Da Pegasus al “trojan” di Stato italiano

Alberto Negri –

Pegasus, il software di spionaggio digitale, è chiaramente uno strumento della politica estera di Israele. L’Italia ha il suo “trojan” di Stato mentre nel 2016 Renzi voleva appaltare la cybersecurity a ex del Mossad, poi l’anno scorso ha aperto la guerriglia al governo Conte proprio sui servizi. Ma la lotta forse non è finita.

C’è chi ha Pegasus e chi, come l’Italia, il “Trojan” di Stato. Sono giorni affannosi nei servizi di controspionaggio elettronico impegnati a resettare computer, telefoni, mail, nel sospetto di essere caduti nella rete Pegasus, il sistema israeliano di intercettazione telefonica e dei dati. La questione, finita nel mirino della procura di Parigi, è ormai diventata un caso diplomatico internazionale.
L’elenco è impressionante: troviamo re (Mohammed del Marocco), capi di stato e di governo europei (Macron), i vertici di un’ex repubblica sovietica, decine di deputati dell’opposizione di un paese africano, principi e principesse, amministratori delegati, miliardari, ambasciatori e generali, ma soprattutto centinaia di giornalisti, avvocati e difensori dei diritti umani.
Secondo Le Monde, parte di un consorzio di altre sedici testate, il giornale francese ha avuto accesso a circa 50mila numeri di telefono_ condivisi dall’organizzazione Forbidden Stories e da Amnesty International – potenzialmente colpiti dal software-spia Pegasus, prodotto dall’azienda israeliana Nso Group per conto di una decina di governi. Le Monde e il consorzio di Forbidden Stories hanno potuto confermare l’autenticità dei dati, incrociandoli con altre fonti e identificando decine di nuove vittime del software attraverso analisi tecniche sui telefoni condotte dagli esperti del Security Lab di Amnesty International.
Gli stati clienti dell’Nso acquistano Pegasus per sorvegliare oppositori politici e popolazione. Ma dalla sua creazione nel 2011, la società israeliana vende il suo software come uno strumento destinato unicamente alla lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato, e assicura di prendere ogni precauzione per garantire un uso “legittimo” del suo programma. L’analisi dei dati dimostra invece che lotta alla criminalità costituisce una minima parte dell’utilizzo di Pegasus. In Ungheria, Azerbaigian, Marocco, Ruanda gli obiettivi sono soprattutto giornalisti, oppositori, avvocati, difensori dei diritti umani. L’Nso ripete da anni che i casi di sorveglianza politica sono incidenti isolati, in realtà gli abusi sono la norma non l’eccezione.
Il problema è che il governo israeliano non può fare finta di niente. Queste violazioni ripetute dei diritti umani sono commesse da paesi il cui acquisto di Pegasus è stato sistematicamente approvato dal ministero della difesa di Tel Aviv. Israele protegge l’Nso, uno strumento importante del suo soft power.
La fornitura ad alcuni governi ha contribuito a ristabilire spinose relazioni diplomatiche. Le attività dell’Nso possono in parte spiegare _ insieme agli accordi militari _ il ben noto Patto di Abramo con alcune monarchie del Golfo (Emirati e Bahrein) e il recente riavvicinamento dello stato ebraico con l’Arabia Saudita, che ha usato Pegasus per controllare i famigliari di Jamal Khashoggi, il giornalista dell’opposizione torturato e fatto uccidere nel consolato saudita di Istanbul dal principe Mohammed bin Salman, definito da Renzi una sorta di “principe rinascimentale”. Pegasus ha anche facilitato i rapporti tra Israele, Ungheria e Marocco. Né l’Nso né il governo israeliano possono ignorare che buona parte dei clienti acquista Pegasus per sorvegliare gli oppositori politici, per lo spionaggio industriale dei partner commerciali, indagando sui privati e sui governi dei paesi vicini.
Il diritto internazionale inquadra soltanto in parte la vendita di queste armi informatiche mentre l’Nso Group nega con decisione le accuse. Ma le prove sembrano consistenti. E inquietanti.
Pegasus non è un semplice strumento di “ascolto telefonico”. Efficace e potente il software-spia può prelevare tutti i dati contenuti in un dispositivo, dalle fotografie alla rubrica fino ai messaggi scambiati su applicazioni teoricamente sicure come Signal o Whatsapp. Invisibile agli occhi dell’utente del telefono, il software può essere installato a distanza (senza che il “bersaglio” abbia bisogno di aprire un link) sfruttando i buchi nella sicurezza dei software Apple e Google. Il software dell’Nso alimenta quindi il mercato degli hacker, spingendo centinaia di loro a cercare costantemente nuove vulnerabilità per poi vendere le loro scoperte all’Nso e a una manciata di altre società.
I più cinici _ chi scrive come inviato di guerra ha avuto il telefono qui e all’estero controllato dozzine di volte _ penseranno che si tratti di una pratica comune nei rapporti tra gli stati. Tuttavia queste inchieste rivelano un vasto sistema di sorveglianza digitale che va ben oltre il quadro del “normale” gioco di spionaggio.
Come è attrezzata l’Italia? Le nostre istituzioni usano il “Trojan di stato” (un cavallo di Troia digitale), ossia un programma informatico che, una volta installato nel cellulare o nel computer, è in grado di attivare il microfono e la webcam per effettuare delle indagini. In questo modo non c’è bisogno di alcuna cimice perché basterà scaricare una mail, una foto, un video, per essere intercettati.
E’ interessante notare che il precedente governo aveva stanziato una cifra notevole per la cybersecurity, che poi ha subito un taglio nella finanziaria su richiesta di Renzi e Italia Viva che rimproveravano a Conte di tenere per sé la delega ai servizi. Forse ancora più interessante ricordare che nel 2016 Renzi, da premier, intendeva appaltare la cybersecurity all’amico Carrai e una società basata in Lussemburgo partecipata da ex agenti del Mossad. In realtà nel nostro Paese è in corso da tempo una lotta sotterranea per il potere sui servizi, che implica anche gli affari militari e della sicurezza, di cui si parla soltanto a tratti, quando fa comodo.

 

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