DIBATTITO / Potere al popolo: a che punto siamo

Dino Greco

C’è una perfetta simmetria fra le posizioni di quanti, dentro il partito, vorrebbero sganciare Rifondazione da Potere al Popolo e quanti, apostoli indefessi della crociata contro tutto ciò che sa di partito, vorrebbero che il Prc si togliesse finalmente di mezzo.

Gli uni persuasi – taglio il tema con l’accetta – che lì dentro ci si abbandoni ad una deriva minoritaria ed estremista, testimonianza senza futuro, gli altri specularmente convinti che la contaminazione con Rifondazione risucchi il movimento dentro tradizionali pratiche istituzionali  ed alleanze politiche farlocche, in qualche modo contigue al centrosinistra.

Gli uni e gli altri combattono appassionatamente la stessa battaglia nell’intento condiviso di rompere ciò che si è faticosamente avviato e di raggiungere lo scopo voluto: ciascuno a casa propria, merli con i merli e passeri con i passeri.

Per quanto ci riguarda, fra gli argomenti in campo, troviamo altre cinquanta sfumature di grigio, ma la sostanza rimane la stessa: dovremmo revocare la netta scelta di campo, sociale e politica, che il Prc ha compiuto quando ha raggiunto la convinzione che nessuna delle forze politiche che il mainstream definisce generosamente di sinistra può essere definita tale, essendo strutturalmente approdata sulle sponde di una cultura liberale.

Naturalmente, i problemi che abbiamo di fronte sono tutt’altro che semplici. Fra questi, il riemergere del mai tramontato, vecchio vizio settario che impedisce, malgrado le solenni dichiarazioni in segno contrario, di favorire un processo inclusivo e aggregativo più ampio; la diffidenza verso chi viene da esperienze e sensibilità diverse; la difficoltà intellettuale a sporgersi oltre le Colonne d’Ercole del “mondo conosciuto”, la paura di essere cooptati dentro un pensiero altro da sé.

Abituarsi a lavorare insieme, a mettere a fattor comune tutto ciò che unisce, a delimitare, anziché esaltare, ciò che ancora divide, a favorire processi di “ibridazione”: questo è il faticoso lavoro da fare. Chi è padrone di se stesso ed è ancorato ad una solida struttura di pensiero non deve temere espropriazioni: il terreno dell’egemonia non è il recinto, ma il campo aperto.

Il punto cui siamo arrivati ci mette di fronte ad uno snodo decisivo: la forma (oggi più che mai sostanza) del movimento plurale che vogliamo costruire.

Provo a mettere (con qualche schematismo) le cose in fila:

non un partito, che è formazione complessa, che non si improvvisa, che è il risultato di un profondo e duraturo processo di sedimentazione teorica, di pratiche politiche e sociali. L’appartenenza a due partiti è impossibile, perché ogni partito è “ontologicamente” concorrenziale rispetto ad ogni altro e il Prc non ha alcuna intenzione di sciogliersi, non per un banale riflesso identitario (come quel gatto bolso che punta la preda senza sapere più perché), ma in quanto il tema della rifondazione comunista, sebbene ancora non svolto, è ancora lì di fronte a noi, in tutta la sua pregnanza.

Un movimento organizzato, dunque, e organizzato perché non deve restare nel limbo di un’aggregazione liquida, priva di regole che esaltino la partecipazione e modalità di vita democratiche interna del tutto nuove, fondate sulla sovranità delle assemblee territoriali e dell’assemblea nazionale: un’assemblea composta da delegati eletti dalle stesse assemblee territoriali, senza rendite di posizione, muniti di mandato imperativo, assoggettati al vincolo della rotazione e della revoca del mandato.

Di qui la decisione di formalizzare l’adesione a Potere al Popolo attraverso una piattaforma che fra pochi giorni diventerà operativa, consentendo di misurare in progress la consistenza del movimento e di sviluppare il massimo del coinvolgimento dei militanti nella costruzione del dibattito e della linea politica.

Tutti gli strumenti di comunicazione interna, dalla piattaforma alla mailing list alla pagina facebook dovranno essere gestiti collegialmente, in un clima nel quale il rispetto reciproco è una condizione preliminare.

In queste settimane, accanto a molti fatti positivi si sono verificati episodi che hanno negativamente contraddetto lo sforzo di costruzione in corso. Questi non hanno una responsabilità univoca, sono a geometria variabile, da realtà a realtà, e sono il riflesso della permanenza, talvolta esplicita talaltra dissimulata, di atteggiamenti che finiscono per negare la grande intuizione che è stata alla base dell’atto fondativo di Pap: socializzare la politica e politicizzare il sociale, attraverso un’aggregazione vasta capace di mettere radicalmente in discussione, finalmente senza ambiguità, fumisterie e giri di valzer, l’ordine delle cose esistente.

L’impresa è complicata ma abbiamo l’intelligenza necessaria per mandarla in porto: ne parlo da compagno di Rifondazione comunista e da delegato di Pap Brescia al coordinamento nazionale del movimento.

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