Senza cereali da Russia e Ucraina, l’Africa scivola verso la fame

Luciano Cerasa *

In Italia si tratta (ancora) di una questione di rapido scadimento della qualità dei prodotti alimentari consumati dalla gran parte della popolazione. Ma nel continente africano, la drastica riduzione delle forniture agricole, a causa della guerra, sta ricacciando decine di milioni di persone nel baratro della fame.

Crisi produzione e blocco esportazioni di cereali da Russia e Ucraina.

La Russia non può più esportare a causa delle sanzioni economiche e l’Ucraina non riesce a portare all’estero buona parte dei propri prodotti a causa dei blocchi, da parte russa, dei suoi principali porti nel Mar Nero. La guerra ha drasticamente ridotto i trasporti su ferrovia, rendendo complicate anche le esportazioni via terra. In Ucraina è sempre più difficile trovare il carburante per mettere in funzione i macchinari agricoli. La mancanza di fertilizzanti sta drasticamente riducendo la quantità raccolta e centinaia di migliaia di agricoltori sono ormai sfollati.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, la Fao, stima che Russia e Ucraina contribuiscano rispettivamente al 18% e al 10% delle esportazioni globali di grano e frumento segalato, quasi 33 milioni di tonnellate e 20 milioni di tonnellate nel solo 2021. Ai quali si aggiunge la massiccia esportazione di mais, orzo, colza, che arriva al 63% della quota mondiale nell’export di olio di girasole.

La battuta d’arresto all’import sta facendo schizzare i prezzi, esasperando crisi alimentari e di povertà già esplosive. Nella sola regione del Corno d’Africa, fanno sapere dall’agenzia delle Nazioni unite Wfp (World food programme) “14 milioni di persone stanno già soffrendo la fame, come risultato del fallimento di tre stagioni di pioggia consecutive”. Il Wfp stima che questo numero potrebbe salire a 20 milioni, se anche le possibilità di piogge attuali falliscono e non si materializza alcun finanziamento per l’assistenza umanitaria. La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad) rileva che la sola Africa ha comprato fra 2018 e 2020 grano per 3,7 miliardi di dollari dalla Russia, cioè il 32% delle importazioni complessive del prodotto e per 1,4 miliardi di dollari dall’Ucraina (il 12%).

Uno dei paesi più esposti è il Sudan. Da settimane si stanno registrando marce contro gli alti prezzi degli alimenti.

Tra 2020 e 2021 la popolazione ha dovuto patire gli effetti del Covid, un golpe militare e il dilagare della repressione e violenze. Per il 2022, il Wfp calcola che la dipendenza da Kiev e da Mosca toccherà il 50% dei suoi prodotti a base di grano e che la metà dei 44 milioni di abitanti sarà ridotta alla fame entro dicembre di quest’ anno.

L’Algeria da mesi sta già affrontando tensioni nei suoi mercati alimentari e  ha deciso di vietare l’esportazione di prodotti di consumo la cui materia prima è importata: zucchero, pasta e semola. Sta diventando legge una norma che considera l’esportazione come “un atto di sabotaggio dell’economia nazionale”. Si preannuncia una nuova guerra del pane in Egitto, il più grande importatore mondiale di grano. Gli altri Paesi africani stanno cercando di preservare le loro risorse alimentari e di limitare l’inflazione. Nelle ultime settimane sono state prese misure da Benin, Costa d’Avorio e Mali. In alcuni Paesi, come la Nigeria, si preparano a  una crisi alimentare “imminente” dovuta al blocco delle importazioni di mais.

Il 75% dei cereali importati dalla Libia proviene dall’Ucraina e dalla Russia, il Marocco importa il 21% del proprio fabbisogno di grano dall’Ucraina, la Tunisia il 47%. Vi sono poi Paesi totalmente dipendenti dalle importazioni di cereali da Ucraina e Russia come l’Eritrea, o come la Somalia, al 90%.
In Tunisia, già stremata per le conseguenze economiche della pandemia e dove i prezzi sono in forte ascesa, sarebbero rimaste riserve per tre mesi. Il “default alimentare” è amplificato dalla crisi politica nel Paese, dopo le ripetute sospensioni del parlamento, fino allo scioglimento dello stesso a opera del presidente Saied, per uno scontro tra poteri fatto passare per l’articolo 80 della Costituzione, che prevede la possibilità per il Presidente di sospendere al massimo per un mese il Parlamento e licenziare il governo in caso di comprovata urgenza per tutelare lo Stato.

In più occasioni, navi cariche di grano giunte nei porti tunisini non hanno potuto scaricare la merce perché non veniva pagata, ed anzi, lo Stato ha dovuto versare le penali.

Il tempo stringe.

 

* giornalista economico