Per un’agenda di pace e giustizia sociale, dopo il 5 novembre

di Gregorio Piccin –

La guerra in Ucraina è la fiera degli errori e degli orrori ed è pagata, come tutte le guerre, dalle persone comuni in termini di vite umane e sofferenze per la crisi sociale che l’accompagna. Iniziata nel 2014 come guerra civile etnico-nazionalista sobillata dalla intelligence anglo-statunitense è definitivamente esplosa a seguito dell’invasione russa dello scorso marzo.

Come in ogni guerra che l’ha preceduta anche in questa abbiamo di fronte a noi una facciata di dichiarazioni ufficiali e di propagande incrociate che servono spesso a coprire la realtà dei rapporti di forza, dei fini ultimi e dei posizionamenti reali.

A monte dell’invasione vi è stato un errore di valutazione delle più importanti cancellerie europee (Francia e Germania) circa la possibilità di un diretto intervento militare russo in Ucraina. Probabilmente l’abitudine a bombardare, aggredire ed occupare Paesi terzi a piacimento, spesso pure mentendo spudoratamente sui casus belli e senza pagare mai nulla in termini di responsabilità di guerra ha prodotto nei decenni (in realtà nei secoli…) una trasversale attitudine suprematista dell’occidente euro-atlantico che ne ha accecato le capacità di discernimento.
Il governo russo ha voluto dimostrare di poter fare altrettanto dopo il fallimento di ogni mediazione proposta e dopo una dissennata espansione verso est della stessa NATO.

E’ stata sottovalutata la linea rossa posta da Mosca di fronte al progressivo riarmo ed addestramento da parte di Usa e NATO delle forze armate ucraine nel mentre si foraggiava una una guerra civile interna su base etnico/nazionalista.

Sono state palesemente sottovalutate le conseguenze del piano statunitense (veicolato in seno alla UE da Paesi come Polonia, Estonia, Lituania e Lettonia) per tagliare la fiorente cooperazione economica ed energetica russo-tedesca-europea.

E’ stata infine sottovalutata la tenuta della Federazione Russa di fronte ai pacchetti di sanzioni economiche ed al contempo ampiamente sopravvalutata la capacità di isolarla a livello internazionale.

Da parte sua il governo russo ha sottovalutato la capacità di tenuta del sistema militare ucraino ristrutturato dall’addestramento, dalle forniture militari e dall’intelligence NATO/statunitense così come la disponibilità al suicidio economico che le cancellerie europee hanno messo in campo.

In sintesi la guerra in Ucraina è diventata il terreno in cui le potenze mondiali e le rispettive oligarchie hanno preso le misure le une rispetto alle altre e si sono riposizionate. Non solo: dal punto di vista militare è stata un’occasione per testare nuove armi e nuove dottrine sul campo di una guerra convenzionale come ha recentemente rivelato lo stesso New York Times.

Il prezzo? Ancora centinaia di migliaia di morti tra soldati e civili e un gravissimo arretramento nella costruzione di una “sicurezza” condivisa diversa dal reciproco annientamento e dalla moltiplicazione dei fatturati delle industrie belliche e di quelle che hanno speculato e sono cresciute grazie al conflitto.

L’invasione russa dell’Ucraina è l’ennesima violazione del diritto internazionale e Putin, in quanto capo del governo si è reso responsabile di crimini di guerra.

Una recente risoluzione del parlamento europeo ha definito la Russia uno “stato terrorista” ma se la Russia merita la definizione di “stato terrorista” per i bombardamenti sulle città e sulle infrastrutture civili allora risulta chiaro che non si “salva” nessuno. La definizione “terrorista” può oggettivamente essere affibbiata a Paesi come Stati Uniti, Turchia, Israele, Regno Unito, Ucraina, Francia, Italia, Arabia Saudita, Quatar…

La risoluzione del parlamento europeo (voluta dai popolari, dai liberali e dalle destre dei Paesi baltici e dalla Polonia ma alla fine votata anche da verdi e socialisti) è quindi il segno di un isterismo ipocrita utile soltanto a proseguire la mattanza: nessuno dei Paesi coinvolti direttamente o indirettamente in questa guerra ha la statura morale per gridare al “criminale di guerra” e per imporre una qualche giustizia.

Se infatti dovessimo stilare una lista di capi di governo passibili di essere definiti e giudicati come criminali di guerra sulla base delle persone uccise da invasioni, bombardamenti e/o sanzioni economiche ordinate negli ultimi trent’anni l’occidente euro-atlantico a trazione statunitense ne uscirebbe malconcio. E proprio perché l’ONU è attualmente dominata da questi stessi Paesi “terroristi” e dal loro diritto di veto, una giustizia per i crimini di guerra passati e presenti è, purtroppo, semplicemente impossibile.

Se ne dovrebbero fare una ragione quelli che “mai un accordo con Putin”.

Per fermare questa ennesima inutile strage che già poteva essere evitata a monte con una mediazione serve quindi che tutti i “Paesi terroristi” in questione, da est a ovest, con annessi “criminali di guerra” si mettano d’accordo attorno al tavolo di una conferenza internazionale di pace.

La ritirata russa da Kherson e la vicenda del missile ucraino caduto in Polonia (con l’ennesimo fallito tentativo di Zelenskij di coinvolgere direttamente la NATO nel conflitto) hanno scoperchiato una fase davvero propizia per un cessate il fuoco e l’avvio dei negoziati.

Gli Stati Uniti hanno raggiunto il loro obiettivo di far saltare la cooperazione energetica ed economica tra Russia ed Europa rialzando la cortina di ferro con una nuova guerra fredda e rilanciando il riarmo atlantico. Nel frattempo, visto il risultato raggiunto, hanno fatto capire al governo ucraino che il “costoso investimento” adesso va chiuso e che il fiume di armi cesserà di fluire.

L’Unione Europea, governata dalle sue élite, sta sacrificando le proprie classi lavoratrici ed il proprio tessuto economico sull’altare di una insostenibile economia di guerra.

La Russia non si ritirerà ulteriormente dalle proprie consolidate posizioni sul campo e ha dimostrato quanto meno di poterle e volerle tenere. Di certo, non avendo vinto una improbabile guerra lampo, è disponibile a chiudere la sua fallimentare e devastante “operazione militare speciale”.

Il governo ucraino non è caduto come avrebbe voluto la Russia ma l’Ucraina è un Paese distrutto, spolpato prima dagli oligarchi filo russi ed oggi da quelli filo occidentali e che sta sta “in piedi” solo grazie ai miliardi degli alleati che di certo non possono continuare senza il “main sponsor” statunitense. Zelenskij deve essere messo di fronte al fatto compiuto che la sua sopravvivenza politica non vale il proseguimento della guerra per raggiungere una vittoria impossibile. L’Ucraina ha bisogno di ricostruzione non di armi.

Questa orrenda strage che continua ad esaltare giornalisti, opinion-maker e ceto politico da strapazzo deve finire.

Cessate il fuoco, trattativa, conferenza internazionale di pace erano le parole d’ordine dei duecentomila a Roma lo scorso 5 novembre.

Ma, vista la situazione, la più grande consegna che il movimento pacifista ha di fronte a sé è quella di rendere concrete queste parole d’ordine. Dobbiamo mettere i bastoni tra le ruote della trasversale belligeranza che occupa il parlamento e che vede schierati sia il governo Meloni che le sue finte opposizioni.

– Deve cessare l’invio di armi,

– devono cessare le sanzioni,

– devono drasticamente diminuire le spese militari a favore di reddito, spese sociali e vera conversione ecologica,

– deve essere radicalmente cambiato modello di difesa perché quello attuale ha trasformato le forze armate in un costosissimo corpo di spedizione per fare la guerra,

– deve conseguentemente cambiare la politica industriale di Leonardo,

– deve cessare l’utilizzo del nostro territorio per operazioni militari statunitensi completamente fuori controllo,

– l’Italia deve firmare il trattato ONU per la messa al bando delle armi nucleari e uscire dal programma di Nuclear Sharing della NATO smettendola di addestrare i propri piloti al bombardamento nucleare e restituendo le armi atomiche vecchie e nuove ai legittimi proprietari statunitensi,

– la stessa uscita dalla NATO con annessa presenza sul territorio nazionale di circa trentamila militari statunitensi deve diventare questione politica di primo piano nel dibattito pubblico.

Secondo il Sipri di Stoccolma, già prima della guerra in Ucraina, l’80,4% della produzione globale di armi e sistemi d’arma era controllata da multinazionali del blocco euro-atlantico (tra cui spicca l’italiana Leonardo). Il recente poderoso riarmo europeo non farà altro che confermare ed aumentare questo dato trainando la corsa agli armamenti globale.

Questa dovrebbe essere l’agenda di pace. Un’agenda all’altezza dei tempi terribili che stiamo vivendo. Un’agenda che possa e sappia esprimere i suoi rappresentanti e le sue rappresentanti anche in parlamento (nazionale ed europeo).

La nuova guerra fredda tra superpotenze, la divisione del mondo in blocchi e sfere di influenza è in corso mentre l’interesse dei popoli è rappresentato dalla cooperazione e dalla reciproca solidarietà.

L’Italia può e deve uscire da questo confronto per giocarsi un nuovo ruolo di distensione, di promozione del disarmo globale convenzionale e nucleare e di un movimento internazionale per la riforma democratica dell’ONU.

La politica dei piccoli passi è fuori tempo massimo. Non c’è spazio per la giustizia sociale ed ambientale in un’economia di guerra.

Dobbiamo chiedere e puntare ad ottenere tutto.