Vittoria con riserva per gli indipendentisti a Taiwan

di Herta Manenti –

Vittoria con riserva per gli Indipendentisti a Taiwan: Elezioni 2024 implicazioni interne e internazionali per la Repubblica di Cina

Le recenti elezioni presidenziali a Taiwan hanno definitivamente impresso una svolta nella storia dell’isola, poiché il Partito Progressista Democratico (DPP) ha trionfato per la terza volta consecutiva, consegnando la presidenza a William Lai Ching-te. Tuttavia, dietro a questo successo, si celano sfide e questioni cruciali che potrebbero influenzare l’intera regione.

William Lai ha conquistato la presidenza con il 40,05% delle preferenze, sconfiggendo i candidati del Kuomintang (KMT) e del Partito Popolare (TPP). Questa vittoria segna un punto di svolta nella politica taiwanese, in quanto il DPP ha mantenuto il controllo della presidenza per più di due mandati consecutivi, sfidando la precedente rotazione tra DPP e KMT.

Tuttavia, il successo del DPP è stato accompagnato da un calo significativo dei voti, passando da 8.170.231 a 5.586.019 rispetto alle elezioni presidenziali precedenti. Inoltre, il parlamento, composto da 113 seggi, ha visto una diminuzione di 10 seggi per il DPP, che ne avrà ora 51, mentre il KMT ha guadagnato 14 seggi arrivando a 52 e il TPP ha ottenuto 8 seggi, un aumento di 3 rispetto alle elezioni precedenti.

Il presidente eletto Lai dovrà formare un governo e affrontare un parlamento più frammentato, dovendo negoziare su questioni cruciali, dalla politica economica alle relazioni con la Cina. Le reazioni da Pechino e Washington sono state improntate alla prudenza, poiché Lai è considerato più “indipendentista” rispetto alla sua predecessora Tsai Ing-wen. La Cina ha ribadito il principio di “una sola Cina”, mentre il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha dichiarato il suo non sostegno all’indipendenza di Taiwan.

Parallelamente, il mondo degli affari taiwanese ha invitato il nuovo presidente a adottare una politica più pragmatica nei confronti della Cina, suggerendo una riflessione sulla riduzione della dipendenza economica dal gigante asiatico. Un aspetto da considerare è il recente calo del 40% degli investimenti taiwanesi nella Repubblica Popolare Cinese (RPC), indicativo di cambiamenti nelle dinamiche economiche tra le due nazioni.

Inoltre, è cruciale esaminare il contesto delle relazioni tra Cina e Taiwan. Nel 1992, a Hong Kong, è stato raggiunto il “Consensus del 1992”, un accordo tra Taipei e Pechino sull’esistenza di “un’unica Cina”, comprendente sia la Cina continentale che Taiwan. Tuttavia, l’interpretazione di questo consenso è soggetta a differenze significative. Mentre Pechino vede questo accordo come una via per il ricongiungimento pacifico entro il 2050, la presidente uscente Tsai Ing-wen ha rifiutato questa interpretazione.

La questione della “One China Policy” è al centro di molte controversie, dal momento che gran parte del mondo riconosce la RPC come l’unico governo legittimo della Cina. La Repubblica di Cina, nota come Taiwan e conosciuta anche come Formosa, intrattiene relazioni diplomatiche ufficiali con solo 11 Stati, includendo la Santa Sede. La maggior parte del mondo riconosce invece la Repubblica Popolare Cinese (RPC) come l’unico governo legittimo della Cina e non ospita di conseguenza alcuna rappresentanza diplomatica ufficiale della Repubblica di Cina.

Nel 1992, in un incontro storico a Hong Kong, Taipei e Pechino hanno concordato l’esistenza di “un’unica Cina,” che includesse sia la parte continentale che l’isola, senza risolvere il dilemma della sovranità. Il cosiddetto Consenso del 1992 è la base delle relazioni bilaterali tra la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica di Cina, ma la sua interpretazione è complessa e non univoca.

Per Pechino, il Consenso implica il ricongiungimento con Taiwan entro il 2050, sotto la sovranità della RPC, preferibilmente in modo pacifico. Durante la presidenza di Xi Jinping, le crescenti tensioni nel mare della Cina del sud hanno spinto la Cina ad intensificare a sua volta le pressioni militari, economiche e politiche su Taiwan.

La ormai ex presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, del DPP, eletta nel 2016, ha infatti  rifiutato l’accordo del 1992. Nonostante le divergenze sulle relazioni con Pechino, i due principali partiti taiwanesi concordano comunque su una visione a lungo termine che vede Taipei alla guida dell’ “unica Cina”. Nel breve termine, sotto tutela Statunitense, Taiwan vuole rimanere separata dalla RPC ed evitare “l’occupazione” cinese,.

Washington riveste un ruolo di primaria importanza nelle complesse relazioni tra Taiwan e la Cina. Dopo il consolidamento delle relazioni con la Repubblica Popolare Cinese, gli Stati Uniti hanno ufficialmente interrotto i legami diplomatici con Taiwan. Tuttavia, l’introduzione del Taiwan Relations Act nel 1979 ha gettato le basi per un sostegno ambiguo degli Stati Uniti a Taiwan, diventando una leva strategica che può essere abilmente maneggiata in determinati contesti, come quello attuale.

Il Taiwan Relations Act ha creato un delicato equilibrio: da un lato, gli Stati Uniti riconoscono l’importanza di Taiwan nel contenere le ambizioni di Pechino, sostenendo indirettamente la sua autonomia; dall’altro, c’è da tener conto della flessibilità della politica statunitense. In periodi elettorali come quello attuale, gli Stati Uniti possono distanziarsi dalle istanze indipendentiste che hanno essi stessi contribuito a promuovere, al fine di evitare tensioni con la Cina continentale che potrebbero influire sui risultati elettorali.

Questa ambiguità consente a Washington di adattare la propria posizione in base alle esigenze contingenti, sfruttando la questione taiwanese come una tessera strategica nei suoi rapporti complessi con la Cina. La politica degli Stati Uniti verso Taiwan rappresenta, dunque, un intricato equilibrio tra la necessità di preservare la stabilità nella regione e l’adattamento alle mutevoli dinamiche politiche interne all’isola.

L’appoggio statunitense rappresenta il principale deterrente contro un’eventuale iniziativa della RPC nel ricongiungimento con l’isola “ ribelle” di  Taiwan.  La superiorità delle forze statunitensi ha finora scoraggiato Pechino dall’adottare una soluzione militare. Tuttavia, l’ipotesi di un’azione militare non è esclusa se Taiwan dichiarasse l’indipendenza, mentre la supremazia Statunitense nei mari della Cina del sud è messa ormai in dubbio dagli stessi strateghi degli Stati uniti. Dobbiamo quindi concludere che anche il nuovo Presidente dell’isola , consapevole di questa possibilità, potrebbe limitarsi a preservare lo status quo, senza cedere alle pressioni cinesi, ma senza avventarsi in dichiarazioni di indipendenza.

L’esito delle elezioni a Taiwan potrebbe avere significative ripercussioni sulle dinamiche delle problematiche legate al Mar Cinese Meridionale.

La vittoria del Partito Progressista Democratico (DPP) e del presidente eletto William Lai Ching-te potrebbe influenzare le relazioni di Taiwan con la Cina e, di conseguenza, avere un impatto sulla stabilità nella regione.

La posizione di Lai, considerato più “indipendentista” rispetto alla sua predecessora Tsai Ing-wen, potrebbe portare a un rafforzamento delle politiche che mirano a consolidare la presenza di Taiwan come entità politica separata dalla Cina. Questo potrebbe accendere tensioni con Pechino, che ha rivendicato la sovranità su Taiwan e ha rafforzato la sua presenza nel Mar Cinese Meridionale, alimentando dispute territoriali con altri Paesi della regione.

Le reazioni della Cina e degli Stati Uniti a questa elezione sono cruciali, poiché entrambe le potenze hanno interessi strategici nel Mar Cinese Meridionale. Se Pechino interpreta la vittoria di Lai come un segno di avvicinamento a posizioni più indipendenti, potrebbe intensificare la sua presenza militare e le attività nello stretto di Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale.

Gli Stati Uniti, tradizionalmente alleati di Taiwan, possono essere chiamati a rafforzare il loro impegno nella regione in risposta alle crescenti tensioni. La politica degli Stati Uniti nei confronti del Mar Cinese Meridionale è stata storicamente volta a sostenere la libertà di navigazione e a contrastare le pretese territoriali aggressive della Cina.

La situazione potrebbe portare a una maggiore complessità e incertezza nelle relazioni tra Cina, Taiwan e Stati Uniti, con possibili conseguenze sulla stabilità regionale. La diplomazia e la gestione delle tensioni diventano, quindi, elementi chiave per evitare conflitti e per cercare soluzioni pacifiche alle controversie marittime nel Mar Cinese Meridionale.

In questo contesto, la comunità internazionale sarà chiamata a seguirne attentamente gli sviluppi, cercando di favorire il dialogo e la diplomazia per risolvere le dispute e preservare la pace nella regione. La complessità delle dinamiche geopolitiche richiederà un approccio bilanciato e la ricerca di soluzioni che tengano conto degli interessi di tutte le parti coinvolte.