Sanzioni alla Russia: efficace strumento di deterrenza o clamoroso boomerang?

di Andrea Vento *

Il 6 ottobre scorso l’Unione Europea ha varato l’ottavo pacchetto di misure sanzionatorie contro Mosca[1], con il dichiarato fine di fiaccare l’economia russa e indurre Putin ad un accordo di pace da posizioni di debolezza o, addirittura, costringere le truppe impegnate nell’Operazione Militare Speciale alla sconfitta militare, grazie anche alle ingenti forniture militari di Usa e Ue ormai giunte a 100 miliardi di dollari. Un massiccio sostegno che si somma al supporto di intelligence degli Usa e del Regno Unito.

Rispetto alle previsioni dei governi occidentali che hanno accompagnato il varo del primo pacchetto di sanzioni introdotte dalla Ue e dagli Usa il 23 febbraio scorso, a seguito del riconoscimento delle Repubbliche Popolari del Donbass che ha preceduto di un giorno l’Operazione Militare Speciale, quale risulta l’effettiva entità dell’impatto delle sanzioni sull’economia russa e sulle sue relazioni internazionali?

La recessione che avrebbero causato alla Russia dalla previsione del Fmi ad aprile di un pesante -8,5% per il 2022, si è più che dimezzata a -3,5% nel World Economic Outlook di ottobre della stessa istituzione, passando per il -6,0 di luglio, a testimonianza della capacità di tenuta e di resilienza dell’economia russa. Mentre a livello internazionale, seppur oggetto di condanna da parte di una Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu del 3 marzo per l’invasione dell’Ucraina votata da 141 Paesi su 193, la Russia, appare tutt’altro che isolata appurato che solo 37 Paesi (pari al 19%) dopo 7 settimane dal 24 febbraio[2], avevano aderito alle sanzioni promosse dagli Stati Uniti e imposte da questi ultimi anche all’Ue. Anzi, la Russia, isolata verso occidente, ha ridisegnato la propria carta geopolitica approfondendo le relazioni economiche, commerciali e politiche non solo con le potenze emergenti (Cina e India) e regionali asiatiche (Pakistan e Turchia), ma anche con i Paesi africani e latino-americani, contrari all’adozione delle sanzioni.

L’interscambio commerciale annuo fra l’Ue e la Russia dai 439 miliardi di $ del 2012, pur riducendosi, in conseguenza della prima ondata di sanzioni del 2014, ad una media annua di 240 miliardi di $ nel periodo 2015-2019, resta tuttavia, nello stesso quinquennio, oltre 9 volte più elevato (25 miliardi di $) di quello fra Stati Uniti e Russia. Le economie dell’Ue e della Russia, pertanto, risultavano fino a febbraio 2022 ancora saldamente integrate, principalmente, in virtù degli investimenti delle imprese comunitarie in Russia e del considerevole interscambio commerciale e finanziario fra le parti. Alla luce di questi dati, risulta evidente come le ricadute sull’economia del soggetto proponente, gli Usa, non potevano non avere rilevanza nettamente inferiore rispetto a quelle sull’Unione Europea, soprattutto per quanto riguarda le forniture energetiche russe a costi contenuti dei quali ha beneficiato fino a pochi mesi fa.

Per quanto riguarda le relazioni commerciali fra l’Italia e la Russia, nel 2019, ultimo anno prima della crisi pandemica, registravano un valore di 22,2 miliardi di euro di interscambio di merci che, al cambio medio dell’anno in questione di 1,12 dollari per euro, corrisponde a 24,87 miliardi di $, praticamente la stessa entità di quello fra Washington e Mosca, ma con una incidenza sul totale nettamente diversa. Infatti, nel 2019, l’interscambio commerciale totale di beni degli Usa ammontava a ben 4.172,1 mld di dollari[3], pari a 3.671 mld di euro[4], mentre il nostro a 904 miliardi euro[5], con un rapporto di 4 : 1 a favore dei primi. L’interscambio fra Italia e Russia evidenzia una composizione merceologica tipica delle aree ad elevata integrazione geo-economica: da un lato, infatti, si esportano materie prime energetiche e minerarie e semilavorati dell’industria pesante, mentre, dall’altro tecnologia e prodotti industriali di livello medio-alto.

Le sanzioni hanno dunque inferto colpi letali all’interconnessione fra l’economia russa e quella comunitaria che si era sviluppata negli ultimi 3 decenni dopo la caduta dell’Urss. In particolare, le forniture di gas via conduttura con contratti pluriennali a prezzi contenuti hanno consentito alle principali 2 manifatture europee, Germania e Italia, di mantenere un elevato grado di competitività sui mercati internazionali anche di fronte all’emergere di nuovi agguerriti concorrenti.

In considerazione di ciò, la decisione degli Stati europei di rinunciare al carbone, al petrolio, a seguito delle sanzioni, e al gas russo, tramite il piano comunitario REPowerEu[6] varato dalla Commissione il 18 maggio scorso con l’obiettivo di “ridurre rapidamente la nostra dipendenza dai combustibili fossili russi” sembra non aver tenuto conto di alcuni fondamentali elementi per il proprio approvvigionamento energetico.

Il primo, già patrimonio dell’opinione pubblica nazionale, risulta l’impennata del costo delle materie prime, soprattutto quelle energetiche, in corso ormai da circa un anno dal momento dell’approvazione, quindi ben prima di febbraio 2022. In particolare, sul mercato del gas olandese Ttf (Title Transfer Facility) dove la quotazione media mensile delle negoziazioni da 20,50 euro a megawattora di aprile 2021, era salito a 87,47 euro ad ottobre, per arrivare a 125,42 euro a marzo 2022 all’indomani delle prime tranche di sanzioni, causata soprattutto dagli effetti dell’attività speculativa tramite la finanza derivata, e dal fatto che le stesse sanzioni, innescando una carenza di offerta sui mercati dei Paesi Ue, non potevano che alimentare ulteriormente la compravendita di contratti a termine (detti future) a fini speculativi.

Altro fondamentale elemento, che non poteva sfuggire ai politici nazionali e comunitari, riguarda la diversificazione degli approvvigionamenti, opera assai complessa e non realizzabile nel breve periodo. Questo perché gli altri gasdotti europei di approvvigionamento non sono in grado di sostituire in toto le forniture russe e che il Gas Naturale Liquefatto (Gnl) trasportato via mare, necessita di una congrua dotazione di rigassificatori che, ahinoi, non abbiamo a disposizione. In particolare, il Gnl statunitense, del quale l’amministrazione Biden ha fornito garanzie di approvvigionamento ai poco avveduti Paesi europei, presenta problematiche non indifferenti, visto che l’estrazione avviene con la tecnica del fracking (fratturazione idraulica delle rocce), devastante dal punto di vista geologico e ambientale. Una tecnica non in grado di offrire garanzie di continuità di forniture per il rapido esaurimento dei giacimenti e con costi di complessivi per l’acquirente decisamente superiori rispetto a quello russo.

Su quest’ultimo aspetto iniziano a serpeggiare sempre meno velati malumori in seno all’Ue rispetto al vantaggio di competitività, oltre che commerciale, per le aziende statunitensi, il cui costo del gas risulta nettamente inferiore rispetto a quelle europee, tanto da aver indotto il Ministro francese, Bruno Le Maire, a dichiarare il 12 ottobre scorso all’Assemblea Nazionale di Parigi che “non possiamo accettare che il nostro partner americano ci venda il suo Gnl ad un prezzo 4 volte superiore a quello al quale vende agli industriali suoi connazionali“. Aggiungendo amaramente che “la guerra in Ucraina non deve sfociare in una dominazione economica americana e in un indebolimento dell’Unione Europea“.

La transizione energetica, infine, benché ad essa il governo Draghi avesse dedicato apposito Dicastero, il ministro incaricato, Roberto Cingolani, oltre ad aver brillato per inerzia si è anche contraddistinto per alcune anacronistiche proposte come il nucleare e la riapertura delle centrali a carbone dismesse.

Procedendo con l’analisi della variazione dell’interscambio commerciale con Mosca fra i primi semestri 2021 e 2022l, per quanto riguarda il nostro Paese nel periodo gennaio-giugno 2021, in condizioni di ristabilita normalità economica dopo la crisi del 2020, abbiamo esportato merci in Russia per un controvalore di 4,4 miliardi di euro, mentre ne abbiamo importati 8,1 miliardi con un saldo per noi negativo di circa 3,7 miliardi di euro, sostanzialmente in linea con i dati del 2019. Nel primo semestre dell’anno in corso, invece, a seguito delle sanzioni e il piano REPiwerEu, tramite i quali ci siamo preclusi attività economiche significative con Mosca, il nostro export è diminuito del 21% sotto i 3,5 miliardi di euro, mentre il valore del nostro import ha subito un aumento del 136,9%, da 8,1 miliardi di euro a 19,1, che ha affossato in tal modo il saldo negativo a 15,7 miliardi di euro, con un aggravio del disavanzo di oltre 12 miliardi.

Il vertiginoso aumento dei costi dell’energia  e delle materie prime ha spinto in pesante deficit (-9,5 mld di euro) il nostro saldo commerciale complessivo ad agosto 22 da +1 di agosto 21  e ulteriormente alimentato il rialzo dell’inflazione sia nel nostro Paese, giunto ormai su base annua all’11,9% ad ottobre[7], che nell’Eurozona. Concomitanti fattori che, sommati al rialzo dei tassi della Bce (ormai giunti al 2% con il terzo rialzo consecutivo del 27 ottobre[8]), stanno creando un sensibile rallentamento delle economie occidentali come ci conferma l’ultimo report del Fmi del 18 ottobre, nel cui contesto il responsabile del Dipartimento europeo dell’Istituto di Washington, Alfred Kammer, vi afferma infatti, che “questo inverno più della metà dei Paesi nell’area dell’euro sperimenterà una recessione tecnica, con almeno due trimestri consecutivi” di variazione negativa del Pil con situazione particolarmente critica di Germania e Italia. Per questi ultimi, non casualmente due fra i Paesi maggiormente dipendenti dal gas russo[9], il report indica tre trimestri consecutivi di contrazione, tant’è che erano già previsti in recessione nel 2023, nel già citato Outlook di ottobre dello stesso Istituto, rispettivamente a -0,3% e -0,2%, e la Russia – 2,3%, mentre l’Eurozona subirà un sensibile rallentamento a +0,5% e gli Usa una crescita modesta dell’ +1%.

Le decisioni assunte, su pressioni di Washington, dai Paesi europei e dall’Ue verso Mosca, alla luce dei dati mostrano un impatto negativo, seppur dimezzato rispetto alle prime previsioni, sull’andamento dell’economia russa, sortendo, invece, un effetto opposto sul saldo delle partite correnti che, secondo Boomberg[10], è più che triplicato sfiorando di 167 miliardi di dollari fra gennaio e giugno 2022, rispetto ai 50 del corrispondente periodo del 2021 a seguito dell’aumento dei ricavi dell’export dell’energia e delle materie prime, alla diminuzione delle importazioni a causa delle sanzioni e all’apertura di nuovi mercati di sbocco asiatici che hanno compensato l’impatto delle sanzioni.

Se i provvedimenti restrittivi occidentali sembrano aver raggiunto solo parzialmente gli obiettivi prefissati ai danni della Russia, di altra entità risultano, invece, gli impatti negativi causati alle proprie economie che stanno registrando pesanti effetti in termini di deficit commerciale, elevata inflazione, alti tassi di interesse e rallentamento economico con serie prospettive di recessione tecnica, come indicato dal Fmi.

Le otto tranche di sanzioni comminate dagli Stati europei, sino a questo momento, sembrano assumere, sulla scorta dei dati e delle previsioni economiche, connotato di boomerang ancor più clamoroso rispetto a quelle del 2014.

I vertici politici comunitari e nazionali, fra cui anche il neogoverno Meloni, non possono, a nostro avviso, esimersi dal rendere conto all’opinione pubblica sia in merito alla propria consapevolezza rispetto alla loro scarsa efficacia sulla destinataria, che ai costi sociali che saranno causati dal rallentamento economico e dalla probabile recessione che sta insabbiando la ripresa post-Covid. Costi che inevitabilmente verranno a ricadere in maniera più gravosa sui ceti popolari e sui lavoratori a causa: della chiusura di aziende che non sosterranno l’aumento dei costi energetici, dell’aumento della disoccupazione e della perdita di potere d’acquisto dei salari e degli stipendi innescata dell’impennata inflazionistica con conseguente, inevitabile aumento della povertà, che nel nostro Paese già opprime 5,6 milioni di persone.

(Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati)

 

[1] Per una panoramica dettagliata delle 8 tranche di sanzioni dell’Ue alla Russia consultare: https://www.confindustria.it/home/crisi-ucraina/sanzioni

[2] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/tutti-i-buchi-delle-sanzioni-alla-russia-34533

[3] https://www.infomercatiesteri.it/highlights_dettagli.php?id_highlights=16608

[4] Calcolo effettuato allo stesso tasso di cambio medio annuo del 2019 che fra Usd/Eur era pari a 0,88

[5] https://www.infomercatiesteri.it/public/osservatorio/interscambio-commerciale-mondo/Tabella%201%20-%20Interscambio%20commerciale%20dell’Italia_1666092101.pdf

[6] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2022%3A230%3AFIN&qid=1653033742483

[7] https://www.istat.it/it/archivio/276683

[8] https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2022/html/ecb.mp221027~df1d778b84.it.html

[9] Secondo i dati dell’Agenzia dell’Ue per la cooperazione tra i regolatori dell’energia, al 24 febbraio, la Germania importava il 49% del gas dalla Russia e l’Italia il 46%.

https://www.infodata.ilsole24ore.com/2022/02/25/quali-paesi-europei-dipendono-piu-dal-gas-russo/?refresh_ce=1

[10] https://www.bloomberg.com/news/articles/2022-08-09/russia-more-than-triples-current-account-surplus-to-167-billion