Area dibattito

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Care/i, compagne/i,

Riapriamo oggi uno spazio riservato alla discussione interna del e sul partito e la fase politica che vive il paese. Riteniamo opportuno che si sviluppi il dibattito in forme diverse da quelle tipiche dell’epoca dei social network in cui spesso si producono fraintendimenti e polemiche infinite, spesso distruttive invece che riflessione collettiva e scambio fecondo di analisi e proposte.

Il nostro proposito di essere “collante” fra tutte le forme di opposizioni antiliberiste, anticapitaliste realmente ecologiste, femministe e antirazziste, alternative ai poli esistenti, ribadito al Congresso, necessitano di queste elaborazioni. Su queste solide basi ci proponiamo di rilanciare il progetto della Rifondazione Comunista. In tal senso un Congresso che ha avuto il pregio di essere finalmente unitario, rende ancora più importante l’esistenza di uno spazio permanente di confronto.

Uno spazio in cui evidenziare criticità che si incontrano ma anche si avanzino soluzioni e avanzando proposte, evitando di far diventare la discussione un proseguo inutile di quanto si legge ogni giorno sui social network. In questo spazio le compagne e i compagni debbono trovare il luogo in cui articolare il proprio pensiero, i propri dubbi, le proprie analisi, per provare a rafforzare l’azione politica del partito tutto.

Da ultimo alcune avvertenze: si chiede di mantenere la lunghezza dei contributi nell’ambito delle 4000 battute, spazi inclusi, non si tratta di un vincolo ma di un suggerimento affinché si venga letti fino in fondo.

Chi curerà questo spazio cercherà nei limiti del possibile, di provvedere nei tempi più rapidi alla pubblicazione ma si tenga conto che a volte la pubblicazione avverrà qualche giorno dopo l’invio.

I pezzi vanno inviati a stefano.galieni@rifondazione.it

Ci auguriamo che questa opportunità venga colta ed utilizzata per favorire una migliore comunicazione e circolazione orizzontale delle idee e delle esperienze tra i territori, il nostro corpo militante e nei gruppi dirigenti.

Buon lavoro


DIBATTITO / Pap e sinistra: la questione vera è rappresentata dai contenuti e dalle proposte

Pubblicato il 13 lug 2018 in dibattito

Domenico Moro 

Fabio Nobile

La discussione nella sinistra radicale continua spesso a concentrarsi più sui contenitori politici piuttosto che sui contenuti e il posizionamento di classe. In realtà, siamo convinti che le forme debbano essere dialetticamente connesse alla sostanza e quindi ai contenuti, la cui chiara definizione è centrale in vista della importantissima scadenza delle prossime elezioni europee. Bisogna fare uno sforzo di innovazione nell’analisi e nella proposta politica, perché molte cose, intorno a noi, sono cambiate. L’Italia presenta una situazione politica inedita: è l’unico Paese in cui non è al governo alcun partito afferente a uno dei due storici raggruppamenti europei, il Ppe e il Pse. Certamente il bipartitismo tradizionale, basato sull’alternanza centro-sinistra/centro-destra è in crisi in tutta l’Europa eurista, dove partiti di lunga trazione, come il partito socialista francese, non esistono più. Ma solo in Italia il bipartitismo tradizionale è collassato e per la prima volta sono al governo due partiti, il M5S e la Lega, entrambi euroscettici e fautori di politiche anti-immigrazione.

La situazione dell’area politica di sinistra radicale, a sinistra del Pd, non è mai stata così confusa, le posizioni sono molte e variegate, comprese tra due estremi autolesionistici e politicamente suicidi. Uno secondo cui è giusto appoggiare o comunque aprire una linea di credito al governo Lega-M5S, in funzione anti-Europa a egemonia tedesca e/o anti-capitale transnazionale, e un altro secondo cui si sia ormai alle soglie del fascismo e che quindi bisogna allearsi con tutti quelli che ci stanno, magari anche con il Pd o quantomeno con personaggi che vi erano fino a ieri. La cosa bizzarra è che il modello del comitato di liberazione nazionale pare essere il modello politico di riferimento degli impropriamente detti sovranisti e degli europeisti “a ogni costo”.

Purtroppo, il dibattito non è sempre basato sull’analisi della situazione concreta, cui si spesso si sostituisce l’invettiva con accuse reciproche, che divaricano le posizioni, disgregando ancora di più l’area della sinistra. Questa deriva è visibile in particolare sulla questione dell’uscita dall’euro e sull’immigrazione.  L’euro non è una imposizione della Germania, per la sua conquista “pacifica” dell’Europa. L’euro nasce primariamente come strumento di tutto il capitale europeo, soprattutto del suo strato superiore (quello di grandi dimensioni e internazionalizzato), per modificare a proprio favore e a sfavore del lavoro salariato i rapporti di forza ereditati dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma i cambi fissi e l’austerity, allargando i divari tra Paesi e riducendo il mercato interno, incentivano anche la competizione tra stati e capitali e quindi la tendenza imperialista dei paesi europei. In effetti, lo stato nazionale non viene indebolito né tantomeno abolito. Il suo meccanismo di funzionamento viene rimodulato, dando maggiore forza agli esecutivi a scapito dei parlamenti, ma soprattutto (o solamente) per quanto riguarda la definizione delle politiche economiche e sociali.

In questo quadro, anche alcuni settori del capitale sono stati danneggiati dall’euro: le imprese meno internazionalizzate e più piccole che non sono al vertice delle catene globali del valore. Ma anche altri settori, dalle banche alle grandi imprese di stato e non, che hanno scontato la scarsa capacità dei governi italiani di farsi valere nei confronti di Francia e Germania, ad esempio sulla patrimonializzazione delle banche, in Libia, ecc. Sono questi settori che stanno dietro il nuovo governo Lega-M5S e che sostengono, più che la necessaria uscita dall’euro, una ridefinizione dei rapporti di forza tra l’Italia e gli Stati più forti della Uem, Germania e Francia. La questione più importante da capire, per le classi subalterne, è che gli eventuali dividendi della difesa degli interessi “nazionali” di questo governo si risolveranno a favore delle imprese, non solo quelle piccole e medie ma soprattutto, come sempre, di quelle grandi.

Infatti, la pace fiscale, la flat tax, il taglio del cuneo sul costo del lavoro si inseriscono nel solco della tendenza già vista di riduzione dei costi delle imprese e redistribuzione della ricchezza a sfavore delle classi subalterne. Nello stesso tempo il ministro dell’economia, Tria, conferma la necessità della riduzione del debito pubblico e il mantenimento del deficit primario. È, quindi, evidente che non c’è spazio per un vero reddito di cittadinanza, né sono possibili investimenti tali da risolvere il principale problema italiano, quello della disoccupazione. Tantomeno appare, neanche sullo sfondo, una strategia di uscita dall’euro. In questo quadro, l’attacco agli sbarchi degli immigrati è, da una parte, una abile mossa comunicativa per tenere nel blocco sociale che sostiene il governo la classe lavoratrice e i disoccupati del Sud e, dall’altra una scusa, per rimettere tutti e due i piedi in Libia, contrastando le mire francesi. In questo senso, qualunque cedimento alla retorica dell’invasione è un errore grave, perché spacca ulteriormente il fronte delle classi subalterne, cosa che del resto è già avvenuta. Inoltre, il vero problema non sono i flussi di immigrazione, ma – a parte gli eventi catastrofici determinati dall’Europa (guerre, ecc.) – il crollo della crescita europea che impedisce l’assorbimento di nuove forze di lavoro, autoctone e immigrate, e l’impoverimento di milioni di europei. Ma il crollo della crescita e l’impoverimento sono in parte notevole imputabili al modo in cui, grazie all’euro, tutta l’Europa ha affrontato la crisi.

Un approccio di sinistra, quindi, non può tradursi nel “sovranismo”, intendendo con questo termine il semplice recupero della autonomia dello Stato nazionale rispetto agli organismi europei, perché lo Stato (nazionale o no) non è, da punto di vista di classe, neutrale. La questione decisiva sono i rapporti di forza tra le classi dentro lo Stato: l’euro e il “vincolo esterno” (l’alienazione di certe funzioni a livello europeo) sono strumenti tesi a realizzare la governabilità, cioè a ridurre quello che la Trilaterale definiva l’eccesso di democrazia, per imporre alle classi subalterne la disciplina di bilancio e la riorganizzazione dei rapporti di produzione e politici.  Di conseguenza, non è la sovranità nazionale a dover essere recuperata ma la sovranità democratica e popolare dover essere ristabilita e allargata ulteriormente. Sostenere il governo Conte vuol dire essere subalterni al capitale e all’impresa.

Dall’altro lato, sarebbe assurdo pensare che, per contrastare il governo Lega-M5S, bisogna fare una alleanza con chi ha determinato la situazione che ha portato alla vittoria del governo Lega-M5S.  Sarebbe come curare la febbre inoculando dosi massicce di virus. In particolare, non si può pensare ad alcuna union sacré anti-fascista con il Pd, che in Italia è stato ed è il rappresentante più “puro” del capitale transnazionale e che dell’euro e del “vincolo europeo” è stato il maggiore fautore. Senza contare che l’unione “antifascista” verrebbe stabilita proprio con chi ha fatto strame della Costituzione e dei meccanismi parlamentari della Repubblica. E a fronte di forze che, invece, si fanno, strumentalmente, paladine del rispetto della Costituzione. Né il discorso cambia molto quando dal Pd si passa a personaggi che, fino a ieri, vi erano dentro, e che sono stati autori e protagonisti delle peggiori scelte politiche del Pds-Ds-Pd, o a forze politiche fortemente compromesse con alleanze e accordi con il Pd e poco chiare su Ue e Uem.

La questione più bizzarra è che si continua imperterriti a fare gli stessi errori, sensibili al “richiamo della foresta” o del centro-sinistra o di alleanze di “salvezza nazionale”. Anzi, quanto più si è deboli tanto più ci sembra che solo appoggiandosi a qualcun altro si può sopravvivere. Al contrario, come gli ultimi venti anni hanno dimostrato, questo è il miglior modo per sparire definitivamente. Viceversa, bisogna costruire un proprio e definito punto di vista sulla realtà e, sulla base di questo, stabilire un posizionamento politico autonomo, dal punto di vista di classe, che abbia l’ambizione di rappresentare i lavoratori salariati e i disoccupati di questo paese. Ciò è necessario, ma certamente non permette un immediato e magico recupero di consensi e radicamento sociale. Ormai i buoi sono scappati dalla stalla e la crisi del capitale non ha prodotto una prateria da occupare. Davanti a noi c’è un territorio in cui si sono stabilite e ormai radicate altre forze, il M5S e la Lega, cui bisognerà contendere il terreno palmo a palmo. Si tratta di un lavoro lungo, che sarà tanto più lungo quanto meno saremo disposti a confrontarci con una analisi seria della realtà e a ridefinire i fondamentali di una nuova politica in modo adatto a una fase storica inedita.  Al contrario, se continueremo a muoverci su binari puramente ideologici (e per di più vecchi) ci metteremo molto più tempo, ammesso che si riesca a sopravvivere.

In tutto questo come si inserisce Pap? Il punto non è se Pap deve esistere ma come deve farlo. Pap va mantenuto perché, nell’arretrato quadro politico italiano ed europeo, sotto il profilo del posizionamento in termini di costruzione di alleanze, Potere al Popolo rappresenta un passo in avanti rispetto alla situazione precedente. Infatti, il rifiuto che alcuni oppongono alla continuazione dell’esperienza di Pap nasconde la volontà di riproporre vecchie formule politiche e alleanze con soggetti e personaggi politici compromessi, che mantengono come prospettiva di fatto il centro-sinistra, in modo da implicare persino una alleanza con un Pd “derenzizzato”. Soprattutto queste alleanze impedirebbero di fare chiarezza sui contenuti, riproducendo la solita contrapposizione ideologica tra cosmopolitismo e nazionalismo, e rifacendosi a un europeismo e a illusioni di cambiamento della Ue e della Uem che hanno consegnato la sinistra disarmata alle strategie del capitale. Proprio sull’Europa, l’adesione di Pap al documento di Lisbona, firmato dalle forze di sinistra con le posizioni più avanzate a livello continentale (Podemos, Bloco de Izquierda e soprattutto La France Insoumise) consente un passo in avanti. Il documento, per quanto ancora insufficiente dal nostro punto di vista, prende le distanze nei confronti delle illusioni di democratizzazione della Ue e della Uem che ancora animano parte della sinistra radicale italiana e europea.

Il vero problema di Pap è invece il come. Infatti, che Pap sia necessario non vuol dire che vada bene così com’è o che il punto sia quello di trasformarlo in soggetto politico. Qui non si tratta soltanto o soprattutto del risultato elettorale al di sotto delle aspettative. Infatti, una coalizione che sorge tre mesi prima delle elezioni rende queste ultime un banco di prova tutt’altro che risolutivo, a meno che l’illusione leaderistica non abbia fatto breccia tra le nostre fila e si ritenga possibile ottenere risultati significativi in un battito di ciglia. La questione è che Pap va rafforzata sotto diversi profili su cui, riteniamo, sia oggettivamente ancora debole. Uno è quello della comunicazione e del linguaggio, che pure, secondo alcuni, avrebbe dovuto essere nuovo e quindi il suo punto di forza. Invece, proprio il linguaggio denota una debolezza sul piano dei contenuti. La riorganizzazione eurista, a fronte della crisi del capitale, come detto sopra, non ci apre praterie ma scava contraddizioni al nostro interno. C’è, quindi, la necessità di definire i contorni di una nuova solidarietà di classe, tra lavoratori e disoccupati italiani e tra questi e i lavoratori e i disoccupati immigrati. Invece, spesso la comunicazione, non solo sull’immigrazione, rispecchia linguaggi vecchi, caratterizzati da un umanitarismo generico, tipico della tradizione cattolica. Un’altra debolezza, più importante, è riscontrabile sul mutualismo. Forme di mutualismo fanno parte della tradizione operaia. Recuperarle in maniera inedita può essere significativo verso alcuni strati sociali ma metterle come unico centro del processo di ri-radicamento di classe rischia di portare fuori strada. Inoltre, dobbiamo essere molto oculati a non farci promotori, anche involontariamente, di forme sussidiarie private di welfare, perché va rivendicato il welfare pubblico come vero obiettivo del mutualismo che si mette in campo. Soprattutto, non possiamo continuare a essere subalterni alla ormai dominante frammentazione, locale e contenutistica, del conflitto. Infatti, il movimento comunista, sin dai suoi inizi con Marx, pur riconoscendo i meriti del mutualismo, rivendicò la priorità della lotta politica, come ricomposizione della parzialità delle lotte economiche e sociali in una critica generale e perciò politica, alla società del capitale.

La questione principale oggi è, quindi, quella del recupero della politica, intesa come modificazione dei rapporti di forza generali delle classi subalterne nei confronti del capitale e dello Stato. Si tratta di acquisire la capacità di definire linee guida e orientamenti generali che, in prospettiva, ricompongano le lotte e la classe lavoratrice stessa, ponendosi nella prospettiva di parlare a milioni di lavoratori e disoccupati. Solo tale recupero della politica può rendere utile in termini di supporto anche il mutualismo ma soprattutto è necessario non disperdersi in mille rivoli di proposte e di sensibilità di vario tipo, e pretendendo di rappresentarle tutte e tutte allo stesso modo. Centrale, invece, è la questione del modello di sviluppo economico, perché collegato alla creazione di lavoro e alla capacità di investire nelle infrastrutture e nella soddisfazione dei bisogni collettivi, che a sua volta pone la questione dell’uscita dalla Uem. L’indubbia necessità di ampliare la capacità inclusiva di Potere al Popolo si è scontrata sovente in questi mesi con una modesta capacità di relazione con il corpo attivo delle residue organizzazioni di massa: CGIL, Anpi e Arci. L’ambizione egemonica di Potere al Popolo, che si vorrebbe estesa all’intera società, si è scontrata cioè con una lettura non differenziata di queste grandi realtà associative, in cui militano molti comunisti e che in taluni contesti territoriali da essi sono dirette. Questa circostanza, nel caso della CGIL ad esempio, non sposta di un centimetro il giudizio politico sul suo gruppo dirigente nazionale ma da qui a rinunciare, sovente con boria, a proporre una direzione politica generale a questi compagni è un errore molto grave, che può compromettere l’intero percorso politico. Logica vorrebbe quindi tatto e prudenza nella relazione con questi compagni, in luogo di giudizi sommari e privi di ogni benché minimo fondamento politico.

Senza risolvere ed affrontare i nodi succitati l’avvitarsi sulle discussioni attorno alle forme non ha senso, come purtroppo avviene da anni troppo spesso. Bisogna avere un atteggiamento flessibile. Da una parte bisogna dare la possibilità di partecipare in modo compiuto anche a chi non afferisce a nessuna delle organizzazioni presenti in Pap, dall’altra parte non sussistono né le ragioni strategiche né le condizioni pratiche, politiche e organizzative, per scogliere le organizzazioni e i partiti esistenti.  Compito prioritario e realizzabile, invece, è oggi quello di dare prova di capacità di sintesi e di collaborazione tra le forze che compongono Pap, rafforzandolo mediante la scelta della comunicazione più adeguata e soprattutto la definizione di poche linee guida, che alle elezioni europee facciano emergere un profilo politico chiaro. La situazione è molto difficile, perché, in parte, le speranze legate alla nascita di Pap corrono il rischio di essere disattese e, come spesso accade in fasi di transizione, emergono tendenze disgregatrici le quali si fanno strada in un quadro politico di crisi. Bisogna, quindi, sforzarsi di avere un atteggiamento equilibrato. Da una parte, non si può buttare a mare questa esperienza, che ha consentito di superare vecchie coazioni a ripetere. Dall’altra parte, affinché cominci a produrre risultati, bisogna che Pap riesca a tradurre le contraddizioni della realtà attuale in termini politici e finalmente adeguati alla fase storica in corso.

Un segnale positivo in questo senso è provenuto dalla manifestazione nazionale dello scorso 16 giugno a Roma, promossa dalla Federazione Sociale dell’USB a seguito dell’omicidio di Soumayla Sacko, e che ha visto partecipare i due segmenti più avanzati della lotta di classe nel nostro paese: i lavoratori della logistica e quelli della terra. Il tema oggi più di ieri è sollecitare, organizzare il conflitto e tradurlo in termini generali

 

 

DIBATTITO / Le elezioni e la Politica

Pubblicato il 12 lug 2018 in dibattito

 Nicola Candido

Più volte ci siamo detti che non tutto inizia e finisce nelle elezioni. Ce lo diciamo ma poi facciamo al contrario. In questo ambito, e mi riferisco alle elezioni nazionali e non locali perché le due cose, come ogni volta costatiamo, viaggiano su due binari diametralmente opposti, si profilano due ipotesi.

La prima. L’idea della cosiddetta Sinistra unita, plurale, larga, ecc. ecc. Una sorta di mantra che ad ogni elezione ritorna e che nella pratica ha visto sempre più o meno le stesse persone, nelle liste o sui territori, mettersi insieme e poi litigare. Sinistra Arcobaleno, Federazione della Sinistra, Rivoluzione Civile, Altra Europa con Tsipras, Brancaccio. Quest’ultimo caso non è nemmeno iniziato, gli amici di avventura ci hanno lasciato con il cerino in mano, per una poltrona, prima di cominciare. Compagne/i di strada che è meglio perdere che ritrovare. Sempre se non ci piace il cerino. Salvo che per l’Altra Europa le esperienze elettorali sono state disastrose, oltre che brevi, ma ad ogni elezione si ripropone lo stesso schema. Nuovo, partecipato, largo, innovativo, ma sempre lo stesso.

Colpiti da una schizofrenia latente (o conclamata), noi di Rifondazione siamo i primi (chi più, chi meno) a buttarci nell’apoteosi unitaria, con testa e cuore, ma siamo anche altrettanto molto veloci a disilluderci. Tranne la Federazione della Sinistra, tutte queste esperienze elettorali/organizzative sono durate qualche mese. Nemmeno il tempo di farci l’abitudine e, ogni volta, abbiamo perso delle/dei compagne/i preziose/i.

La seconda ipotesi, che coincide con l’ultima esperienza, quella di PAP, è stata simile alle altre, ma con il merito di cambiare almeno le/i compagne/i di disavventura e di attivare energie meno vecchie e diverse. PAP non è certo l’alfa e l’omega di Rifondazione Comunista, ma è l’unica ipotesi, nazionale e un minimo credibile, in campo. Un minimo credibile perché l’altra lo è ancora di meno. I soliti stranoti della Sinistra ci farebbero perdere anche quel minimo di credibilità conquistata dopo anni di traversata del deserto. A differenza delle altre esperienze, PAP, ha un non trascurabile dinamismo sociale e vertenziale e, almeno, non ci dobbiamo rincontrare con i soliti dinosauri (gli stessi dal 2008) con cui ogni volta abbiamo condiviso le disavventure unitarie. C’è un potenziale su cui lavorare, con tutti i limiti che possono sorgere o che sono già sorti. Per inciso. Il risultato del 4 marzo è in parte anche colpa nostra. Non perché le/i compagne/i del PRC non abbiano dato tutto loro stessi (e anche di più) ma perché “rifondazione comunista”, sebbene organizzativamente fondamentale, elettoralmente ha contribuito poco al risultato.

Un po’ di autocritica: l’incoerenza e l’arrendevolezza. Prima delle elezioni ci eravamo detti e avevamo scritto che avremmo continuato con il progetto PAP qualsiasi risultato fosse arrivato (e solamente gli stolti potevano pensare ad un risultato positivo) e ora dopo pochi mesi (come sempre) molte/i compagne/i hanno cambiato idea. Ma come si fa ad avere un minimo di credibilità se cambiamo idea ogni 3 mesi? Come si fa ogni volta a rispiegare e lavorare con le/i compagne/i se ogni tre mesi occorre ripartire da zero? Ma sarà mai possibile credere (e lavorare coerentemente e tutte/i insieme) ad un progetto politico almeno per un paio di anni? Anche per avere un po’ di tregua e poter lavorare sull’elaborazione culturale e politica, ormai assente in tutta la Sinistra. Non pretendo dei decenni, come i tupamaros uruguaiani o come Grillo, ma per avere dei risultati elettorali positivi (per la natura stessa della comunicazione e delle elezioni) serve un lasso temporale di qualche anno. Altrimenti, e lo dico molto amaramente, è meglio saltare un giro. Mai più accrocchi senza regole, strutture, democrazia interna, mai più soggetti nati negli ultimi 4-5 mesi prima delle elezioni. Sarebbe, questa sì, la morte di Rifondazione Comunista. Perdere ulteriori voti e militanti (perché l’aritmetica in politica funziona al contrario) non mi sembra intelligente.

Per i motivi di cui sopra, penso che con PAP ci dobbiamo, almeno, provare. Come? Innanzitutto strutturando e pretendendo che il metodo decisionale sia incardinato in delle regole chiare e dal basso (meglio una testa un voto). Chi, invece, pensa che strutturare PAP vada contro Rifondazione (o che sia la premessa per un suo scioglimento) non ha capito nulla della democrazia. Semmai avremmo dovuto chiederlo prima. Senza iscrizioni, struttura, organizzazione non c’è democrazia e dove non c’è democrazia interna Rifondazione è destinata a soccombere. Come è già successo con la Federazione della Sinistra o con il Brancaccio. Avere paura della “sfida dei numeri” mi sembra assurdo, se pensiamo di essere dei comunisti e di praticare (e non solo declamare) l’egemonia gramsciana.

Infine, al contrario di molti, penso che PAP, al pari di un soggetto come Izquierda Unida, sia lo strumento per le elezioni (anche per le prossime europee) e che la Sinistra, unita e plurale, ecc. ecc., sia invece uno strumento da costruire e testare nelle lotte e (se ci sono le condizioni) da proporre, in certi casi, a livello locale oltre che un laboratorio della “battaglie delle idee”. Ciò perché se non vogliamo parlare con i soliti dinosauri, occorre che qualcosa a Sinistra emerga dalle pratiche quotidiane o che unisca, dove ci sono, esperienze positive preesistenti. Ma è altrettanto indubbio che la Sinistra unita, plurale, ecc. ecc. oggi esistente (e non immaginaria), a livello locale e nazionale, stia ritornando di gran fretta verso il PD e dopo gli ultimi cerini, occorre fare alleanze o percorsi condivisi solo con chi si sia conquistato un minimo di credibilità.

 

 

DIBATTITO / Per l’autonomia e il rafforzamento del PRC, per la costruzione di una sinistra di alternativa credibile

Pubblicato il 12 lug 2018 in dibattito

Raffaella Calvo

Giancarlo Onor

Rita Scarpinelli

Sottoscritto da 245 compagne/i

Le ultime vicende politiche hanno evidenziato una situazione in continua evoluzione caratterizzata da continue pressioni delle autorità dell’Unione Europea e un atteggiamento subalterno del Presidente della Repubblica alle ingerenze dei poteri forti sulla democrazia italiana. Nel contempo, la nascita di un governo lega – 5 stelle mette in luce i rischi enormi che gravano sul paese in tema di democrazia, diritti e condizione sociale, con una sinistra che, per limiti in gran parte soggettivi, non riesce a sostenere una adeguata battaglia di opposizione. E’ in questa nuova situazione che si viene a calare oggi la questione delle scelte del PRC in merito al suo ruolo e alla sua politica delle alleanze.

La recente discussione alla tre giorni di Spoleto e, in seguito, nella direzione nazionale del PRC, e infine l’esito dell’assemblea nazionale di PAP a Napoli, dimostrano che il problema del come Rifondazione Comunista si colloca in PaP stia diventando una questione decisiva.  Ciò è dovuto al fatto che è ormai evidente che in Pap vi sono componenti che perseguono l’obiettivo della marginalizzazione dei partiti (fra cui il primo è Rifondazione Comunista), e che operano consapevolmente per la costruzione di un “nuovo partito”, collocato su posizioni minoritarie ed egemonizzato da alcune componenti prive di una significatività sociale. Gli attacchi ripetuti ai partiti e, nello specifico, al PRC, condotti nell’assemblea di Napoli, dicono molto di più di tanti discorsi, così come la scelta, ivi compiuta, di dar vita a un tesseramento sulla base di una quota di 10 euro alla nuova formazione, cui aderirebbero “a titolo individuale” i singoli compagni del PRC. E’ chiarissimo che tutto crea le condizioni per la crisi del partito e, nell’immediato, per la perdita della sua autonomia.

Il fatto molto grave è che una parte del gruppo dirigente (presente sia nell’ex maggioranza congressuale che nell’ex minoranza) ha oggettivamente favorito questa deriva. Innanzitutto, evitando ogni riflessione circa il pessimo esito elettorale conseguito dalla lista di PaP e quindi sull’evidente irrilevanza della sua rappresentatività sociale, e poi rimuovendo i problemi ormai evidenti, più volte segnalati da molte strutture locali del partito. Inoltre, considerando le differenze presenti in PaP irrilevanti, ed enfatizzando la retorica assembleare e la logica degli assemblamenti improvvisati,  si è finito col passare dalla decisione di mantenere in vita PaP, al sostegno alla sua trasformazione in un soggetto sempre più simile a un partito.

A tale proposito, non si finirà mai di sottolineare l’avventatezza delle scelte compiute, peraltro al di fuori degli organismi dirigenti legittimi, e in assenza del rispetto delle norme che regolano la nostra democrazia interna. E’ il caso di proposte di organizzazione di PAP, inviate al coordinamento dello stesso, senza essere state discusse negli organismi del partito, cui sono state inviate solo successivamente. In tali proposte, non solo si teorizzava una cessione sostanziale della sovranità del partito, ma si accettava il principio per il quale “non” il partito in quanto tale fosse rappresentato nei vari livelli di PAP, ma singoli suoi iscritti, previa adesione/iscrizione a PAP medesimo. In pratica, si assumeva una logica subalterna, si rinunciava al proprio ruolo di partito politico e si finiva con il creare le premesse di una divisione del partito fra aderenti e non aderenti a PaP.

Così, avendo sostenuto acriticamente l’esperienza di PaP, descrivendola di volta in volta come “strategica”, “essenziale”, “imprescindibile”, si è finito con il far passare anche nelle file del partito l’idea di Pap come ultima spiaggia, Non può essere considerato un caso l’annuncio che un gruppo di iscritti di Rifondazione intende uscire dal partito per aderire a PaP, indipendentemente dalle determinazioni del P.R.C. E’ evidente che simili episodi sono anche il portato di una posizione politica poco attenta alla necessità di preservare il proprio partito e ossessionata dall’idea di sperimentare nuovi contenitori, considerati come la soluzione delle difficoltà del partito stesso.

A Napoli, il gruppo dirigente nazionale, anziché porre il tema della necessità di un fronte costituito da soggetti autonomi, rivendicando un modello organizzativo del tutto diverso e ponendo con forza la questione dell’insufficienza evidente dell’esperienza di PaP, rispetto alla necessità della costruzione di una sinistra di alternativa effettivamente credibile, ha scelto il solito profilo basso, arrivando al paradosso di trattare sul costo della tessera a PaPe mediando, alla fine, sui 10 euro (senza chiedersi se sia possibile chiedere ai nostri iscritti di tesserarsi a Rifondazione e nel contempo iscriversi, con 10 euro, a PaP).

Alcuni compagni pensano che sia possibile stare in PaP a quelle condizioni, potendo comunque sviluppare un’azione egemonica. Si tratta di pie illusioni. Privato della sua autonomia politica, in un contesto in cui le pulsioni antipartito sono molto forti, umiliato nel suo ruolo politico, il partito rischia smembramenti, abbandoni ed è quindi posto in una condizione di subalternità e non certo nelle condizioni di esercitare una egemonia. Il problema di fronte al quale si trova il PRC è quindi molto serio. Anche perché in PaP si sono evidenziate culture politiche che, al di là delle convergenze programmatiche dichiarate, sono difficilmente conciliabili. Per tutte queste ragioni, è necessario affrontare l’attuale situazione come una vera e propria emergenza in cui in gioco vi è la sopravvivenza non solo del PRC, ma della possibilità di costruire un blocco sociale capace di egemonia culturale. Le nostre posizioni, a tale riguardo, sono semplici:

  1. PaPpuò svolere un ruolo utile solo a condizione che riconosca, in primo luogo, un effettivo pluralismo al suo interno. Per questo oltre all’orientamento politico generale e al programma su alcuni temi d’iniziativa comune di massa, non vi può essere alcuna cessione di sovranità da parte del nostro partito.

Per lo stesso motivo non è possibile pensare allo smembramento dei partiti e delle associazioni in singoli aderenti, non deve esistere un tesseramento a Pap, preludio alla nascita di un nuovo partito. Ogni decisione deve essere assunta dai soggetti che compongono PaP sulla base del principio del consenso pieno, non avendo alcun senso basarsi sul principio di maggioranza assoluta o qualificata in una struttura che si presenta come un movimento.

In questo contesto, Pap deve essere un pezzo di uno schieramento più credibile e soprattutto più rappresentativo socialmente. In tal senso, esso non può assolutamente considerarsi autosufficiente.

 

  1. Obiettivo fondamentale resta la costruzione di una sinistra di alternativa, composta di soggetti autonomi, unificati da un programma per una battaglia di opposizione e da una discriminante esplicita verso il PD e ogni ipotesi di riedizione del centro-sinistra e a livello europeo verso il PSE. Per questo, una sinistra di alternativa non può presentare al suo interno posizioni equivoche nei confronti del PD e di alleanze con lo stesso. Questo partito, infatti, si è rivelato essere il principale sostegno alle politiche di austerità e all’attacco dei diritti dei lavoratori.

Tale impostazione deve stare alla base, in particolare, della costruzione delle prossime intese elettorali nazionali ed europee, rispetto alle quali occorre da subito porre la questione di una presentazione elettorale credibile, alla quale lavorare con Potere al Popolo, ma non solo.

Nei confronti delle organizzazioni di massa, una sinistra di alternativa deve saper operare al loro interno, sostenendo una battaglia politica esplicita quando ve ne sia la necessità, senza ripregare su posizione isolazionistiche o settarie, incapaci di dialogo con le masse popolari.

 

  1. Rifondazione comunista, in questo contesto, deve recuperare una sua visibilità, aprire interlocuzioni con soggetti esterni, a cominciare da realtà di movimento e associative che oggi non sono in PaP, ma che condividono la proposta di una sinistra compiutamente alternativa.

La necessità del rafforzamento di Rifondazione implica la costruzione, da subito, di un dialogo con le forze che si riconoscono nella necessità di una presenza comunista e nell’attualità del comunismo, sostenuta da una progettualità fortemente innovativa, che muova dall’eredità lasciataci da Gramsci e dalle esperienze più avanzate del movimento operaio.

Lo sforzo immediato del partito deve essere quello di uscire dall’anonimato, ripristinando la visibilità dei propri simboli, entrando nella scena politica con proposte autonome, riorganizzando le proprie strutture, finalizzandole alla priorità del rapporto col sociale e della costruzione del conflitto.

Va ripristinata nel PRC una democrazia interna rigorosa. Ciò vale, in particolare, per quanto riguarda le scelte concernenti le cessioni limitate o ampie di sovranità o quelle che compromettano l’unità dell’organizzazione e la sua autonomia decisionale. Materie affrontabili solo in sede congressuale.

DIBATTITO / Potere al popolo: a che punto siamo

Pubblicato il 9 lug 2018 in dibattito

Dino Greco

C’è una perfetta simmetria fra le posizioni di quanti, dentro il partito, vorrebbero sganciare Rifondazione da Potere al Popolo e quanti, apostoli indefessi della crociata contro tutto ciò che sa di partito, vorrebbero che il Prc si togliesse finalmente di mezzo.

Gli uni persuasi – taglio il tema con l’accetta – che lì dentro ci si abbandoni ad una deriva minoritaria ed estremista, testimonianza senza futuro, gli altri specularmente convinti che la contaminazione con Rifondazione risucchi il movimento dentro tradizionali pratiche istituzionali  ed alleanze politiche farlocche, in qualche modo contigue al centrosinistra.

Gli uni e gli altri combattono appassionatamente la stessa battaglia nell’intento condiviso di rompere ciò che si è faticosamente avviato e di raggiungere lo scopo voluto: ciascuno a casa propria, merli con i merli e passeri con i passeri.

Per quanto ci riguarda, fra gli argomenti in campo, troviamo altre cinquanta sfumature di grigio, ma la sostanza rimane la stessa: dovremmo revocare la netta scelta di campo, sociale e politica, che il Prc ha compiuto quando ha raggiunto la convinzione che nessuna delle forze politiche che il mainstream definisce generosamente di sinistra può essere definita tale, essendo strutturalmente approdata sulle sponde di una cultura liberale.

Naturalmente, i problemi che abbiamo di fronte sono tutt’altro che semplici. Fra questi, il riemergere del mai tramontato, vecchio vizio settario che impedisce, malgrado le solenni dichiarazioni in segno contrario, di favorire un processo inclusivo e aggregativo più ampio; la diffidenza verso chi viene da esperienze e sensibilità diverse; la difficoltà intellettuale a sporgersi oltre le Colonne d’Ercole del “mondo conosciuto”, la paura di essere cooptati dentro un pensiero altro da sé.

Abituarsi a lavorare insieme, a mettere a fattor comune tutto ciò che unisce, a delimitare, anziché esaltare, ciò che ancora divide, a favorire processi di “ibridazione”: questo è il faticoso lavoro da fare. Chi è padrone di se stesso ed è ancorato ad una solida struttura di pensiero non deve temere espropriazioni: il terreno dell’egemonia non è il recinto, ma il campo aperto.

Il punto cui siamo arrivati ci mette di fronte ad uno snodo decisivo: la forma (oggi più che mai sostanza) del movimento plurale che vogliamo costruire.

Provo a mettere (con qualche schematismo) le cose in fila:

non un partito, che è formazione complessa, che non si improvvisa, che è il risultato di un profondo e duraturo processo di sedimentazione teorica, di pratiche politiche e sociali. L’appartenenza a due partiti è impossibile, perché ogni partito è “ontologicamente” concorrenziale rispetto ad ogni altro e il Prc non ha alcuna intenzione di sciogliersi, non per un banale riflesso identitario (come quel gatto bolso che punta la preda senza sapere più perché), ma in quanto il tema della rifondazione comunista, sebbene ancora non svolto, è ancora lì di fronte a noi, in tutta la sua pregnanza.

Un movimento organizzato, dunque, e organizzato perché non deve restare nel limbo di un’aggregazione liquida, priva di regole che esaltino la partecipazione e modalità di vita democratiche interna del tutto nuove, fondate sulla sovranità delle assemblee territoriali e dell’assemblea nazionale: un’assemblea composta da delegati eletti dalle stesse assemblee territoriali, senza rendite di posizione, muniti di mandato imperativo, assoggettati al vincolo della rotazione e della revoca del mandato.

Di qui la decisione di formalizzare l’adesione a Potere al Popolo attraverso una piattaforma che fra pochi giorni diventerà operativa, consentendo di misurare in progress la consistenza del movimento e di sviluppare il massimo del coinvolgimento dei militanti nella costruzione del dibattito e della linea politica.

Tutti gli strumenti di comunicazione interna, dalla piattaforma alla mailing list alla pagina facebook dovranno essere gestiti collegialmente, in un clima nel quale il rispetto reciproco è una condizione preliminare.

In queste settimane, accanto a molti fatti positivi si sono verificati episodi che hanno negativamente contraddetto lo sforzo di costruzione in corso. Questi non hanno una responsabilità univoca, sono a geometria variabile, da realtà a realtà, e sono il riflesso della permanenza, talvolta esplicita talaltra dissimulata, di atteggiamenti che finiscono per negare la grande intuizione che è stata alla base dell’atto fondativo di Pap: socializzare la politica e politicizzare il sociale, attraverso un’aggregazione vasta capace di mettere radicalmente in discussione, finalmente senza ambiguità, fumisterie e giri di valzer, l’ordine delle cose esistente.

L’impresa è complicata ma abbiamo l’intelligenza necessaria per mandarla in porto: ne parlo da compagno di Rifondazione comunista e da delegato di Pap Brescia al coordinamento nazionale del movimento.

DIBATTITO / Siamo all’anno zero della sinistra Ripartiamo da Rifondazione Comunista

Pubblicato il 5 lug 2018 in dibattito

Walter Tanzi

In un momento di profonda crisi economica, sociale e politica come quella che sta attraversando l’Italia in questi tempi, possa far specie notare come qualsiasi partito alla sinistra del PD arranchi a livello elettorale.

Il risultato elettorale di Potere al popolo, lista che raccoglie il 1% dei voti, ci deve fare riflettere, io penso che Pap non abbia prospettive politiche in grado di parlare alla pancia dei ceti meno abbienti e che sia senza alcun appeal evidenziando l’inconsistenza in termini di aggregazione del consenso politico.

È stata una sconfitta pesante. Come si può essere contenti di un risultato appena sopra i decimali.

Come è accaduto che in questi ultimi anni il partito che ha avuto un Circolo in ogni campanile stia sparendo? Sono stati fatti errori strategici piuttosto chiari.

In questa situazione terremotata ritengo che si debba ripartire da qualche punto fermo. Per questo ritengo necessario, nel contesto di valorizzazione dei rapporti unitari a sinistra, rimettere in pieno funzionamento Rifondazione Comunista, sia come corpo politico collettivo formato da decine di migliaia di compagni e compagne, sia come capacità di proporre un indirizzo politico grazie al quale uscire dal pantano.

Ripartire da Rifondazione Comunista, che deve continuare a vivere per l’oggi e per il domani, è condizione assolutamente indispensabile per poter ricominciare a lavorare ad un processo di unità della sinistra che, evitando scorciatoie politiciste ed organizzative, riesca a ricostruire una lettura credibile della società italiana, un qualche grado di radicamento sociale e un senso concreto dell’utilità sociale della sinistra in questo nostro paese e non ripetere gli errori che ci hanno portato a questo disastro.

Più Rifondazione Comunista vuol dire più Sinistra: qui si tratta di decidere se gettare a mare un progetto politico e organizzativo oppure se ripartire da dove ci siamo persi, con idee chiare.

Ora si tratta di rimettersi in piedi: ripartendo da Rifondazione Comunista e dalle origini di Rifondazione Comunista, quello di rinnovare e rifondare il comunismo in Italia.

Una Rifondazione Comunista forte è condizione fondamentale per la democrazia del nostro Paese.

Solo così il partito potrà tentare di risollevarsi da una china che appare irreversibile.

Occorre una conferenza programmatica per ricostruire il progetto del PRC, per dire chi siamo, cosa vogliamo fare, come lo vogliamo fare e con chi. Basta giochi, basta ambiguità.

Serve rifondare la sinistra in Italia. Serve voltare pagina con la breve storia negativa di questi ultimi 10 anni (da Chianciano), dove abbiamo spolpato un patrimonio politico vivo e grande, riducendo il partito a un corpo agonizzante. Serve un processo di ricostruzione politica e organizzativa.

Nel 2008 dopo la sconfitta della Sinistra Arcobaleno Paolo Ferrero dichiarava: “Riattivare i percorsi di discussione politica è assolutamente necessario per evitare che la sconfitta determini il ripiegamento e il ritorno a casa di decine di migliaia di compagne e compagni”.

Se il PRC vuole tornare a riempire se stesso di significato, deve ripartire proprio da qui.

 

DIBATTITO/ Riflessioni e proposte sul Partito e su Potere al Popolo

Pubblicato il 2 lug 2018 in dibattito

    

Enzo Jorfida

In premessa, pur considerando imprescindibile l’obiettivo di un’aggregazione di tutte le forze che si riconoscono nella necessità di costruire un’aggregazione per combattere (nella società e nelle istituzioni a tutti i livelli) il sistema capitalista, non posso che confermare la mia valutazione negativa sulla precipitazione organizzativa prefigurata dall’assemblea di Potere al Popolo tenutasi a Napoli, in quanto, per un verso, metterebbe in capo a un soggetto parziale e debole (comunque non certo più solido di quanto sia oggi il PRC), compiti non certo secondari. Un soggetto non omogeneo (PRC, PCI, Sinistra Critica, je so pazz, Euro stop), inconsistente dal punto di vista di classe, politicamente incerto su temi decisivi (come quelli internazionali, a partire dalla guerra nel cuore dell’Europa e dei rischi di un estendersi verso est) e in quanto per altro verso non garantisce nell’ambito di suddetta aggregazione l’autonomia politica e organizzativa dei comunisti e delle comuniste, con i rischi che la nostra organizzazione diventi una “mera tendenza culturale”. Altra cosa è condividere con tutti i soggetti che compongono oggi Potere al Popolo una piattaforma (di cui ancora non si intravede la nascita) per lottare contro i provvedimenti del governo nato con le elezioni del 4 marzo.

Quindi si pone il problema di dare corpo alle decisioni della Direzione Nazionale votate all’unanimità. Fondamentale per realizzare quegli obiettivi è rilanciare, rafforzare, estendere la nostra presenza organizzata nei territori (Circoli comunali, inter-comunali, di luogo di lavoro, di zona nei grandi centri urbani, creando anche nuclei nelle dimensioni minori) per ricollegarsi alle masse popolari che o hanno deciso di non partecipare più alle scadenze elettorali o, peggio, hanno votato altre formazioni (anche di destra).Vi è infine la necessità che i nostri iscritti e militanti riprendano con forza la presenza nelle organizzazioni già radicate nei territori (sindacati, associazioni culturali, di solidarietà internazionale, anti-fasciste, ecc.).Sono alcune riflessioni e proposte che i gruppi dirigenti del Partito a tutti i livelli dovrebbero adoperarsi per realizzare le necessarie azioni verso le masse popolari.

DIBATTITO / Potere al Popolo è uno strumento non realtà da reificare

Pubblicato il 30 giu 2018 in dibattito

Nadia Rosa

Cesare Martina

Siamo da tempo convinti che sia necessario costruire la massima unità di azione con altre forze politiche, sindacali ed associative per consentire al PRC di realizzare gli obiettivi politici che difficilmente potrebbe raggiungere in solitudine. Guardiamo, quindi, con entusiasmo a qualunque percorso ci porti a combattere insieme le tante battaglie che ci aspettano. Pensiamo altresì che Pap possa essere, in questa prospettiva, uno strumento utile. Ma appunto, uno strumento. Da utilizzare con intelligenza e, a volte, con prudenza. Non un’entità da reificare, caricandola di qualità e possibilità che oggi non sembra e non può avere e fingendo di non vederne i limiti e le criticità. Uno strumento tra gli altri, non l’unico.

Guardare a Pap con animo laico e critico, non da tifosi, non ci sembra il modo peggiore per disprezzarlo ma il modo migliore per metterlo al riparo dalla deriva minoritaria ed autoreferenziale che costituisce il rischio maggiore per una Sinistra sconfitta.

Per questo siamo molto preoccupati per i segnali che giungono da dentro ed intorno a Pap. Ci sembra che la legittima voglia di costruirne le fondamenta stia prevalendo sull’esigenza essenziale di discutere a valutare i singoli passaggi. Con l’intelligenza e la pazienza che merita un periodo così complesso della storia del nostro Paese. La fretta e le semplificazioni sono spesso fonte di guai nella vita di tutti i giorni, in politica sono esiziali. E vediamo con sgomento come protagonisti più o meno illustri di questo percorso spendono tante energie per stigmatizzare idee e percorsi diversi. Uno spreco di tempo e di forze che, forse, non possiamo permetterci e che, sicuramente, non porterà nessun frutto.

Ci vorrebbe un surplus di curiosità, rispetto ed umiltà. Se siamo nelle condizioni in cui siamo è forse perché nessuno di noi è riuscito a trovare il bandolo di una matassa così intricata che solo semplicisticamente si può pensare di sbrogliare in tempi rapidi e a colpi di anatemi.

Il fastidio per critiche ed il senso immanente di urgenza che permeano il percorso sembrano più frutto della debolezza e della scarsa capacità di confronto che un segnale di forza ed una speranza di rivincita.

L’idea che “facendo tanto” o “facendo vedere che facciamo tanto” si possa ricostruire fiducia e consenso è illusoria ed ingannevole. Non abbiamo bisogno di convincere qualcuno di quello che non siamo o che non siamo sufficientemente ma di costruire le condizioni affinché non siano necessarie narrazioni, perché i fatti parleranno da sé. Ci possiamo arrivare, se solo collaboriamo con pazienza sapendo di essere un tassello di un puzzle molto più grande di noi.

La deriva politica e culturale del Paese non si combatte con veti o dandoci pacche sulle spalle.

L’entusiasmo, ahinoi, non è una categoria politica.

Il Prc, mantenendo la sua sacrosanta autonomia, deve aprirsi al confronto e al dialogo con tutte e tutti coloro i quali siano disponibili a lavorare su un terreno unitario per la costruzione del “quarto polo”, anche in vista delle imminenti elezioni europee.

Ergo da una parte occorre cercare di valorizzare le energie e le esperienze che si sono aggregate in alcuni territori attorno al progetto di PaP, ma dall’altra dobbiamo evitare di cadere nell’errore di ritenerlo un orizzonte esaustivo.

Il rischio di cadere in una appagante logica di autoreferenzialità fine a se stessa è dietro l’angolo.

 

DIBATTITO / Ricomincio da tre

Pubblicato il 28 giu 2018 in dibattito

Luca Fontana

Care e compagne e cari compagni il mio contributo al dibattito è tutto teso a preservare (se possibile) l’unità del Partito, nell’ambito dell’avventura di PAP, andando nella direzione di non aumentare le già tante lacerazioni che via via stanno venendo alla luce, sia dai territori che personali.

In questo senso vorrei porre all’attenzione il tentativo (riuscito) che abbiamo messo in pratica nella Federazione di Roma del PRC. Nell’ambito del CPF svolto martedì 26 giugno ho proposto tre ordini del giorno che sono stati tutti e tre assunti (l’ultimo dei tre modificato perchè messo in positivo) e questo ha permesso di recuperare una sostanziale unità di quasi tutto il partito romano.

Vi riassumo il senso e vi do una breve traccia di ciò che ho presentato.

1) Rifondazione comunista è contro la trasformazione di Potere al Popolo in partito politico

Ciò non va solo detto negli interventi e nelle riunioni ma va anche scritto nei nostri documenti. Noi lo abbiamo fatto più o meno così: ” …  il PRC considera nocivi tutti quegli atti che prefigurando una strutturazione di Potere al Popolo in partito politico nè pregiudicano quello sviluppo ampio e plurale necessario alla costruzione del quarto polo (quello della sinistra d’alternativa).”

2) Rifondazione comunista stigmatizza tutte quelle prese di posizione pubbliche di fatto contro i suoi appartenenti o contro l’intero partito

Anche qui ciò non va solo detto negli interventi e nelle riunioni ma va anche scritto nei documenti e soprattutto tutti questi episodi non vanno nascosti e tenuti sotto il tappeto (alimentando così un processo che potrebbe divenire inarrestabile) ma vanno denunciati pubblicamente al fine di mettere un freno a questa brutta brutta deriva. Noi lo abbiamo fatto più o meno così: ” … il PRC stigmatizza tutte le prese di posizione pubbliche che in questi mesi hanno visto bersaglio esponenti del PRC o lo stesso PRC in quanto promotore nell’ambito della tornata amministrativa di liste di sinistra o proprie.”

3) Rifondazione comunista rivendica immediatamente una gestione collegiale e plurale di tutti gli strumenti comunicativi a disposizione di Potere al Popolo

Qui oltre a dirlo e a scriverlo va soprattutto conquistato il diritto elementare (che non dovrebbe neanche essere messo in discussione) di poter accedere tutti e sempre (nel senso dei soggetti politici aderenti a Potere al Popolo) a tutti gli strumenti utili alla attività politica di PAP. Come vi dicevo questo Odg è stato modificato mantenendone il senso ma mettendolo in positivo, per correttezza vi do traccia di quello che avevo proposto io:” … il PRC ritiene inaccettabile il permanere della preclusione verso il PRC all’accesso agli strumenti comunicativi di Potere al Popolo tanto per il livello cittadino che per quello nazionale (sia web che social media).”

Ecco allora il senso del mio intervento: anche i compagni più preoccupati e critici (come me) hanno ritrovato fiducia (nel Partito e nei suoi gruppi dirigenti) e slancio verso l’attività politica perché hanno toccato con mano il fatto di non essere più soli nel porre, in maniera concreta e con atti politici, queste questioni.

Allora una domanda: possiamo tutti ricominciare da qui?

DIBATTITO / La nostra casa si chiama Prc ma PaP è un importante punto di partenza

Pubblicato il 28 giu 2018 in dibattito

Maurizio Natale
Sento dire che questo governo va spedito, che è riuscito a far cambiare la politica europea sui migranti. Salvini più che il ministro degli interni si impegna quotidianamente a fare dichiarazioni che con il suo ruolo non hanno nulla a che fare.
Di Maio vorrebbe tenere un basso profilo e ci riesce benissimo perché fino ad oggi ha portato acqua al mulino leghista. E  Conte? Lui dovrebbe essere il presidente del consiglio, ma in pochi se ne sono accorti.
Intanto la situazione reale del paese viene totalmente ignorata da questi cialtroni professionisti, perché sono troppo impegnati a giocare a battaglia navale nel Mediterraneo per difendere i “sacri confini” da una improbabile invasione di stranieri, visto che i dati sugli sbarchi dicono esattamente il contrario.
E che questo cinico gioco sia fatto sulla pelle di poveri disperati sembra interessare poco anche a molti nostri connazionali che si sentono autorizzati a dire atrocità terribili.
Ovviamente è vietato parlare di legge Fornero, Jobs Act, salario minimo garantito, sanità pubblica, scuola, disoccupazione e chi vuole aggiungere qualcosa è libero di farlo.
Dopo i primi tragicomici giorni di questo vergognoso governo, mi sembra ovvio che le contraddizioni, in seno a questa improbabile alleanza, comincino a fare capolino ed è qui che la nostra proposta di una società alternativa, più giusta e sostanzialmente anticapitalista deve essere rilanciata con forza e convinzione nelle piazze tra chi lavora in condizioni difficili, o chi il lavoro non ce l’ha.
I dati diffusi sulla povertà nel nostro paese sono il risultato delle politiche liberiste targate PD e che questa coalizione potrà solo peggiorare.
Non possiamo più aspettare, dobbiamo, con tutta la forza delle nostre ragioni,  ricompattare quel blocco sociale che abbiamo abbandonato da troppo tempo.
Rifondazione Comunista, pur con tutti i suoi limiti e debolezze, sta lavorando per riconquistare la fiducia persa, a causa di evidenti errori nostri e di un contesto storico a noi non favorevole.
Il percorso di Potere al Popolo, nel quale ci troviamo impegnati insieme ad altre realtà deve essere per noi un punto di partenza e di crescita. Ovviamente non dimenticando che il Prc è e sarà sempre la nostra casa. Sono certo  che per PaP sia una vera fortuna avere al suo interno un partito ancora radicato sui territori e strutturato come Rifondazione.
Sono altrettanto convinto che PaP sia per il nostro partito un percorso inevitabile e positivo. Questa esperienza deve evitare di chiudersi in se stessa , anzi sarà necessario trovare compagni di viaggio nuovi. Il perimetro certamente deve avere dei confini entro i quali non è possibile pensare a realtà come LeU o chi ancora pensa che il centrosinistra abbia un futuro.
Quindi si vada avanti nel rispetto reciproco e con chiarezza. Abbiamo un’occasione da non sprecare, afferiamola ed avremo un paese migliore.

DIBATTITO / Il rischio di una discussione all’indietro

Pubblicato il 25 giu 2018 in dibattito

Franco Ferrari

Nando Mainardi 

Sono tanti i nodi e i temi che un partito come il nostro sarebbe chiamato ad affrontare. Pensiamo alla fase politica inedita in cui ci troviamo. Cinque Stelle e Lega incassano i risultati del disagio sociale prodotto da decenni di politiche liberiste, da una ridefinizione dei rapporti di forza tra le classi talmente potente da ridisegnare il “percepito” sociale e l’immaginario culturale. Invece abbiamo l’impressione che il centro del dibattito, del detto e del non-detto, sia Potere al Popolo sì/Potere al Popolo no e poco più.

Ovviamente rispettiamo ogni posizione, ma ci sembra che questo dibattito sia un indizio della nostra stessa crisi, più che il contributo alla ricerca di una via d’uscita. Premettiamo che non eravamo e non siamo sostenitori acritici del percorso di Pap. Ci sembrano evidenti alcuni limiti e ristrettezze di visione del gruppo dirigente che ha fino ad ora diretto tale percorso. Ci pare però un grave errore rispondere “dichiarando guerra”, con il rischio per di più che la “guerra” faccia danno solo dentro il nostro partito.

Pensiamo che la linea politica del Prc di questi mesi sia stata e sia sostanzialmente giusta. Abbiamo fatto bene ad aderire a Pap ai tempi del fallimento del Brancaccio. Ricordiamo che l’unica, reale, alternativa sarebbe stata aderire a Liberi e Uguali, ovvero unirci in posizione subalterna a una sommatoria di gruppi dirigenti segnata dal moderatismo.

Certo: ci si può sempre presentare come Prc. Ma anche qua, abbiamo passato questi anni a dire che Rifondazione è necessaria, ma non autosufficiente. Non ci ritorniamo. Come pure abbiamo fatto bene, anche dopo le elezioni, a continuare a investire in Pap, che – pur tra le difficoltà – ha messo in movimento qualche migliaio di compagne e compagni singoli o legati a lotte e movimenti sociali, praticando insieme adesione e autonomia.

A confermare che già ora la nostra linea politica non è né subalternità né cessione di sovranità ad altri, c’è stato il passaggio delle amministrative, in cui il Prc ha animato proposte di liste di alternativa agli altri poli – coerentemente con la posizione che abbiamo maturato in questi anni – scegliendo, in base alle caratteristiche del contesto locale, la forma politica più adeguata.

L’esito delle elezioni politiche ci ha detto che non è Potere al Popolo, oggi perlomeno, il contenitore in grado di rappresentare tutto il campo della sinistra di alternativa e la domanda di sinistra esistente nel nostro Paese. Su questo non c’è bisogno di particolari approfondimenti: è un dato di realtà. Il punto, però, è che se il nostro compito è quello di lavorare per una prospettiva unitaria nel campo della sinistra di alternativa, allora vale la pena continuare a lavorare dentro Potere al Popolo, contrastandone gli atteggiamenti autoreferenziali quando necessario, per costruire insieme questa prospettiva più larga.

Non è con atti di rottura – come abbiamo ripetuto tante volte in questi anni – che si aiuta o si rafforza l’unità. Né certo questa azione di divisione aumenterebbe la popolarità del nostro partito, che già viene rappresentato – ingiustamente e non solo all’interno delle discussioni di Pap – come un fattore dividente. Non si risponde al settarismo di alcuni contrapponendovi il nostro settarismo.

Al contempo è evidente che se domani la gabbia moderata di Leu implodesse, o se emergessero effettivamente nuove iniziative o nuovi protagonismi, il nostro compito sarebbe quello di creare un nesso tra le diverse soggettività e tali iniziative, provando a unire e ad ampliare il campo. Pensiamo che non sia utile rompere pregiudizialmente con coloro con i quali abbiamo condiviso una battaglia politica difficile, per rincorrere quelli che, al momento, stanno da un’altra parte e che ripetutamente, nel passato, hanno chiesto a Rifondazione di sciogliersi in percorsi all’insegna del moderatismo. Insomma: non diciamo che non si sia sbagliato nulla. Ma i limiti di cui dovremmo discutere sono, a nostro parere, altri. Non il rapporto tra noi e Pap.

 

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