Lula alla COP 27

di Teresa Isenburg –

Mi permetto di tradurre in modo riassuntivo il discorso del presidente eletto Luiz Inácio Lula da Silva alla Cop 27 il 16 novembre 2022. È stato ovviamente un discorso soprattutto politico di cui la grande stampa internazionale  ha selezionato in prevalenza i riferimenti ambientali. La presenza di Lula ha probabilmente rappresentato  il passaggio più significativo dell’incontro, utilizzato dagli organizzatori anche con un certo opportunismo per dare  un  po’ di smalto ad un  simposio  altrimenti assai piatto. Da parte delle forze dell’esecutivo che si insedierà il 1° gennaio 2023  la visibilità è stata intensamente colta. Una situazione asimmetrica: ombra completa sul governo ufficiale, piena luce sui prossimi protagonisti  e sulla società civile. In questo viaggio all’estero come presidente eletto Lula ha poi parlato il 17 novembre 2022 ai movimenti ambientalisti e alle organizzazioni dei popoli originari. In tale occasione alcune sue affermazioni sono poi state criticate dalla stampa brasiliana in quanto non abbastanza in linea con il “mercato”. In particolare, come già aveva ampiamente anticipato in campagna elettorale, Lula ha ripetuto la legittimità di oltrepassare il tetto di spesa di responsabilità fiscale per responsabilità sociale, cioè per finanziare programmi sociali. La frase scandalosa è stata: “Se dico questo cade la borsa, aumenta il dollaro. Pazienza”.  Nei quattro anni di governo cleptomane il tetto di spesa è stato superato per 795 miliardi di reais con buona pace del mercato e vantaggi per la speculazione finanziaria. Lula ha concluso il suo giro internazionale in Portogallo con un incontro intenso, affettuoso e allegro con il presidente Marcelo Rebelo de Sousa, il primo ministro Antonio Costa, nonché il presidente di Mozambico Filipe Nyusi. In tale occasione Lula si è concesso anche una piccola rivincita annunciando che, quando presidente in esercizio, tornerà in Portogallo insieme a Chico Buarque per ritirare il Premio Camões vinto da Chico che l’inquilino sconfitto dell’esecutivo  non aveva accettato  nel 2019. Perché si sa, il fascismo rispetta solo la propria ideologia e è comunque nemico della cultura. Adesso Lula rientra in Brasile e affronta la costruzione complessa del proprio governo e del cammino necessario alla ricostruzione delle istituzioni e dello Stato gravemente feriti.

Intanto il Brasile si riprende dalla tremenda assurda tensione pre elettorale e assapora il sollievo. Fin dal 30 ottobre le manifestazione di contestazione dei risultati delle urne si ripetono, non sono di massa ma diffuse e chiaramente coordinate e sostenute materialmente. Si tratta di due tipologie di non rispetto delle regole democratiche e anche semplicemente elettorali: blocchi stradali con convergenza di camion su strade di grande flusso che si protraggono per giorni denunciando fantasiose frodi elettorali  e agglomerazioni davanti alle caserme dei comandi regionali chiedendo l’intervento delle forze armate. Il Superiore Tribunale Elettorale/STE ha cominciato a bloccare i conti di quelli che vengono identificati come finanziatori delle manifestazioni. Inoltre il PL/Partito Liberale di cui fa parte il presidente sconfitto critica  i risultati e rimane su posizioni equivoche. Anzi minaccia di chiedere a breve la eliminazione dal conteggio dei voti di metà delle urne elettroniche, mentre i blocchi stradai riprendono fiato.  Intanto alla Conferenza Politica di Azione Conservatrice a Città del Messico il 18 novembre il deputato federale Eduardo Bolsonaro gridava di “elezione rubata” fra gli applausi della platea dei rappresentanti dell’estrema destra antistituzionale internazionale. (Mi domando chi rappresentava l’Italia dal momento che  colei che in precedenza vi partecipava è oggi primo ministro). Da parte sua il presidente uscente  non ha mai riconosciuto la realtà della sconfitta, ha detto poche confuse parole sulle manifestazioni eversive e da due settimane non mette piede nel palazzo del Planalto, sede del governo. L’ultima volta che vi si è recato è stato il 3 novembre 2022 per salutare il vicepresidente eletto Geraldo Alkmin. Per il resto riceve raramente qualche ministro, ma per lo più la sua agenda ufficiale non segnala nessun impegno. Si dice che sia colpito da erisipela, ma non ci sono comunicati formali sul suo stato di salute. Un assenteismo sorprendente.

Intanto procede il lavoro per organizzare la transizione al nuovo governo. Il punto più complicato è di giungere ad un accordo con l’attuale parlamento per approvare per il bilancio 2023 la possibilità di superare il tetto di spesa introdotto nel 2016 dall’  illegittimo governo Temer (e probabilmente, insieme allo smantellamento della previdenza sociale  e alle norme di tutela del lavoro, obiettivo del colpo di Stato di maggio-agosto 2016) per coprire urgenti spese di sostegno a cittadini in difficoltà severe, cioè fame. Accanto ad un gruppo  tecnico limitato che raccoglie informazioni sul reale stato della amministrazione federale (e la resistenza a consegnare i dati è forte) e tratta con le diverse istanze  responsabili, è stata coinvolto un più vasto gruppo consultivo diviso in diverse aree con rappresentanti della società espressione delle molte forze che hanno aderito alla candidatura Lula durante il processo elettorale. Così il clima è piuttosto animato, si discute molto, i mezzi di comunicazione sono vivaci.

Discorso di Lula alla Cop 27 il 16 novembre 2022

In primo luogo desidero ringraziare per l’opportunità di essere qui in Egitto, culla della civiltà, che ha svolto un ruolo straordinario nella storia dell’umanità.

Ringrazio anche l’invito a partecipare alla ventisettesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Mi sento particolarmente onorato perché so che questo invito non è stato diretto a me, ma al mio paese.

Questo invito, fatto a un presidente da poco eletto e addirittura prima del suo insediamento, è il riconoscimento che il mondo ha fretta di vedere il Brasile partecipare di nuovo alle discussioni sul futuro del pianeta e di tutti gli esseri che vi abitano.

Il pianeta che ad ogni momento ci impone di  ricordare che abbiamo bisogno gli uni degli altri per sopravvivere. Che da soli siamo vulnerabili dalla tragedia climatica.

Tuttavia  noi ignoriamo questi gridi di allarme. Abbiamo speso miliardi di miliardi in guerre che portano solo distruzione e morti, mentre 900 milioni di persone nel mondo non hanno da mangiare.

Viviamo un momento di crisi multiple:  crescenti tensioni geopolitiche, ritorno del rischi della guerra nucleare, crisi di fornitura di alimenti e energia, erosione della biodiversità, aumento intollerabile delle diseguaglianze.

Sono tempi difficili. Ma è stato nei tempi difficili e di crisi che l’umanità sempre ha incontrato forze per affrontare e superare sfide.

Abbiamo bisogno di più fiducia e determinazione. Abbiamo bisogno di più capacità di direzione per rovesciare la scalata del riscaldamento.

Gli accordi già conclusi non possono rimanere sulla carta.

Per questo è necessario rendere disponibili risorse affinché i paesi in sviluppo, specialmente i più poveri, possano affrontare le conseguenze di un problema in gran parte creato dai paesi più ricchi, ma che colpisce in modo sproporzionato i più vulnerabili.

Al termine di una disputa feroce, il popolo brasiliano ha fatto la sua scelta e la democrazia ha vinto. Così tornano in vigore i valori civilizzatori, il rispetto dei diritti umani e l’impegno di affrontare con determinazione il cambiamento climatico.

Sfortunatamente dal 2019 il Brasile si trova ad affrontare un governo disastroso sotto tutti gli aspetti.

Non per caso la frase che più ho sentito di dirigenti di differenti paesi è la seguente: “Il mondo ha nostalgia del Brasile”.

Voglio dire che il Brasile è tornato.

È tornato per riprendere i legami con il mondo e aiutare di nuovo a combattere la fame nel mondo.

Per cooperare di nuovo con i paesi più poveri, soprattutto dell’Africa, con investimenti e trasferimento di tecnologia.

Per stringere di nuovo relazioni con i nostri fratelli latinoamericani e caraibici, e costruire insieme a loro un futuro migliore per i nostri popoli.

Per lottare per un commercio giusto fra le nazioni e per la pace fra i popoli.

Siamo tornati per aiutare a costruire un ordine mondiale pacifico, incentrato su dialogo, multilateralismo e multipolarità.

Siamo tornati per proporre una nuova governance  globale. Il mondo di oggi non è lo stesso del 1945. È necessario includere più paesi nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e porre fine al privilegio del diritto di veto, oggi limitato a pochi, per una effettiva promozione dell’equilibrio e della pace.

Nella dichiarazione che ho fatto al termine delle elezioni in Brasile il 30 ottobre ho sottolineato l’importanza di unire il paese che è stato diviso a  metà dalla diffusione in massa di fake news e discorsi di odio.

In quella occasione dissi che non esistevano due Brasili. Adesso voglio dire che non esistono due pianeti Terra. Siamo una unica specie, chiamata Umanità, e non ci sarò futuro se continueremo a scavare un pozzo senza fondo di diseguaglianze fra ricchi e poveri.

Abbiamo bisogno di più empatia gli uni verso gli altri. Dobbiamo costruire fiducia fra i nostri popoli. Dobbiamo superare e andare oltre ai nostri interessi nazionali immediati, per essere in grado di tessere collettivamente un nuovo ordine mondiale, che rifletta le necessità del presente e le nostre aspirazioni di futuro.

Sono qui per riaffermare l’incrollabile impegno del Brasile per la costruzione di un mondo più giusto e solidale.

Ripeto: nessuno è al sicuro. L’emergenza climatico colpisce tutti, sebbene i suoi effetti ricadano con maggiore intensità sui più vulnerabili.

La diseguaglianza  fra ricchi e poveri si manifesta anche negli sforzi per la riduzione nei cambiamenti climatici.

L’ 1% più ricco della popolazione del pianeta supererà di 30 volte il limite di emissioni di CO2 necessario per evitare che l’aumento della temperatura globale superi 1,5 gradi fino al 2030.

Questo 1% più ricco si avvia a emettere 70 tonnellate  di gas pro capite all’anno. Dall’altro lato, i 50% più poveri del mondo emetteranno in media solo una tonnellata pro capire, secondo lo studio presentato dalla ong Oxfam nella COP 26.

Per questo la lotta contro il riscaldamento globale è inseparabile dalla lotta contro la povertà e per un mondo meno diseguale e più giusto.

Signori e signore, non vi è sicurezza climatica per il mondo senza una Amazzonia protetta.

Per questo motivo desidero approfittare di questa Conferenza per annunciare che la lotta al cambiamento climatico avrà il più alto posto nella struttura del mio governo.

Daremo priorità alla lotta contro il diboscamento in tutti i nostri biomi. Nei primi tre anni dell’attuale governo la deforestazione n Amazzonia è aumentata del 73%.

Nel solo 2021 sono stati spogliati 13.000 km2. Questa devastazione fa parte del passato.

I crimini ambientali, che sono cresciuti in modo spaventoso durante il governo che sta per giungere alla fine, saranno ora combattuti senza tregua.

Rafforzeremo gli organismi di controllo e i sistemi di monitoraggio disattivati negli ultimi quattro anni.

Puniremo in modo rigoroso i responsabili di ogni attività illegale, estrazione illecita di oro e preziosi, coltivazione mineraria, asportazione di legname o occupazione agro zootecnica indebite.

Tali crimini colpiscono soprattutto i popoli indigeni. E per questo creeremo il Ministero dei Popoli Originari.

I popoli originari e coloro che risiedono nella regione amazzonica devono essere protagonisti della preservazione della stessa. I 28 milioni di brasiliani che abitano in Amazzonia devono essere i primi partner, agenti e beneficiari di un modello di sviluppo locale sostenibile, non di un modello che distrugge la foresta, genera poca ed effimera ricchezza per pochi e danno ambientale per molti.

Proveremo che è possibile promuovere crescita economica e inclusione sociale avendo la natura come alleata strategica, e non più come nemica da abbattere a colpi di trattori e motoseghe.

Ho il piacere di informare che poco dopo la nostra vittoria  nell’elezione del 30 ottobre, Germania e Norvegia hanno annunciato l’intenzione di riattivare il Fondo Amazzonia per finanziare misure di protezione ambientale nella maggiore foresta tropicale del mondo.

Il Fondo oggi dispone di oltre 500 milioni i dollari, congelati dal 2019, a causa della assenza di impegno dell’attuale governo per la protezione dell’Amazzonia.

Siamo aperti alla cooperazione internazionale, sia sotto forma di investimento che di ricerca scientifica,  per preservare i nostri biomi.

Ma sempre sotto la direzione del Brasile, senza mai rinunciare alla nostra sovranità.

Anche coniugare sviluppo e ambiente è investire nelle opportunità create dalla transizione energetica.

La produzione agricola senza equilibrio ambientale deve essere considerata un’ azione del passato.

Abbiamo 30 milioni di ettari di terre agricole degradate. Abbiamo conoscenza tecnologica per renderle coltivabili. Non abbiamo bisogno di abbattere neppure un metro di foresta per continuare ad essere uno dei maggiori produttori di alimenti del mondo.

Questa è una sfida che si impone a noi brasiliani e agli altri paesi produttori di alimenti. Per questo siamo pronti per una Alleanza Mondiale per la Sicurezza Alimentare, per la fine della fame e per la riduzione delle diseguaglianze, con piene responsabilità climatica.

Desidero approfittare di questa occasione per garantire che l’accordo di cooperazione fra Brasile, Indonesia e Congo sarà rafforzato nel mio governo.

Insieme i nostri tre paesi ospitano 52% delle foreste tropicali primarie restanti nel pianeta.

Desidero anche proporre due importanti iniziative che saranno presentate formalmente dal mio governo che inizierà il 1° gennaio 2023.

La prima iniziativa è la realizzazione del Vertice dei Paesi Membri del Trattato di Cooperazione Amazzonica perché Brasile, Bolivia Colombia, Ecuador, Guyana, Peru, Suriname e Venezuela possano per la prima volta discutere in modo sovrano la promozione dello sviluppo integrato della regione, con inclusione sociale e responsabilità climatica.

La seconda iniziativa è offrire il Brasile come sede per la COP 30 del 2025. Saremo sempre più affermativi di fronte alla sfida di affrontare il cambiamento climatico, in linea con gli impegni degli accordi di Parigi e orientati dalla ricerca della decarbonizzazione dell’economia globale.

Sottolineo anche che nel 2024 il Brasile presiederà il G20. Siate sicuri che l’agenda climatica sarà una delle nostre priorità.

Signore e signori, nel 2009 i paesi presenti alla COP 15 a Copenhagen si erano impegnati a rendere disponibili 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020 per aiutare i paesi meno sviluppati ad  affrontare il cambiamento climatico.

Questo impegno non è stato e non è onorato.

Questo ci porta a rafforzare ancora di più la necessità di avanzare in un altro tema di questa COP 27: con urgenza abbiamo bisogno di meccanismi finanziaria per compensare perdite e danni conseguenza del cambiamento climatico.

È un dibattito che non può più essere rinviato. Dobbiamo affrontare la realtà di paesi che vedono minacciata l’integrità fisica del proprio territorio  e le condizioni di sopravvivenza dei propri abitanti seriamente compromessa.

È tempo di agire. Non c’è tempo da perdere. Non possiamo più convivere con questa corsa verso l’abisso.

Se potessimo riassumere in una unica parola il contributo del Brasile in questo momento, questa parola sarebbe quella che ha sostenuto il popolo brasiliano nei tempi più difficili: Speranza.

La speranza unita ad un’ azione immediata e decisiva, per il futuro del pianeta e dell’umanità.

Grazie a tutti.

Sharm el Sheikh, 16 novembre 2022

 

San Paolo, 19 novembre 2022, fonti: ConJur, Brasil 247, Brasil de Fato. Precedenti articoli su www.latinoamerica.online.it.