Brasile oggi: Sappiamo che sappiamo

Teresa Isenburg –

Ovviamente in questo periodo l’attenzione del “mondo” è volta alla realtà crudele di Ucraina e Russia. Ritengo, tuttavia, che sia utile non perdere di vista anche quello che accade altrove. Nella fase attuale di ridefinizione delle interdipendenze mondiali, come conseguenza di cambiamenti reali nei rapporti di forza fra le principali potenze, il confronto avviene in diversi scenari. Nella disattenzione generale continua e forse si compie la persecuzione di Julian Assange, la repressione e l’aggressione contro i Palestinesi in Israele compiono un ulteriore passo, in Pakistan è successo qualche cosa di oscuro, in Colombia il percorso verso le elezioni presidenziali del 29 maggio è punteggiato da quotidiane esecuzioni di leaders dei movimenti sociali e da minacce di golpe militare, in Brasile l’esecutivo promuove il caos e l’eversione. Proverò dunque a dare qualche informazione su quello che avviene in quest’ultimo Paese nelle ultime settimane.

Nella Federazione si terranno il 2 ottobre 2022 le consultazioni politiche per la elezione diretta del Presidente della Repubblica e dei governatori dei 26 Stati più il distretto federale, della camera dei deputati, di un terzo del senato e dei parlamenti degli Stati. Per quanto riguarda Presidente e governatori, qualora non venisse raggiunto il 50%+1 dei suffragi, vi sarà un secondo turno il 30 ottobre. Al momento le forze politiche sono impegnate a definire alleanze, liste elettorali, strategie comunicative. Per la presidenza della Repubblica, i candidati di maggior peso sono l’ex Presidente Luiz Inácio Lula da Silva (con Geraldo Alkmin – già governatore di San Paolo ed espressione del “centro democratico” – come vice); e Jair Bolsonaro, che non ha ancora indicato il proprio vice, dovendo destreggiarsi fra le pressioni dei settori che lo sostengono: i militari, i pentecostali, le milizie e, in ambito politico, le forze del centro destra non particolarmente fedeli alle istituzioni. Ci sono candidati minori, ma quella che avrebbe dovuto emergere come terza forza, lontana dalla cosiddetta polarizzazione, non decolla in nessun modo.

È una elezione importante. Va infatti tenuto presente che, dal 2016, il Brasile naviga in una situazione assai lontana dal rispetto dello Stato democratico di diritto e dell’applicazione della Costituzione del 1988. Per due anni, fra il 2016 e il 2018, ha occupato la massima carica dell’esecutivo Michel Temer, dopo la deposizione anticostituzionale della Presidente Dilma Rousseff, nei confronti della quale cadono uno dopo l’altro i processi che la concernono, mentre la sua deposizione non è mai stata omologata dagli organismi competenti. Nel 2018 è stato poi eletto Jair Bolsonaro attraverso un percorso elettorale manipolato, sia impedendo fraudolentemente la candidatura di Lula, sia utilizzando in modo abusivo forme di propaganda ingannevole attraverso i mass media e i social. È bene sottolineare che l’ex Presidente Lula è stato assolto da tutti i processi che erano stati mossi contro di lui, a conferma dell’azione eversiva nei suoi confronti compiuta a vari livelli del potere giudiziario.

Come è facile immaginare, dal momento che l’esecutivo in carica non rispetta le regole costituzionali, esso cerca in ogni modo di manipolare le prossime consultazioni politiche, creando un clima di tensione e caos per delegittimare anticipatamente risultati che non gli siano favorevoli. Riprendo le parole di un giornalista molto rispettato e professionale che sintetizza uno dei nodi che al momento soffoca lo Stato democratico di diritto. «Nessun Presidente legittimo, dalla fine della dittatura di Getúlio (Vargas) nel 1945, ha dato tanti motivi per essere investigato con rigore, messo in impeachment e processato, potendo però contare su una tale protezione e tolleranza per i suoi indizi criminali, quanto Jair Bolsonaro. Non c’è polizia, non c’è giudiziario, non c’è Congresso, non c’è ministero pubblico, non c’è legge che sottoponga Bolsonaro a quanto merita», protesta il giornalista Janio de Freitas nel suo articolo sul quotidiano Folha de São Paulo, del 9 aprile 2022. E di certo, una spessa coltre di impunità e omissione protegge il Presidente e il gruppo dei suoi collaboratori più fedeli con incarichi di governo o seggio parlamentare.

Nelle ultime settimane diversi avvenimenti hanno aggiunto nuove pagine alla gestione spigliata della cosa pubblica che caratterizza il quadriennio ormai prossimo alla conclusione. Ha avuto una forte eco la notizia che parte delle disponibilità del “Fondo per lo sviluppo dell’educazione di base” del Ministero dell’Educazione veniva dirottata verso sindaci di determinati municipi, su indicazione di due pastori dell’area pentecostale, con trattative non protocollari. I pastori, che vantavano credenziali presidenziali presso il ministro, avevano libero e frequente accesso al dicastero e, da quello che è dato sapere, al Palacio do Planalto, sede di lavoro del Presidente. L’enormità dell’irregolarità è evidente e la fondatezza della denuncia sembra confermata dal sollevamento dall’incarico il 28 marzo 2022 del ministro Milton Ribeiro, pastore presbiteriano, portato in palma di mano dal Presidente. Lo sforzo per insabbiare la vicenda è titanico, in primo luogo cercando di impedire una commissione parlamentare di inchiesta. Ma la Corte dei Conti continua a trovare irregolarità (per usare un eufemismo) nell’area dell’educazione di base.

A metà aprile, una grande rete televisiva ha dato notizia del lavoro svolto dall’avvocato Fernando Fernandes e dallo storico delle UFRJ (Università Federale di Rio de Janeiro) Carlos Fico sul contenuto di 10.000 ore di registrazione delle sessioni (anche segrete) del Tribunale Militare Superiore degli anni della dittatura. Dalla viva voce delle registrazioni si conferma la perfetta conoscenza della pratica della tortura, che ha accompagnato tutto il periodo della dittatura militare, pratica sulla quale i militari, quindi parte dell’apparato dello Stato, discutevano e ragionavano tranquillamente. Cose tutte documentate ampiamente e in modo incontestabile dal vasto lavoro della CNV (Commissione nazionale della verità – novembre 2011/dicembre 2014) voluta e difesa con coraggio dalla Presidente Dilma Rousseff. La diffusione di queste voci provenienti dal passato ha offerto al vice Presidente, generale Hamilton Mourão, ed al Presidente del Tribunale Militare Superiore, generale Luís Carlos Gomes de Mattos, l’occasione per rilasciare dichiarazioni di distillata volgarità e mancanza di rispetto verso i propri concittadini, proprio in coincidenza con la ricorrenza del golpe del 31 marzo 1964. Il Presidente, si sa, loda sempre i torturatori ed il regime militare. Ancora una volta una manipolazione che vuole riscrivere la storia disprezzando il dettato costituzionale. Traduco alla fine di questo pezzo l’articolo di un docente di diritto sulla vicenda brasiliana.

Infine il 20 aprile il Tribunale Federale Supremo (STF) ha condannato il deputato Daniel Silveira a poco meno di 9 anni di reclusione, alla perdita del mandato e all’ineleggibilità per un certo periodo per tentativo di impedire il libero esercizio dei poteri dell’Unione. Questo oscuro deputato di Rio de Janeiro fa parte dei bravi del circolo più prossimo di Bolsonaro. Inizialmente noto per avere distrutto una targa dedicata a Marielle Franco, nel corso del mandato il suo comportamento da squadrista ha alzato il tiro, attaccando il ministro del STF, chiedendo la chiusura del Parlamento, il ripristino dell’Atto istituzionale 5 della dittatura militare, al fine di promuovere una rottura istituzionale. Il tutto con atti di forte violenza e uso massiccio di reti sociali. Per molto tempo, la Camera dei deputati è stata inattiva nei suoi confronti. Ed alla fine il STF, in base alle sue attribuzioni e in concordanza con la Procura generale della Repubblica, ha avviato un processo, concludendo con le parole del relatore Ministro Alexandre de Morais che “la libertà di espressione esiste per la manifestazione di opinioni contrarie, giocose, satiriche o erronee, ma non per opinioni criminali, per discorsi di odio, per attentati contro lo Stato democratico di diritto e contro la democrazia”. Nel giro di 24 ore, il Presidente della Repubblica ha concesso la grazia costituzionale a Daniel Silveira, un atto politico che vuole coronare mesi e mesi di contrapposizione al potere giudiziario da parte del potere esecutivo, utilizzando in modo improprio un’attribuzione presidenziale. La crisi istituzionale volutamente costruita è grave e mira a rendere teso e confuso il periodo elettorale, che si profila nei prossimi mesi. E solo poche ore dopo tale esternazione il Presidente anticipava di non voler rispettare le decisioni del STF sulla questione della demarcazione temporale delle Terre Indigene, questione che al momento è al vaglio di costituzionalità da parte della Suprema Corte, qualora esse non coincidessero con il suo intendere.

Da ormai otto anni, il Brasile vive una situazione di grande incertezza istituzionale, con un succedersi di abusi e strappi rispetto alle norme vigenti, come risulta dai molti ricorsi presso varie commissioni delle Nazioni Unite. Una condizione, quindi, di cui la cosiddetta comunità internazionale è bene al corrente. Ma le forze democratiche del Paese non hanno trovato particolare rispondenza presso questa che si autodefinisce comunità internazionale, con un termine che suscita speranza, forse in modo illusorio. Oggi, in una situazione di distratto e non giustificato disinteresse internazionale, tutte le espressioni democratiche del Paese hanno un compito chiaro: riportare sui binari dello Stato democratico di diritto la Federazione, binari dai quali esso è stato brutalmente e volutamente fatto deragliare da una convergenza di interessi interni e internazionali minoritari, ma potenti. Un compito irrinunciabile e difficile le cui conseguenze vanno al di là dei confini nazionali.

E il giudice scoprì la tortura. E adesso? Che fare quando si sa?

di Lenio Luiz Streck, Conjur, 21 aprile 22

I giorni recenti mostrano che la letteratura arriva sempre prima. L’angustia dei torturati, il riso dei torturatori… Da” Memorie del carcere” (di Graciliano Ramos) a “Nella colonia penale” di Franz Kafka, la letteratura è implacabile. Nel romano ”Aspettando i barbari” del Premio Nobel J.M.Coetzee, il personaggio-giudice scopre che nel forte si praticava la tortura e ha un dilemma: che fare adesso che si sa? Dice, meditabondo, il giudice: “Quindi ora sembra che i miei anni di tranquillità stiano giungendo alla fine, mentre potrei dormire con il cuore tranquillo, sapendo che con un colpo qui e una spintarella lì il mondo continuerebbe saldo nel suo corso. Solo che, ahimé! io non sono andato via: per qualche tempo mi sono turato le orecchie contro i rumori che giungevano dalla capanna vicina al fienile dove tenevo gli attrezzi, poi, una notte, ho preso una torcia e sono andato a vedere di persona”. Torturavano. Sono andato a vedere di persona…! E adesso, pensa il giudice- personaggio, che fare? Per anni mi sono turato le orecchie. No, non volevo sentire. Così come fa la società brasiliana. No, no, non mi parlare di questo argomento, direbbe il generale. “Non disturbare la mia Santa Pasqua”, dice il Presidente del STM/ Superiore Tribunale Militare (interessante l’ironia della storia: il generale- Presidente-del-STM è stato scelto per fare parte del Tribunale Militare nel 2011 da Dilma Rousseff…). Il generale avrebbe almeno potuto educare il proprio linguaggio. L’argomento lo richiedeva, nevvero? Non è stato adeguato alla sua carica, e a chi lo ha indicato per il tribunale, il disprezzo. Non solo verso le vittime, ma anche verso i sui colleghi del Superiore Tribunale Militare di allora. La posizione del Presidente del STM fa rima e si completa, quanto a disprezzo, con il riso del vice Presidente della Repubblica. Come si dice con espressione popolare, si è preso gioco della sofferenza e della morte. C’è una domanda nell’aria: come possiamo comportarci con dignità, quando ci imbattiamo nelle recenti divulgazioni degli audio del Superiore Tribunale Militare brasiliano che attestano qualche cosa che tutti sapevamo … la tortura? Sapevamo che sapevamo, anche perché avevamo visto il Presidente della Repubblica rendere omaggio a un torturatore. Non possiamo negare che sapevamo. E abbiamo fatto orecchie da mercante? Sappiamo che sappiamo! Non è possibile tapparsi le orecchie. Congratulazioni all’avvocato Fernando Fernandes, per l’instancabile lavoro per rendere disponibili le migliaia di ore di registrazione. Il Brasile è in debito con te, caro amico. Non c’è altro da dire. E saluti al professor Carlos Fico. Tutti siamo in debito con lui.

Rimane da sapere se chi deve sapere, sa già. Perché tutti noi sappiamo che sappiamo. Sappiamo che sappiamo che sappiamo. Rimane da sapere che fare, quando si sa che si sa.

Fonti: Brasil 247, Conjur, Brasil de Fato