Intervento di Michela Arricale alla Conferenza del Mediterraneo di Cipro

Care compagne, cari compagni,

è un onore per me essere qui a discutere con voi. Vorrei provare, con questo mio intervento, ad approfondire una contraddizione che molti di voi hanno sollevato: il diritto internazionale non funziona? Il diritto non serve a niente? Che le facciamo a fare le norme se poi non vengono applicate, oppure se non siamo in grado di applicarle?

Cari compagni, il diritto può tanto ma non tutto.

Perché non tutto il diritto è uguale. Ad esempio, che differenza c’è tra lo Stato di diritto del secolo scorso, dove a norma di legge avevamo la schiavitù, le leggi razziali…e quello contemporaneo? La stessa differenza che c’è tra il pensiero liberale e quello democratico. L’universalità del principio uguaglianza.

L’emergere dei principi democratici dalle macerie delle guerre mondiali è stata una vera e propria rivoluzione. Un Paese alla volta, anche per reazione a quelle tragedie, decidono una cosa che prima di allora non si era mai vista: cambia il concetto di sovranità statale. Se fino a quel momento, infatti, la legittimità dell’agire statuale era completamente autoriferita, e cioè appartenenva allo Stato in quanto Stato. La sovranità apparteneva allo Stato, che la esercitava nell’interesse del popolo. Il soggetto era solo lo Stato, il popolo mero oggetto di politiche. Si diceva che il popolo non poteva sapere cosa fosse meglio per lui, che non fosse in grado di prendere decisioni difficili.

Con la democrazia del dopoguerra, al contrario, emerge il principio che la sovranità non appartiene allo Stato in quanto tale, ma appartiene al popolo che la esercita per mezzo dello Stato, e non solo questo. Viene messa in discussione la incondizionata legittimità dell’agire statuale ( venivamo dalle leggi razziali e dallo sterminio di intere categorie di persone a norma di legge) la quale viene condizionata ad una serie di norme inderogabili di rispetto di un nucleo di diritti fondamentali, che non discendono dalla benevolenza statale, ma ineriscono a ogni persona umana. E, come diretta conseguenza di questo, la fondamentale importanza del principio di uguaglianza e della sua universalità:   tutte le persone sono uguali e i diritti fondamentali riguardano tutti, ma proprio di tutti, altrimenti sono solo privilegi. Ed è per questo, tra le altre cose, che diciamo che una vera democrazia può nascere solo in un modello di sviluppo comunista o socialista.

Il diritto può tanto ma non può tutto.

Una volta enunciato un principio di diritto, infatti, bisogna metterlo in pratica. Una volta dichiarata, la democrazia va costruita. E’ un percorso, un obiettivo. E potrà esserci una democrazia effettiva solo quando il principio di uguaglianza sarà pienamente realizzato nella sua universalità. E’ da allora che si combatte questa guerra ideologica, che oggi stiamo perdendo. Le disuguaglianze sono in crescita esponenziale, specialmente nei Paesi a capitalismo avanzato, ma non solo.

I liberali non hanno mai digerito l’universalità del principio di uguaglianza. Il principio di uguaglianza è estraneo al pensiero liberale, perché è incompatibile con il modello di sviluppo capitalista. Il capitalismo per funzionare ha bisogno che ci sia chi sfrutta e chi è sfruttato, ed assume questo principio come assioma di natura e non fa niente per metterlo in discussione. Non solo, quando sente minacciati i propri privilegi, nei momenti di crisi, subito abbandona ogni parvenza bonaria e si mostra nella sua brutalità di parassita affamato, succhiando via la vita da chiunque – possibilmente più debole- che gli capiti a tiro.

Così nel piccolo – nelle relazioni tra soggetti-così nel grande nelle relazioni tra stati.

Nel dopoguerra anche le relazioni tra Stati vengono riorganizzate. Oltre il principio di uguaglianza tra tutti gli Stati, grandi e piccoli, viene formulato il principio di autodeterminazione e il suo corollario più importante:il principio di non ingerenza.

E vengono identificati i maggiori ostacoli all’effettività del principio di uguaglianza: la povertà e il sottosviluppo.

La ricchezza e la prosperità dei paesi a capitalismo avanzato, del resto, è stata costruita sull’appropriazione originaria agita in danno di Paesi terzi proprio attraverso la negazione del loro diritto di autodeterminazione e n. Con il colonialismo, prima. Poi, a partire dagli anni 70, con modalità di dominazione economiche-amministrative agite attraverso le istituzioni finanziarie sopravvissute a Bretton Woods, attraverso le quali le potenze capitaliste cercarono di mantenere il proprio dominio in un modno in grande trasformazione grazie alo processo di decolonizzazione).

Vi starete chiedendo, a questo punto, ma che c’entra con la questione delle politiche migratorie?

Tutto!

Quella che ho tentato di abbozzare prima è il conflitto di base, quello che credo sia comune ad ogni nostra questione: la lotta per l’affermazione del principio di uguaglianza, di autodeterminazione  e dell’universalità dei diritti umani a partire dal diritto alla vita. Per tutti, qualsiasi sia il loro status personale.

E’ in questo prospettiva che viene elaborato il concetto di “diritto allo sviluppo” incartato nella definizione iscritta all’art. 1  della  Dichiarazione per il diritto allo Sviluppo,  dove leggiamo come la lotta al sottosviluppo sia “un inalienabile diritto umano in forza del quale ogni persona e tutti i popoli sono chiamati a partecipare, contribuire e beneficiare dello sviluppo economico, sociale, culturale e politico, in cui tutti i diritti umani e tutte le libertà fondamentali possano essere pienamente realizzati. La prospettiva cambia, l’obiettivo diventa l’effettività dei diritti umani tutti, non solo la loro mera enunciazione. Per le persone e per gli Stati.

Il diritto allo sviluppo, di conseguenza, potrà essere realizzato solo quando tutti i diritti umani si trasformeranno da parole su carta in realtà quotidiana per tutte le persone e per tutti i Popoli. Fino a quando questi diritti non saranno per tutti, saranno solo privilegi di una elite.

Ed ora arriviamo alla sicurezza.

Anche in questo caso troviamo una enorme differenza tra il pensiero liberale e quello democratico.

Affinchè tutti i diritti umani –compreso il diritto allo sviluppo- possano trovare realizzazione, è necessario vivere in una ambiente di pace e sicurezza.

E fin qui sono tutti d’accordo, compreso i liberali. Ma cosa significa pace, e cosa sicurezza?

Il silenzio delle armi è certamente una condizione indispensabile per la pace, ma insufficiente per la sicurezza: le persone si sentono al sicuro non solo quando non temono minacce immediate alla propria incolumità fisica, ma anche quando sanno di avere abbastanza cibo, cure mediche adeguate, un tetto sopra la propria testa.

Libertà dalla paura, certamente, ma anche libertà dal bisogno. Ed in questa prospettiva le Nazioni Unite, grazie alla preziosa elaborazione portata avanti dai Paesi in Via di Sviluppo nel contesto del UNDP, cominciano ad utilizzare il termine “human security”. In questo modo il concetto di sicurezza si emancipa dalla dimensione meramente militare –come era stata assunta durante il periodo della competizione tra blocchi della guerra fredda, e diventa multi-dimensionale.

Per i liberali, al contrario, ha sempre e solo avuto un unico significato: la difesa dei propri privilegi. AL contrario, per i liberali il concetto di sicurezza si sviluppa completamente al di fuori delle coordinate dello Stato di Diritto attraverso la “retorica della crisi”, per mezzo della quale il mantenimento della sicurezza viene sempre accompagnato dalla necessità di adottare misure “eccezionali”, extra legis. Diventa un concetto pre-giuridico per cui la possibilità stessa di parlare di diritti è la sicurezza: se siamo al sicuro potete avere i diritti, in caso contrario –mi dispiace, ma no!

LA sicurezza, in questa prospettiva, è completamente autoreferenziale. I liberali razziano l’elaborazione UNDP ma ne stravolgono completamente il senso: è vero che la sicurezza non ha più un contenuto esclusivamente riferito al dominio militare, ma solo perché il modo di fare la guerra è cambiato: non si fa più solo con le armi, ma è diventata ibrida. Ed nell’era della guerra ibrida qualunque cosa può diventare un pericolo per la sicurezza, anche le migrazioni.

Ed infatti, a dimostrazione di quanto detto, nell’ultimo Strategic Concept della NATO –il documento più importante dell’Alleanza dopo lo Statuto- leggiamo: gli attori autoritari cercano di sfruttare l’apertura delle nostre Nazioni. Interferiscono con i nostri processi democratici attraverso tattiche ibride, sia direttamente che per soggetti interposti, e strumentalizzano le migrazioni in uno sforzo deliberato di indebolire le nostre istituzioni. Affrontiamo questi pericoli insieme per difendere LA NOSTRA libertà, e così contribuire ad un mondo più pacifico.

Questo è il motivo alla base della trasformazione dell’approccio alle politiche migratorie, un costante processo di securitizzazione perfettamente rappresentato –in Europa- dall’isituzione dell’ Agenzia FRONTEX – espressamente una istituzione di polizia –che ha trasformato il Mediterraneo in un cimitero e i nostri confini terrestri in un luogo di bruta violenza: luoghi dove non contano né le vite umane né la legge, l’unica cosa importanteè la sicurezza. Ma non la sicurezza della vita dei migranti, quanto piuttosto la sicurezza interna alla nostra enclave di privilegio, i cui confini sono pattugliati come quelli di una fortezza, per difenderli dalle minacce che le migrazioni rappresentano per il nostro status quo. Nonostante l’attuale legislazione –nazionale ed EU-  sul controllo delle frontiere faccia esplicito riferimento al rispetto dei diritti umani ed in particolare all’obbligo incondizionato della tutela della vita in mare, come espresso nella Convenzione di Amburgo del 1979, così come il divieto assoluto di respingimento, come articolato nella Convenzione di Ginevra- assistiamo ad una loro sistematica disapplicazione

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I Paesi a capitalismo avanzato non sono contro i diritti umani e la sicurezza, semplicemente non li vogliono per tutti. Definisco questo processo ‘friendshoring’ mutuando il termine dal linguaggio economico in cui è nato. I diritti si, ma sono per una elite scelta, scelta da loro ovviamente. Questo processo è tuttora in pieno corso, e l’attuale guerra contro la Russia serve anche a questo scopo, poter separare “noi” – il mondo libero- da “Loro” –gli attori maligni che attentano ai nostri privilegi.

L’attuale crisi dell’ordine internazionale che stiamo vivendo non verrà risolta con le armi, né con le solite ingerenze politiche al servizio di una ideologia ormai destinata ad essere sconfitta dalla storia. Necessita di un lungo processo di sviluppo sostenibile, dove con questo intendiamo uno sviluppo che non solo generi crescita economica, ma che ne distribuisca equamente i benefici; che rigeneri l’ambiente invece di distruggerlo; che emancipi le persone invece di marginalizzarle.

L’agenda sulla sicurezza deve essere integrata all’Agenda sullo sviluppo. Sicurezza e Sviluppo necessitano di un lavoro internazionalista e coordinato, che esprima con chiarezza il concetto che la Sicurezza di un Paese –o di un gruppo di Paesi- non può essere ottenuto a discapito di un altro, così come lo Sviluppo di uno non deve essere conquistato a discapito di altri.

Senza sicurezza, potrebbe non esserci sviluppo né diritti umani. Ma senza l’universalità dei diritti umani, non potrà esserci alcuna Sicurezza.

Questo deve essere il nostro impegno.

Grazie.