Il 16 gennaio 2022 ricorrono i 30 anni dagli accordi di pace tra il governo e la guerriglia del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, ma il presidente del paese, Nayib Bukele, li ha sempre disconosciuti e, compiendo un’operazione all’insegna del peggior revisionismo storico, li ha ridotti ad un patto tra corrotti, Arena e Fmln, mettendo sullo stesso piano vittime e carnefici.
di David Lifodi
Foto: https://www.elindependiente.sv/
Domani, 16 gennaio 2022, si celebrerà il trentennale degli accordi di pace tra il governo di El Salvador e la guerriglia del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Fmln), che misero fine a 12 anni di guerra civile.
Conosciuti più familiarmente come los Acuerdos de Paz de Chapultepec, i negoziati si tennero infatti a Città del Messico (nel palazzo di Chapultepec) e intendevano dar vita ad un processo democratico che garantisse il rispetto dei diritti umani e la riconciliazione tra i salvadoregni. Oggi, al contrario, gli accordi di pace sono oggetto di una vera e propria campagna all’insegna del revisionismo storico condotta dal presidente di El Salvador Nayib Bukele fin dal primo giorno del suo insediamento, avvenuto nel 2019.
In un’intervista rilasciata al quotidiano il manifesto il 15 dicembre 2021, “Bukele come un carro armato. Ma un margine di lotta c’è”, Nidia Diaz, ex comandante guerrigliera e firmataria degli accordi di pace, aveva dichiarato con amarezza a Claudia Fanti: «Il governo Bukele disconosce questi accordi, ritenendoli un patto tra i corrotti di sempre, il partito di destra Arena (Alianza Republicana Nacionalista) e il Fmln, e definendo tutta la lotta prima e durante la guerra civile come una farsa, con buona pace dei martiri, delle vittime e di tutti coloro che si sono spesi per la conquista della democrazia».
Gli accordi di pace, ricorda la funzionaria Onu per El Salvador e Belize, Birgit Gerstenberg, miravano a ripristinare la giustizia sociale, reintegrare gli ex guerriglieri nella società civile, favorire il disarmo, cacciare i torturatori dalla polizia, ridefinire il concetto di forza pubblica” (per 12 anni al servizio dell’estrema destra arenera).
Eppure Bukele sta cercando in tutti i modi di riscrivere la storia di un periodo che peraltro non ha nemmeno vissuto in prima persona, essendo nato nel 1981. Il 18 dicembre 2020, in occasione della commemorazione del massacro di El Mozote (12 dicembre 1981, allora il presidente millenial aveva 5 mesi), quando l’esercito salvadoregno uccise un centinaio di contadini (tra cui molte bambine e bambini), di fronte agli esterrefatti familiari delle vittime rilasciò questa dichiarazione da far rabbrividire: todo fue una farsa.
Bukele ha proseguito nel suo processo di revisionismo storico strumentalizzando i dati dell’Informe de la Comisión de la Verdad para El Salvador, che aveva ricordato come nel periodo 1980-1992 fossero rimaste uccise circa 75.000 persone, principalmente ad opera di paramilitari, squadroni delle morte e corpi di sicurezza di esercito e polizia: “Terminò la guerra e iniziò la delinquenza”, disse in un intervento televisivo paragonando questi dati con gli oltre centomila omicidi avvenuti nel paese tra il 1994 e il 2018, come se non fosse noto che il più piccolo paese dell’America centrale ha sempre visto prosperare le maras e il narcotraffico. Di fronte al dilagare della violenza, lo stesso Bukele ha fatto ben poco. Anzi.
A ricordarlo è ancora la stessa Nidia Diaz: «Le bande criminali vengono tollerate e lasciate operare. Il governo non le controlla, ha solo stretto un patto con loro. La criminalità continua a crescere, il governo l’affronta militarizzando la società, in violazione degli accordi di pace. E aumentando il numero dei soldati da 20 a 40mila».
Se gli Accordi di pace non hanno raggiunto il risultato atteso e la violenza ha continuato a dilagare è stato principalmente per colpa dei governi areneros che hanno continuato a spadroneggiare a seguito degli accordi di pace, dal presidente Armando Calderón Sol (1994-1999) a Francisco Flores Pérez (1999-2004), fino ad Antonio Saca (2004-2009), prima dei due esecutivi efemelistas consecutivi con Mauricio Funes e l’ex guerrigliero Salvador Sánchez Cerén.
Firmati dall’allora presidente Cristiani, gli accordi di pace furono definiti da Schafik Handal, leader storico del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, come lo strumento che avrebbe condotto il paese verso la pacificazione sociale, ma la cosiddetta conflictividad social permanente in realtà non è mai terminata.
All’ennesima strumentalizzazione di Bukele, stanchi dei continui insulti ricevuti, il Comité de Víctimas de las Violaciones de los Derechos Humanos (Codefam), la Mesa Contra la Impunidad e il Grupo Gestor y Pro Memoria Histórica hanno stigmatizzato l’intenzione di Bukele di far cadere nel dimenticatoio gli accordi di pace, ricordandogli l’inadempienza dello Stato nel risarcimento delle vittime dal punto di vista giuridico, morale e psicologico.
Gli accordi di Chapultepec cercarono di gettare le basi per una società più aperta e democratica e imposero alle forze armate il diritto di intervento solo in chiave di difesa e non per agire in funzione della sicurezza interna: proprio per questo Bukele vuol dare un colpo di spugna ai negoziati di pace. Del resto fu proprio lui, il 9 febbraio 2020, ad imporre dentro l’Assemblea Legislativa Salvadoregna un dispiegamento senza precedenti di militari ed agenti della Policia Nacional Civil, ancora una volta piegata agli interessi del caudillo di turno.
Lo scorso anno, in occasione del ventinovesimo anniversario degli accordi di pace, di fronte al monumento a la Memoria y la Verdad, la società civile ha ricordato che ”La sangre de las víctimas no es una farsa”.
Fonte: https://www.labottegadelbarbieri.org/el-salvador-il-sangue-delle-vittime-non-e-una-farsa/