insediato Merino che lo stesso pomeriggio lascia la presidenza dopo soli 5 giorni. A questo punto, il 17 novembre 2020, il nuovo Presidente del Congresso, il centrista Francisco Sagasti, sostituisce Merino alla guida del Paese divenendo il terzo capo di Stato nel breve arco di una settimana. Sagasti riesce nell’impresa di portare a termine il mandato fino al luglio successivo, quando si insedia alla presidenza, dopo aver sconfitto la candidata dell’estrema destra Keiko Fujimori, il maestro di strada Pedro Castillo, espressione de “los de abajo”, non che esponente di “Perù Libre”, con un lievissimo distacco di soli 44.000 voti al ballottaggio del 6 giugno 2021, per 50,13% contro 49,87%.

La destituzione di Castillo innesca la sollevazione popolare

Insegnante prestato alla politica, Pedro Castillo viene eletto con il sostegno compatto dei popoli amerindi della zona dell’altopiano, mentre la costa a maggioranza bianca, motore dello sviluppo capitalistico del Paese, vota in prevalenza per il candidato di “Forza Popolare”, Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore.

I poteri forti, l’oligarchia nazionale e le forze reazionarie, sin dai primi giorni dopo il suo insediamento, iniziano ad operare per bloccare l’attività politica di Castillo e per causarne la caduta o la destituzione. In particolare, cercano di determinarne l’impasse politica facendo leva sulla mancanza di una maggioranza parlamentare di supporto al governo, essendo l’organo legislativo controllato dall’opposizione di centro-destra.

Uno dei principali elementi di criticità del sistema istituzionale presidenziale, praticamente adottato in quasi tutti gli Stati latinoamericani, risulta proprio quello dei presidenti eletti al secondo turno (possibilità abbastanza frequente), privi di maggioranze parlamentari, i quali, nel migliore dei casi, si trovano costretti a continue mediazioni con l’opposizione, rendendo ardua l’attuazione dei propri programmi di governo e, nel peggiore,  vengono destituiti da Golpe istituzionali, tramite voto parlamentare.

Pedro Castillo, dopo aver trascorso un periodo estremamente difficile alla guida del Paese andino, durante il quale gli è stata resa quasi impossibile l’attuazione dell’azione di governo e dopo aver commesso anche diversi errori di inesperienza, viene messo in stato di accusa e, successivamente, deposto il 7 dicembre 2022 tramite voto parlamentarecon 101 favorevoli e 6 contrari su 130 voti, per aver tentato, il giorno precedente, di sciogliere il parlamento, in vista dell’ennesimo voto di destituzione architettato dalle opposizioni, e di instaurare un “governo di emergenza nazionale”.

La vicepresidente Dina Boularte subentra alla presidenza dando vita ad un governo di destra, benché in origine esponente del partito di sinistra “Perù Libero”, mentre nel Paese esplodono le proteste popolari, soprattutto da parte delle comunità indigene dell’altopiano. Le manifestazioni di piazza violentemente represse dalla polizia provocano oltre 60 morti e centinaia di feriti, e sfociano nella condanna dell’operato delle forze dell’ordine e del nuovo Presidente da parte di molti governi, soprattutto latinoamericani, ma non occidentali, i cui media man stream non danno visibilità alla grave situazione interna al Perù.

Le imponenti manifestazioni dei popoli amerindi approvate dall’89% della popolazione, hanno in cima alla piattaforma di rivendicazione le dimissioni di Dina Boularte, il cui governo è considerato illegittimo anche da Messico, Argentina, Bolivia e Colombia, l’indizione di elezioni per il prossimo ottobre e una Assemblea Costituente per la stesura di un nuovo testo costituzionale che archivi quello ereditato dalla dittatura di Alberto Fujimori.

La costituzione entrata in vigore nel 1993 durante la dittatura, oltre ad una chiara matrice neoliberista che ha favorito importanti privatizzazioni, non contempla i diritti dei popoli amerindi, al contrario di quella dello Stato Plurinazionale della Bolivia e dell’Ecuador, gli altri due Paesi sudamericani con consistente percentuale di popolazione originaria.

Il modello di sviluppo peruviano

La strategia di sviluppo peruviana basata, in linea coi principi neoliberisti, su un’economia aperta verso i mercati globalizzati ha portato nel 2021 il Paese ad aver ratificato ben 32 trattati commerciali bilaterali[1] preferendo questa tipologia di relazioni, spesso asimmetriche, a discapito dell’appartenenza ad organizzazioni economiche di integrazione macroregionale latinoamericana a trazione progressista, in primis Mercosur e Alba, ai quali, infatti, non ha aderito.

Il Perù risulta, tuttavia, membro fondatore del Patto Andino, costituito insieme a Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador col Patto di Cartagena del 1969, organismo che ha, successivamente, registrato l’adesione del Venezuela nel 1973 e l’abbandono del Cile nel 1976.

Inizialmente caratterizzato da politiche commerciali protezionistiche e da un ruolo centrale dello Stato, a seguito della crisi debitoria degli Stati latinoamericani, nel 1989, le sue politiche economiche e commerciali registrano il passaggio ad un modello di sviluppo aperto, incentrato sul mercato e sull’espansione dei commerci. Il nuovo corso del Patto Andino porta alla creazione nel 1993 di un’area di libero scambio, con l’abolizione delle barriere doganali per le merci e parte dei servizi fra gli Stati membri, al quale, tuttavia, il Perù aderisce nel 1997. Proprio nello stesso anno, il blocco commerciale formato da Bolivia, Colombia, Ecuador e Colombia assume la nuova denominazione di Comunità Andina delle Nazioni (Can).

La matrice sviluppista del modello neoliberale ad elevato grado di apertura verso l’esterno, se da un lato tende ad alimentare l’espansione dei commerci e la crescita economica, a causa di caratteristiche intrinseche finisce per relegare in secondo piano fondamentali aspetti sociali quali la povertà, l’inclusione e le disuguaglianze. Due facce del modello in questione che hanno inevitabilmente interessato anche i Paesi della Can inducendoli, a seguito di gravi squilibri sociali interni, ad introdurre nel 2003 il Piano Integrale per lo sviluppo sociale, la cui importanza nell’agenda politica dell’organismo avrà, tuttavia, effimera durata. Percependo come una minaccia al processo di integrazione regionale fra pari la sottoscrizione di Trattati di Libero Commercio (Tlc) da parte di Perù e Colombia con gli Usa, il Venezuela di Chavez nell’aprile del 2006, decide per l’uscita, mentre al Cile viene riconosciuto la condizione di “Paese Associato”, tenendo aperta la porta per un futuro reintegro. Lo stesso status di Paese Associato, l’anno precedente,  era stato conseguito anche dai membri del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) a seguito di un accordo di cooperazione fra i due blocchi commerciali, con in prospettiva, una volta superate le divergenze di natura geopolitica, l’obiettivo di finale di una fusione in un unico organismo sudamericano. Nel 2005, infine, viene introdotta, sul modello dell’Ue, la libera circolazione delle persone fra gli Stati membri.

I “Trattati di Libero Commercio” costituiscono, tuttavia, da oltre mezzo secolo un fondamentale pilastro della politica commerciale perseguita dal Perù, come testimoniato anche dalla partecipazione all’Alleanza del Pacifico (AP), fondata nel 2011 insieme a Messico, Colombia e Cile, con i quali tradizionalmente condivide l’impostazione liberista, conservatrice e filo statunitense. L’organismo in questione, nato sotto l’egida di Washington dopo il fallito tentativo di creazione dell’Alca[2], costituisce un blocco commerciale liberoscambista, imperniato su singoli Tlc fra gli stati membri e i rispettivi partner, principalmente dell’area Asia-Pacifico, nel quale predominano gli scambi verso l’esterno a discapito di quelli fra gli Stati aderenti.

Gli ambasciatori in Italia dei quattro Stati membri in un comunicato congiunto dell’aprile 2022, evidenziando l’elevato grado di internazionalizzazione delle loro econome, affermano che l’Alleanza del Pacifico, nel suo complesso, occupa l’ottava posizione sia come potenza economica mondiale, sia come valore dell’export, rappresentando il 58,8% del commercio totale latinoamericano e attirando il 51,1% degli investimenti esteri in entrata nel subcontinente[3]. Infatti, continuano gli stessi diplomatici, “per i suoi obiettivi, e conseguentemente per i suoi risultati in qualità di forza economica, L’AP ha attirato l’interesse internazionale: 61 Stati dei 5 continenti sono ufficialmente Paesi Osservatori dell’Alleanza, fra cui l’Italia dal novembre 2013, con Irlanda e Pakistan gli ultimi due Stati ad essere stati ammessi il 26 di gennaio 2022. Va inoltre sottolineato che lo scorso gennaio è stato firmato un accordo di libero scambio con Singapore, il primo Stato associato del blocco una volta che l’accordo sarà ratificati dalle parti“.

Il testo fondativo dell’accordo, sottoscritto il 28 aprile 2011, riporta che “tra le prerogative dell’Alleanza del Pacifico vi sono l’aumento della crescita, dello sviluppo e della competitività“, una rotta geoeconomica che ha condotto gli Stati membri in seno al circuito della globalizzazione neoliberista, riservando loro il ruolo di fornitori di materie prime minerarie e agricole (Cile, Perù e Colombia) e di prestatori di manodopera nelle filiali delocalizzate dalle multinazionali statunitensi (Messico).

In linea con tale impostazione economica, le relazioni commerciali estere del Perù, pur godendo di un saldo della bilancia strutturalmente positivo (vedi tabella 1), evidenziano il carattere subordinato del ruolo del Paese nel contesto internazionale, sia per quanto riguarda la composizione merceologica dell’export, a netta prevalenza di materie prime grezze, sia per ciò che concerne i principali partner, che infatti risultano nell’ordine Cina, Stati Uniti e Canada. L’AP ha strutturato anche forti legami con l’Unione Europea a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Libero Commercio UE-AP nel marzo 2013 che ha consentito alla grande maggioranza delle esportazioni non agricole peruviane e al 57% di quelle agricole di avere accesso al mercato comunitario in esenzione tariffaria. Con lo stesso trattamento, peraltro, riservato nel mercato peruviano ai prodotti tessili ed alimentari di eccellenza europei. L’accordo ha anche introdotto facilitazioni all’ingresso nel mercato interno peruviano per le multinazionali europee che operano nel settore delle materie prime agricole e in quello minerario[4].

Tale modello economico, liberista, estrattivista e sviluppista, teso a creare le condizioni favorevoli per gli investimenti da parte del capitale nazionale e transnazionale, se da un lato, si concretizza in un quadro macroeconomico sostanzialmente accettabile per i parametri capitalistici, dall’altro ciò avviene al costo di inaccettabili disparità sociali e di una povertà strutturale.

Non è certo una casualità che Colombia e Cile nel 2021, secondo la Cepal[5],  risultino primo e terzo Stato con l’indice Gini più elevato del Sud America e che all’interno di Messico e Colombia la povertà sia ancora molto diffusa, anche in presenza di un livello di sviluppo economico medio. In Messico, infatti nel 2021, la povertà si attestava a ben il 37,4% nonostante un Pil procapite di 9.300 $ annui, mentre in Colombia con reddito medio di 6.200 $ all’anno al 35,4%, con quest’ultima che accusa con la peggior situazione dell’America Meridionale. Per avere un parametro di raffronto con Paesi con struttura economica post-coloniale e oligarchica analoga, ma con politiche commerciali diverse come il Paraguay, membro del Mercosur, e la Repubblica Dominicana, appartenente alla Comunità Caraibica (Caricom), rileviamo come il primo con un Pil procapite di 6.200 $ registri un tasso di povertà del 20,9%, mentre lo stato caraibico con 8.500 $ si attesti a 22,5%.

L’economia del Perù

L’impianto estrattivista dell’economia peruviana fa leva su un’abbondante e variegata dotazione di risorse minerarie, sfruttate in prevalenza da multinazionali straniere come la svizzera Glencore o la canadese Cerro di Pasco Resources Inc. Il Perù risulta infatti il secondo produttore mondiale di rame (3° per riserve), di argento (1° per riserve) e di zinco (3° per riserve), il terzo di piombo, il quarto di stagno e molibdeno e il sesto di oro, oltre a detenere considerevoli giacimenti di minerali di ferro, fosfati, manganese e litio. Fulcro dell’economia peruviana, l’export minerario copre circa i 2/3 del totale nazionale, con il rame nettamente predominante che contribuisce a circa metà delle esportazioni di minerali ed il cui principale acquirente risulta di gran lunga la Cina (63%), seguita a distanza da Brasile (10%) e Giappone (9%). L’oro peruviano viene invece comprato soprattutto da India (30%, Svizzera (29%) e Stati Uniti (25%).

Particolarmente attraente per i global player del settore, il comparto estrattivo, in primis quello del rame, dalla fine del 2018 è stato interessato da un incremento degli investimenti nazionali e, soprattutto, internazionali, fra cui il settore degli idrocarburi (petrolio e gas) nel cui ambito nel 2019 i capitali impiegati sono saliti a 620 milioni di dollari, con un incremento del 4% rispetto al 2018. Tuttavia, se da un lato il Perù risulta in grado di soddisfare la domanda interna di gas e dal 2010 di esportare il surplus prodotto, per quanto riguarda il petrolio i 200.000 barili al giorno estratti[6] non risultavano sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale di circa 250.000 a causa della totale privatizzazione del comparto, iniziata durante l’era Fujimori (1990-2000). Il controllo delle multinazionali petrolifere sulle risorse peruviane con una gestione esclusivamente orientata al profitto, ha comportato gravi conseguenze come perdita di sovranità statale, mancata pianificazione dell’estrazione in funzione dei consumi interni e dipendenza dall’estero per quanto riguarda l’approvvigionamento. Per ovviare a tale strutturale situazione di fragilità e dipendenza estera, il presidente Castillo a dicembre 2021, in linea con la priorità della lotta contro la “dittatura del mercato” annunciata sin dal suo insediamento, ha  implementato un piano economico per riportare, dopo 25 anni, sotto il controllo diretto dello Stato le risorse del sottosuolo.

La compagnia statale Petroperù[7], a fine 2021, su input del governo, ha infatti ripreso le attività di estrazione del petrolio e del gas, assumendo il controllo del Blocco I dell’importante bacino petrolifero di Talara, composto da 190 pozzi attivi. Durante la sua inaugurazione il presidente Castillo, rimarcando il cambio di paradigma economico ha dichiarato: “Oggi abbiamo cambiato la storia facendo il grande passo per tornare a Petroperù con questa operazione e nei prossimi mesi con il lotto 192, il più grande del Paese, e il lotto 64. Con l’attività di questi lotti viene assicurata parte del greggio che la Nuova Raffineria di Talara richiederà per la produzione di carburanti di qualità a beneficio di milioni di famiglie peruviane”. Le nuove linee di politica economica adottate dal governo Castillo finalizzate al raggiungimento dell’autosufficienza energetica del Paese, prevedevano, oltre al ritorno dell’azienda statale alle sue funzioni originarie, anche la revisione del livello delle Royalties per le multinazionali che estraggono in concessione idrocarburi dal sottosuolo peruviano. Un aumento dei corrispettivi finalizzato ad incrementare gli scarni introiti fiscali destinati alla spesa sociale e alla tutela delle comunità colpite dalle devastazioni ambientali causate dall’attività estrattiva, nonché alla promozione delle energie rinnovabili.

Altro settore di primaria importanza per l’export peruviano è rappresentato dal settore dell’agrobusiness, favorito dal processo di trasformazione di parte dell’agricoltura tradizionale in agroindustria, che nella logica dei principi capitalistici applicati all’agricoltura si traduce in un aumento di produttività per le produzioni monocolturali da esportazione gestite dalle grandi società multinazionali. Grazie all’eccezionale biodiversità, il Paese risulta fra i primissimi produttori mondiali di ortofrutta come asparagi, carciofi, peperoncino, cipolle, banane biologiche, avocado, uva tavola, mirtilli e mango oltre a materie prime agroindustriali come caffè e cacao. Per quanto riguarda l’attività peschereccia, il Perù si trova in vetta alla graduatoria mondiale di produzione di farina di pesce con 890.000 tonnellate nel 2019.

Conclusioni

Nonostante l’economia del Perù goda di accettabili fondamenta macroeconomiche determinate da una bilancia commerciale strutturalmente attiva, un tasso di inflazione basso (2,6% nel 2022), un debito estero nel 2021 pari al 45,7% del Pil e una immediata ripresa economica dopo la crisi pandemica del 2020, con la ricchezza prodotta nel 2022 tornata a superare il livello del 2019, la società peruviana, nel 2021, risultava ancora caratterizzata da sensibili squilibri di reddito con l’indice Gini intorno a 0,45 e da una  povertà abbastanza diffusa che interessava ancora 1/5 della popolazione, in base all’ultimo report diffuso dalla Cepal[8].

Il malessere sociale, ormai endemico in Perù a causa delle difficili condizioni in cui versa storicamente una parte consistente di popolazione, sfocia regolarmente in proteste contro l’industria estrattiva, protagonista di uno sfruttamento capitalistico delle risorse del sottosuolo senza redistribuzione sociale dei proventi.

La strenua resistenza delle comunità amerindie all’attività estrattiva, causa di gravi ripercussioni sulla coesione sociale e sulle risorse idriche e naturali, ha prodotto sino ad oggi anche alcuni significativi risultati come il blocco dei progetti minerari di Conga, Tia Maria e del Lotto 192[9].

Il progetto di riappropriazione delle risorse nazionali predisposto, e solo marginalmente attuato da Castillo, ha inevitabilmente portato fin dall’inizio il suo governo in rotta di collisione con gli interessi dell’oligarchia nazionale e del capitale transnazionale, le cui strategie destabilizzatrici sono iniziate sin dal suo insediamento, tant’è che già nei primi mesi di presidenza è stato sottoposto ad un primo pretestuoso voto parlamentare di impeachment[10]. Una strategia mai venuta meno nemmeno nel periodo successivo che, sommata ad altre, ha reso estremamente problematica l’attuazione della propria agenda programmatica, inducendo Castillo, anche a causa della sua inesperienza, ad una linea politica ondivaga e ad alcuni errori, situazione poi sfociata nella destituzione del 7 dicembre 2022 e nelle massicce proteste popolari.

L’approvazione di una nuova costituzione che superi l’impianto neoliberista e riconosca i diritti della natura e dei popoli amerindi costituisce, quindi, il primo passo verso una nuova stagione politica, che affronti l’annosa questione delle gravi disuguaglianze interne, non solo sociali fra l’oligarchia e i ceti subalterni, ma anche territoriali, fra la costa, dove si trova Lima, e l’altopiano e la parte amazzonica, non che “etnica”, fra bianchi in prevalenza benestanti e ricchi, e i popoli amerindi, poveri ed emarginati anche politicamente.

I peruviani in lotta sono consapevoli della necessità di invertire le politiche economiche neoliberiste che, a partire dall’era Fujimori, hanno aperto la porta alla privatizzazione dei servizi pubblici, al taglio della spesa sociale sanitaria e per la pubblica istruzione, oltre al rilascio di numerose concessioni di sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche a vantaggio di multinazionali straniere che hanno causato la devastazione delle terre andine e amazzoniche abitate dalle comunità indigene.

Un modello economico che porta esclusivo beneficio alle oligarchie e ai ceti abbienti nazionali, nonché al capitale transnazionale, contro il quale i popoli amerindi e le classi subalterne stanno lottando da decenni, e in questa fase con maggior convinzione, decisi a chiudere definitivamente la lunga stagione post coloniale, neoliberista e repressiva che li ha relegati al ruolo strutturale di vittime sacrificali del profitto e della rendita estrattivista. Ed è proprio lo scontro fra questi blocchi sociali ed economici contrapposti a costituire il substrato nel quale affondano le radici dei golpe istituzionali, dell’instabilità politica perdurante, con l’avvicendamento di ben 6 presidenti fra marzo 2018 e dicembre 2022, e delle reiterate proteste di piazza.

* Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

 

Tabella 1: principali indicatori economici del Perù fra 2017 e 2023

Principali indicatori economici del Perù

2017-2023

 

Anno 2017 2018 2019 2020 2021 2022 20231
Popolazione (milioni) 31,8 32,2 32,5 32,8 33,2 33,6 33,9
PIL

(mld € a prezzi correnti)

190,9

 

192,1 207,5 180,2 191 219,4 220,5
Tasso di variazione % del PIL a prezzi costanti 2,5 4 2,3 – 11 13,6 2,6 2
PIL pro capite a prezzi correnti (US$) 6.778 7.053 7.149 6.272 6.799 7.198 7.341
Saldo bilancia commerciale

 (mld €)

5,9 6,1 6,1 7,2 12,5 9,4 7,3

1) Per il 2023 i dati sono delle previsioni

Fonte: Osservatorio economico della Farnesina: InfoMercatiEsteri. Elaborazioni Osservatorio economico Maeci su dati Economist Intelligence Unit e Fondo Monetario Internazionale. Ultimo aggiornamento: 07/03/2023

[1] Il Perù fino al 2021 aveva sottoscritto Accordi di Libero Scambio con Argentina, Australia, Bolivia, Canada, Cile, Cina, Colombia, Cuba, Repubblica Ceca, Danimarca, Ecuador, El Salvador, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Giappone, Malesia, Paesi Bassi, Norvegia, Paraguay, Portogallo, Romania, Singapore, Repubblica di Corea, Spagna, Svezia, Svizzera, Thailandia, Unione economica Belgio – Lussemburgo, Regno Unito e Venezuela.

[2] L’Area di Libero Scambio delle Americhe, un progetto di estensione del Nafta a tutto il continente, sostenuto da Bush Jr ma fallito nel 2005 per opposizione dei Paesi sudamericani impegnati in un processo di integrazione Sud-Sud

[3] https://www.repubblica.it/commenti/2022/04/28/news/lalleanza_del_pacifico_per_il_futuro-347324826/

[4] Fonte: https://www.infomercatiesteri.it/paese.php?id_paesi=52

[5] Fonte: Cepal Annuario statistico America Latina e Caraibi 2022 https://repositorio.cepal.org/handle/11362/48706

[6] Dati del governo peruviano relativi a dicembre 2021

[7] https://www.petroperu.com.pe/petroperu-regresa-a-la-produccion-petrolera-tras-25-anos

[8] Fonte: Cepal Annuario statistico America Latina e Caraibi 2022 https://repositorio.cepal.org/handle/11362/48706

[9] https://www.assolombarda.it/servizi/internazionalizzazione/informazioni/peru-nuova-guida-alle-imprese-e-agli-investimenti-2021

[10] https://www.lindipendente.online/2022/01/03/il-peru-sfida-le-multinazionali-ricominciando-a-nazionalizzare-il-petrolio/