Ecuador al ballottaggio

di Jorge Ceriani * e Marco Consolo * –

In Ecuador il prossimo 11 aprile ci sarà il ballottaggio per eleggere il prossimo Presidente, mentre il governo ha dichiarato lo “stato d’eccezione”, ufficialmente per la pandemia. Come si ricorderà, il primo turno aveva visto prevalere il binomio “correista” della “Uniòn por la Esperanza” (UNES), formato da Andrés Arauz e Pablo Rabascall, con il 32,7% dei voti. Al secondo posto, con il 19,7%, si era piazzato il candidato della destra, il banchiere Guillermo Lasso, con la lista CREO (“Creando Oportunidades”) e l’appoggio del Partito Social Cristiano.

Fino ad oggi, i sondaggi danno in vantaggio i rappresentanti della UNES, ma gli indecisi sono ancora circa il 20% e possono fare la differenza.

Si scontrano, quindi, due candidati che sono come acqua e olio. Da una parte un giovane economista di sinistra, che raccoglie il testimone di Rafael Correa. Dall’altra, il più grande banchiere del Paese, esponente di spicco del neoliberismo, nonchè uno dei principali responsabili della politica che alla fine degli anni ‘90 condusse il Paese al default economico, con gravissime conseguenze sociali: oltre tre milioni di persone costrette ad emigrare alla ricerca di un futuro migliore.

Al primo turno, anche altre liste avevano raccolto aspettative e aspirazioni progressiste. Una di queste è quella di Pachakutik, con il candidato Yaku Perez, che per pochi voti ha perso il secondo posto e che raccoglie forze nel mondo “indigeno” e ambientalista, nata all’interno della CONAIE, organizzazione centrale che raggruppa i popoli originari.

C’è stata inoltre la sorpresa del candidato della “Sinistra Democratica”, Xavier Hervaz, quarto classificato, un buon comunicatore che ha raccolto un ampio consenso giovanile. A seguire altre liste minori, ambientaliste e femministe. In altre parole, circa il 60% dell’elettorato si è pronunciato contro la candidatura di Lasso, ma ciò non vuol dire che i voti andranno automaticamente a Arauz.

Al ballottaggio del prossimo 11 aprile, sia Yaku Perez che Xavier Hervaz hanno dato indicazione di voto “nullo”. E al ballottaggio del 2017, Perez aveva dato indicazioni di voto per Lasso, contro Moreno, allora candidato della “Revoluciòn Ciudadana”.

Ma la loro base politica ed elettorale, non rimarrà a guardare. E tra le organizzazioni dei popoli originari, alcuni importanti dirigenti si sono pronunciati a favore del voto a Arauz, evidenziando la non uniformità di quel mondo. Piaccia o meno alla visione eurocentrica del “buon selvaggio”  tanto cara ad alcuni, anche in Italia.

Un passo indietro

Ma facciamo un passo indietro. Con la vittoria di Rafael Correa nel 2007, l’Ecuador aveva preso un cammino di una politica economica virtuosa e di inclusione sociale. La “Revoluciòn Ciudadana” riscriveva la Carta Magna attraverso una Assemblea Costituente, iniziava a recuperare il ruolo centrale dello Stato, rinegoziava il debito estero, chiudeva la base navale statunitense di Manta, si appoggiava su di una alleanza latinoamericana antimperialista e solidale. Erano gli anni dell’Alleanza Bolivariana per le Americhe (Alba) a cui partecipava l’Ecuador, dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) con sede a Quito, del Banco del Sur, etc. In quegli anni si era creato un fronte di Paesi latino-americani che aveva saputo contrastare efficacemente la prepotenza e la pretesa statunitense di imporre l’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), un mercato subalterno a Washington, dal Canada fino alla “Terra del fuoco”.

Dopo 10 anni di governo, nel 2017, il “Movimento Paìs”, organizzazione politica del “correismo”, tornava a vincere la sfida elettorale con Lenin Moreno, candidato proposto dallo stesso Correa ed eletto presidente. Ma lungi dal garantire la continuità nelle politiche di governo, Moreno abbandonava presto il cammino progressista per prendere la via del neoliberismo e della sottomissione al Fondo Monetario Internazionale (FMI). Sono stati anni duri per la popolazione, fino a che nell’ottobre del 2019, la grande mobilitazione “indigena” e popolare era stata repressa duramente dal governo, con un saldo di 11 morti, decine di feriti, arresti di dirigenti sociali e politici.

La situazione si è ulteriormente aggravata con l’avvento della pandemia, che ha causato una situazione drammatica (in particolare a Guayaquil) come conseguenza diretta dei tagli alla sanità e della gestione clientelare degli ospedali. E nell’ultimo mese si sono succeduti ben 3 ministri della sanità con scarsi risultati sul versante della salute pubblica.

La guerra giudiziaria contro la sinistra

La svolta a destra di Moreno ha avuto come base ideologica una narrazione anti-corruzione “giustizialista” (senza prove) ed una “caccia alle streghe” contro Correa (che si è dovuto rifugiare in Belgio) e contro il “correismo”, ovvero contro i suoi collaboratori. A cominciare dal vicepresidente Jorge Glass, eletto con lo stesso Moreno e attualmente in prigione, mentre molti dirigenti sono dovuti andare in esilio per evitare il carcere.

Con il leader della “Revoluciòn Ciudadana”, l’impianto accusatorio è stato tra i più beceri, ma non troppo creativo. Hanno usato il copione già recitato contro Cristina Fernandez in Argentina: un fedele funzionario scrive su un quaderno tutti i particolari delle malefatte realizzate, dove e con chi avvengono gli incontri, le somme della corruzione, l’oggetto della stessa. Peccato che il tutto è stato scritto su un quaderno fabbricato dopo le date riportate al suo interno. In compenso,   è arrivata la sentenza del processo-farsa in tempo record: due settimane e mezzo. Con un contenuto che viola ogni precedente giuridico: a Correa non solo è stata impedita la candidatura, ma è stato vietato utilizzare il suo volto, niente audio, niente video, etc.

Il lawfare, come si conosce l’uso mirato e strumentale della giustizia a beneficio della oligarchia e della politica neoliberista (sostenuta dai grandi media e dalla Casabianca), è stato ampliamente usato e abusato in tutto il continente. Non fa eccezione l’Ecuador, dove Arauz  è ancora sottoposto a uno stillicidio quotidiano di attacchi sfacciati, vuoi per rispondere all’accusa di ricevere finanziamenti dalla formazione guerrigliera colombiana ELN, vuoi per rispondere del proprio passato di funzionario pubblico.

Ma poco a poco, insieme alle vittorie elettorali delle forze di trasformazione, cadono le accuse montate contro i presidenti progressisti e di sinistra. Sta succedendo con Evo Morales, con Cristina Fernandez e Lula, i cui diritti vengono ristabiliti, mentre i giudici sono ora chiamati a rispondere delle loro arbitrarietà e dei loro abusi.

Correggere gli errori

La persecuzione e la repressione messe in atto dal governo di Lenin Moreno hanno indebolito il movimento della “Revoluciòn Ciudadana”, che già scontava alcune debolezze e difficoltà proprie.  A partire dalla mancanza di un partito strutturato nei territori, passando per la scarsa organizzazione popolare (sia sul territorio, che nel mondo del  lavoro).

Negli ultimi anni del governo Correa, la caduta dei prezzi delle materie prime sul mercato mondiale, insieme ad alcuni errori politici, avevano pesato negativamente, generando sfiducia, incomprensioni e l’allontanamento di attivisti e militanti delusi. E molti di questi non hanno appoggiato Arauz al primo turno.

Fortunatamente, all’interno del “correismo” (e non solo), da tempo si è aperta una riflessione a tutto campo e lo stesso Arauz batte sulla necessità di “correggere gli errori”.

Innanzitutto sui rapporti tra governo e società. In particolare, sulla dinamica di un cambiamento venuto dall’alto, con scarso coinvolgimento delle organizzazioni sociali esistenti. Alcune liste minori raccoglievano gruppi e attivisti passati dal correismo, che hanno contribuito alle fasi iniziali e che poi se ne sono allontanati. Per esempio, settori ambientalisti che non hanno digerito la marcia indietro rispetto alla sfida internazionale lanciata dal governo Correa con la proposta di chiusura del giacimento di Yasuni. O che non hanno visto di buon occhio la concessione di nuove licenze alla industria mineraria. Anche nel movimento femminista,  la chiusura alla discussione sull’aborto rimane una ferita aperta, un problema grave che costringe le donne a rivolgersi ancora a mammane e “curanderos”.

Certamente, uno degli errori del passato è stata la mancanza di un confronto fluido con i popoli originari con cui, viceversa, è necessario un dialogo permanente. Non c’è dubbio che siano stati tra i protagonisti della ribellione dell’ ottobre 2019. Una ribellione che ha saputo coinvolgere i diversi settori “indigeni” e urbani contro il tentativo di Moreno di applicare le solite ricette del Fondo Monetario Internazionale, con l’aumento nei prezzi dei combustibili e dei principali servizi, oltre alla riduzione di salari e pensioni. Grazie alle grandi mobilitazioni del 2019, dopo una iniziale repressione, il governo di Moreno è stato costretto a rinviare alcune delle misure più impopolari.

Il futuro governo riceverà una pessima situazione sociale ed economica. Non a caso, il consenso dell’attuale presidente Moreno è al minimo storico e la sua candidata presidenziale ha ottenuto meno del 2% dei suffragi. Lo stesso Moreno è stato espulso dal “Movimiento Pais”, il partito che aveva sottratto a Correa. E nelle settimane che mancano al 24 maggio, data dell’assunzione del prossimo Presidente, il governo Moreno minaccia di peggiorare la situazione, anche con nuove privatizzazioni.  Mentre è in attesa di poter svendere raffinerie del greggio, centrali elettriche e telecomunicazioni, il bottino più ghiotto è la Banca Centrale, su cui si concentrano gli attacchi principali. Va da sé che il nuovo governo di Arauz non può fare a meno di una banca centrale pubblica, senza la quale sarebbe impossibile progettare un futuro diverso per il Paese. Lungi dal favorire l’uscita di capitali verso i paradisi fiscali, c’è bisogno di recuperare risorse dall’estero e di far pagare le tasse ai ricchi.

Più in generale, rimangono aperte le sfide inerenti alla trasformazione sociale ed economica. Esiste la possibilità di un soggetto politico in grado di rappresentare tutti i movimenti sociali e i settori che si battono per uscire della dipendenza dal petrolio ? Si può mettere da parte l’industria estrattiva delle risorse naturali ? C’è spazio per una politica che valorizzi la produzione agricola attraverso una radicale riforma agraria ? Che riconverta l’industria per aggiungere valore all’utilizzo delle risorse ? Se lo Stato è al centro della organizzazione dell’economia, qual’è il ruolo della partecipazione dei sindacati e delle organizzazioni comunitarie e del controllo popolare dal basso ?

Il quadro regionale

Il contesto latinoamericano è favorevole alla vittoria di Arauz ed una vittoria della sinistra in Ecuador rafforzerebbe il lento cambiamento in atto nella regione.

Dopo le vittorie elettorali in Venezuela e Bolivia, la crisi aperta nel blocco reazionario del Gruppo di Lima (con l’abbandono dell’Argentina), il processo costituente in Cile e la contestatissima politica di Bolsonaro in Brasile, la destra latinoamericana e gli Stati Uniti cercano nuove strategie. Il contrasto alla pandemia nel continente americano ne è una cartina al tornasole. Come ai tempi di Trump, gli Stati Uniti di Biden pensano a sé stessi e bloccano le esportazioni dei vaccini “made in USA”.  Nel frattempo “sconsigliano” a Bolsonaro l’utilizzo dello Sputnik (il vaccino russo già applicato con successo  in oltre cinquanta Paesi), facendo balzare il Brasile ai primi posti al mondo per numero di contagi e di morti. Al tempo stesso sono Cuba, Venezuela e Nicaragua, penalizzati dalle “sanzioni” dei Paesi occidentali, che possono vantare i risultati più efficaci.

A ciò si aggiunge l’esperienza internazionale acquisita da Cuba e il progresso scientifico raggiunto, che convertono l’isola socialista in una avanguardia nella ricerca della cura e dei vaccini per il Covid 19. Sicuramente una piattaforma più ampia di Paesi progressisti in America latina, la ripresa dell’Alba e Unasur, l’idea lanciata dal Venezuela di una “Banca” dei vaccini e farmaci per il Covid, aprono una prospettiva per superare la pandemia nel sud del continente.

La vittoria della sinistra in Ecuador è quindi decisiva per promuovere forme più avanzate di integrazione regionale, di pianificazione ed inclusione sociale,  di protagonismo popolare. Da subito è necessario un programma di emergenza per combattere la pandemia che ha provocato tanto dolore e fatto tanti danni nel Paese. Una pandemia che, tra l’altro, sta bloccando la mobilitazione sociale e la partecipazione popolare (proprio quando questa è più necessaria) in un ampio dibattito nazionale su come superare le conseguenze sociali ed economiche della pandemia. Questa è la sfida che ha davanti a sé Arauz e la sinistra ecuadoriana in caso di vittoria.

Lo sanno bene le compagne ed i compagni della “Revoluciòn Ciudadana” che vivono in Italia e con cui collaboriamo da tempo. Invitata dalle autorità elettorali dell’Ecuador, Rifondazione Comunista ha partecipato come osservatore elettorale al primo turno, insieme ad una delegazione del Partito della Sinistra Europea. Nel ballottaggio, ancora una volta, siamo a fianco della “Revoluciòn Ciudadana”.

 

*Resp. Commissione Esteri Federazione PRC-SE di Roma

*Resp. Area Esteri e Pace PRC-SE