di Giovanni Santini e Marco Consolo
Sarebbe impossibile e presuntuoso provare a raccontare, anche in pillole, la vita di Gianni Minà. Così come risulta difficile parlarne al passato.
Forse lo sketch di Massimo Troisi sull’agendina telefonica di Gianni, che conteneva i contatti di personalità del mondo intero, descrive meglio di tanti articoli la sua attività di giornalista a tutto campo, a cui molti grandi della nostra epoca hanno concesso non solo interviste, ma soprattutto amicizia, sincera e disinteressata.
Politicamente scorretto, Gianni è sempre stato un giornalista fuori dal coro, come testimoniano i suoi articoli e saggi pubblicati tra il 1990 e il 2007 su la Repubblica, l’Unità, il manifesto, Latinoamerica. Un vero e proprio esercizio di controinformazione sugli avvenimenti più diversi e controversi del nostro tempo.
Pur non essendo iscritto al partito, la sua attività giornalistica, la sua coerenza nel suo essere di sinistra, le sue prese di posizione, sempre scomode per il potere, hanno costituito un punto di riferimento fondamentale per intere generazioni di comunisti-e, per chi voleva saperne di più e non credeva alle veline del potere. E gli sono costate una possibile carriera televisiva, ancor più brillante di quella che comunque è stata.
Avvalendosi di prestigiosi contributi, ha raccontato sulla sua rivista “Latinoamerica e tutti i Sud del mondo”, i processi rivoluzionari e progressisti dei Paesi latinoamericani, i loro dirigenti, a partire da Ernesto Guevara, “el Che”, passando per l’intervista di 16 ore al presidente cubano Fidel Castro, in un documentario dal quale è stato tratto un libro pubblicato in tutto il mondo, così come, tra gli altri, si è pronunciato a difesa del Comandante Hugo Chávez e del processo bolivariano in Venezuela, nonché dello zapatismo in Messico. Ha conosciuto e fatto conoscere i loro scrittori e artisti (García Marquez, Eduardo Galeano, Luis Sepúlveda, Chico Buarque solo per citarne alcuni) ed anche le contraddizioni proprie dei processi di trasformazione sociali, quando sono veri.
Appassionato di sport, non solo per motivi professionali, tifoso del Torino e grande amico di Mohamed Alì (Cassius Clay), nel 2001, Minà realizza Maradona: non sarò mai un uomo comune, un reportage-confessione di 70 minuti con Diego Maradona, alla fine dell’anno più sofferto per la vita dell’ex calciatore.
Sia che si trattasse di sport o del suo amato continente latino-americano “desaparecido”, Minà ha sempre rivelato una personalità poliedrica, un’ironia acuta e profonda, propria di qualcuno che amava ascoltare, più che, e prima di, parlare.
Compagno di idee e di mille battaglie, solo pochi mesi fa, Minà aveva polemizzato pubblicamente con i pennivendoli detrattori della brigata medica cubana “Henry Reeve”, chiamata ad appoggiare la sanità pubblica calabrese, secondo il principio dell’eroe cubano José Martì, “la patria è l’umanità”, che ricordava sempre.
Oggi ci stringiamo con un abbraccio affettuoso a Loredana, alla sua famiglia ed a tutti-e quelli-e che, come Gianni, hanno scelto di stare dalla parte degli oppressi del pianeta per costruire una società di liberi ed eguali.
Ciao Gianni, che la terra ti sia lieve !