Brasile ed il terzo governo Bolsonaro

Alessandro Vigilante –

 

A causa della sua attuazione disastrosa sotto tutti gli aspetti, Bolsonaro perde appoggi ed alleati in ogni campo. É così costretto a rifugiarsi in un angolo, concedendo enorme spazio politico alle forze di centro e centrodestra che in Parlamento gli possano garantire la maggioranza necessaria per evitare l’impeachment, ma che agiscono costantemente in termini di interessi clientelari, di poltrone e di accesso diretto alle risorse pubbliche e alle casse dello Stato.

Dopo la vittoria nelle elezioni del 2018, Bolsonaro aveva formato un primo governo  in cui erano prevalenti i suoi più stretti alleati ideologici di destra (anche estrema), i politici provenienti dai partiti legati alle chiese evangelicali e i militari, spesso ripescati dalle seconde linee e non di primo rango.  Già a maggio del 2020, Bolsonaro aveva dovuto effettuare dei cambiamenti incisivi, aprendo a vari incarichi per esponenti dei partiti di centro e centrodestra, ma era riuscito a mantenere un assetto politico che gli permetteva di condurre il processo decisionale.

Con i cambiamenti realizzati qualche giorno fa, è evidente che siamo entrati in una nuova fase politica: un governo Bolsonaro 3.0, in cui il presidente è stato costretto a concedere molto più potere ai partiti di centro e a consegnarsi mani e piedi a soggetti politici scaltri e intrallazzatori con lunga esperienza parlamentare e istituzionale.

Sono stati cambiati i responsabili di sei ministeri e già si vocifera che in breve avremo altre tre sostituzioni in altri importanti ministeri.

Alla Giustizia, ne fa le spese André Mendonça, un pastore evangelico bolsonarista nemico dei centristi. Ma Bolsonaro sceglie di tutelare se stesso e la sua famiglia collocando al suo posto un poliziotto, il commissario Anderson Torres, amico personale di suo figlio Flavio sospettato di coinvolgimento nell’assassinio di Marielle Franco, consigliera comunale di Rio de Janeiro.

Questo mentre la Corte Suprema scalcita sempre più, pronta a sbarazzarsi di Bolsonaro, ma divisa tra alcuni giudici disposti a disfarsene al più presto a tutti i costi e altri che preferiscono una terza via moderata, che non favorisca il fatale ritorno in auge di Lula.

Le dimissioni che tutti si aspettavano erano quelle del Ministro degli Esteri Ernesto Araújo: un fanatico bolsonarista, fascista, suprematista, anti-cinese, divulgatore di varie fake news, dell’ala chiaramente ideologica di estrema destra, che aveva creato vari problemi ed imbarazzi, principalmente ai settori economici primari, visto che la Cina – il suo bersaglio ideologico costante – è il maggior partner commerciale del Brasile. Al suo posto viene scelto Carlos Alberto França, un diplomatico di secondo piano, ben visto dagli alleati di centro, discreto e poco appariscente.

Il minuetto più articolato si verifica tra la Casa Civil (l’equivalente del nostro ministero degli interni, ma con responsabilità più ampie) ed il Ministero della Difesa.  Il generale Braga Netto (conosciuto come “il conciliatore” per essere colui che tra i militari di alto rango è il più allineato con Bolsonaro)  lascia il suo posto alla Casa Civil ad un altro generale, Luiz Eduardo Ramos, a sua volta avversario dei militari più ideologici ed alleato dei partiti centristi. Ma nello stesso tempo, Braga Netto va al Ministero della Difesa a sostituire il generale Fernando Azevedo, che si era dovuto dimettere proprio perché i comandanti dei tre rami più importanti delle Forze Armate – Marina, Esercito ed Aeronautica – avevano espresso profonda indignazione per la condotta disastrosa di Bolsonaro e non erano affatto disponibili a seguirlo nelle sue fallimentari avventure autoritarie.

Fin dalla elezione di Bolsonaro i militari si sono articolati fondamentalmente in tre fazioni. La prima è quella degli “ideologici” che appoggiano il presidente sulla base delle sue posizioni politiche reazionarie e che hanno come riferimento il generale Heleno.

La seconda è fatta dai “pragmatici”, composto soprattutto dai militari di alto rango e di lungo corso, che hanno a cuore la loro storia ed il loro ruolo istituzionale, tentano di far dimenticare il loro passato golpista ed hanno la consapevolezza che il legame con Bolsonaro è veleno per l’immagine delle Forze Armate.

Infine, il vasto gruppo dei militari, spesso non di primo piano e di alto rango, che sono stati cooptati recentemente all’interno del governo in incarichi ministeriali o di gestione di imprese pubbliche. Si  conta che siano più di seimila coloro che hanno assaggiato il frutto proibito, l’ingerenza nel settore civile, e che pretendono di legittimarsi sempre più in quei ruoli i quali, dai tempi della dittatura dello scorso secolo, erano a loro inaccessibili.

Probabilmente, gli unici due fattori che accomunano tutte le tendenze interne alle Forze Armate sono la resistenza dei militari contro Lula e la simpatia per il giudice Sergio Moro che aveva condannato non imparzialmente Lula ed i suoi colleghi giudici giustizialisti dell’operazione “Lava Jato”.

Con i cambiamenti nelle Forze Armate, Bolsonaro aspirava a comporre uno Stato maggiore che convalidasse le sue intenzioni di stretta autoritaria per riemergere dalla palude dei fallimenti nei settori della pandemia e dell’economia. Uno degli obiettivi era il comandante dell’esercito, il generale Edson Pujol, che ha sempre ostacolato tali tentativi di Bolsonaro, assumendo una posizione saldamente legalista. Dal risultato dei cambiamenti in atto, è chiaro che Bolsonaro non è riuscito ad ampliare l’ambito del personale militare oltre la sua ristretta cerchia di ufficiali di riserva, si tratta solo di una riorganizzazione delle sedie. Inoltre, troverà difficoltà nel nominare altri ministri militari a lui sottomessi, poiché esistono regole tacite per la promozione nelle Forze Armate basate sull’anzianità, che non possono essere facilmente scavalcate.

Infatti, per sostituire i tre comandanti delle FF.AA. dimissionari, due dei tre nuovi capi delle forze armate – la Marina (all’ammiraglio Almir Garnier Santos) e l’Aeronautica (al tenente brigadiere Carlos de Almeida Baptista Júnior) – sono stati scelti in base al criterio tradizionale dell’anzianità militare. Si tratta dei cosiddetti generali a “quattro stelle”, con più tempo al vertice della loro carriera.

Nel caso specifico dell’Esercito, il generale Paulo Sérgio Nogueira era il terzo più anziano per criterio di anzianità. In caserma, la definizione di un nome più giovane, o “moderno”, come lo chiamano i militari, è spesso vista come una grave violazione della tradizione militare. Ma è interessante notare che in un’intervista di domenica scorsa (28/03), proprio Nogueira aveva difeso l’uso di mascherine, lo smart working e l’isolamento sociale come misure preventive contro il Covid-19, in chiaro conflitto con ciò che pensa il presidente Jair Bolsonaro. Quindi, anche se il soggetto ha sostituito il generale Edson Pujol, il più critico nei confronti di Bolsonaro, si tratta lo stesso di una figura non allineata con le posizioni negazioniste del presidente rispetto alla pandemia.

Adempiendo, anche parzialmente, al criterio di anzianità, Bolsonaro cerca di pacificare l’umore delle Forze Armate. Ma se il rispetto dell’anzianità aiuta il presidente a superare il disagio provocato negli ultimi giorni, non è previsto tra i militari che i nuovi comandanti gli garantiranno l’allineamento politico. Il nuovo Ministro della Difesa, il generale Braga Netto, è entrato in carica rivendicando per l’ennesima volta il colpo di Stato del 31 marzo 1964 che durò 21 anni (secondo la Commissione della Verità causò circa 8000 morti e almeno 494 desaparecidos); ma si ritrova logorato rispetto ai colleghi in divisa per aver ceduto a Bolsonaro, che a sua volta non sembra aver ottenuto il supporto critico dalle FF.AA. per avventure più impegnative.

Bolsonaro aveva paventato tre livelli di iniziativa che avrebbe potuto intraprendere per assumere un comando più diretto ed autoritario delle decisioni politiche. Il più duro sarebbe stato la promulgazione dello Stato d’Assedio, in subordine avrebbe potuto optare per lo Stato di Difesa. Questi due strumenti istituzionali sono presenti nella Costituzione nei casi in cui il Paese si trovasse di fronte a situazioni di emergenza eccezionale e devono essere comunque approvati con maggioranza assoluta dal Parlamento. Per evitare polemiche con la Corte Suprema e le fazioni militari non disposte ad avallare tali scenari, Bolsonaro aveva studiato la presentazione di una nuova legge di Mobilitazione Nazionale, sempre comunque da approvare in Parlamento a maggioranza assoluta, che avrebbe aumentato i suoi poteri decisionali come nei casi previsti per eventi atmosferici o climatici eccezionali, ampliandone l’applicazione anche al caso attuale delle pandemie, precedentemente non previste nella legge in vigore. Ma nessuno di questi sviluppi appare possibile a breve.

Sul fronte politico, per evitare ogni tentativo di impeachment in Parlamento, Bolsonaro si è visto costretto a rafforzare enormemente i partiti di centro e centrodestra, nominando Flávia Arruda del Partito Liberale, una deputata federale di primo mandato, nel gruppo al centro del governo, come Segretaria di Governo, con l’incarico di assistere il Presidente della Repubblica nell’articolazione politica del Governo Federale, nell’interlocuzione con gli Stati e i Municipi, nel rapporto e nell’articolazione con gli enti della società civile, nella conduzione dei rapporti tra Governo Federale ed il Parlamento, con i partiti politici e nello svolgimento di studi di carattere politico-istituzionale.

Questa importantissima funzione, che dà il potere di decidere anche le priorità dello stanziamento delle risorse delle azioni di governo, non è credibile sia veramente nelle mani di una politica di secondo piano come la deputata Arruda. Ed in effetti essa attua in nome e per conto di altri due ben definiti personaggi, nelle mani dei quali Bolsonaro è andato a cadere. Si tratta di Valdemar Costa Neto, del Partito Liberale, politico di lungo corso (già condannato per corruzione e tangenti fin dal 2005 e stretto alleato di Arthur Lira recentemente eletto Presidente della Camera dei Deputati) e di un altro politico articolatore delle forze di centro e grande intrallazzatore, Gilberto Kassab, del Partito Social Democratico: una coppia tipicamente somigliante al gatto e la volpe rispetto al pinocchio Bolsonaro.

Tali forze centriste, investite di una enorme forza politica per garantire l’immunità di Bolsonaro da eventuale impeachment parlamentare, già fanno trapelare la previsione del cambio in altri tre ministeri chiave: Ambiente, Miniere ed Energia e Turismo. Per ora, gli alleati di centro pretendono spazio a discapito dei politici ideologici di estrema destra legati a Bolsonaro, ma in breve la loro sete di potere li potrà spingere a pretendere posti attualmente occupati dai militari che (nonostante fossero personaggi di secondo piano nella gerarchia delle Forze Armate), sono stati beneficiati con incarichi lautamente retribuiti, e fanno parte della fazione dei militari che ancora appoggiano Bolsonaro.

Se analizziamo il settore economico, il Brasile precipita nella classifica mondiale dell’uguaglianza di genere, in un Paese in cui più del 60% dei nuclei familiari è gestito da donne separate. Infatti, secondo dati recenti del Forum Economico Mondiale, il Paese si colloca al 93° posto su 156 nazioni, una perdita di 26 posizioni rispetto al 2006, quando stava al 67°. A partire dal prossimo martedì 6 aprile, saranno finalmente liberati i pagamenti degli aiuti emergenziali alla popolazione, interrotti a dicembre, ma questa volta con valori infimi rispetto ai R$ 600 mensili del passato e cioè con rate da R$ 250 (circa 40 euro) al mese per quattro mesi. Questo, mentre i dati ufficiali mostrano che la disoccupazione a gennaio ha raggiunto il livello più alto della serie storica mai registrata in Brasile e la Banca Centrale annuncia che il debito pubblico raggiunge il 90% del PIL e a febbraio batte un nuovo record.

Dieci giorni fa, domenica 21/03, è stata pubblicata su uno dei maggiori quotidiani della borghesia brasiliana una lettera firmata da banchieri, grandi imprenditori ed economisti che, richiedendo con vigore una azione concreta contro la pandemia, palesa un malessere profondo dei settori economici legati al mercato nei confronti di Bolsonaro e delle sue politiche inconcludenti. Di fatto, i potentati economici (latifondisti, impresari, banchieri) sono divisi tra loro, ma tutti ugualmente preoccupati. Alcuni sono addirittura pro-Lula, memori del periodo in cui i suoi governi promuovevano lauti profitti sull’onda delle politiche keynesiane. Altri sono in cerca di terze vie per sbarazzarsi di Bolsonaro e garantire forti dosi di liberismo evitando il ritorno di Lula. Questi ultimi sono legati a doppio filo con i media mainstream: la Rete televisiva Globo e i giornali della capitale economica San Paolo, quali la Folha di San Paolo e l’Estado di San Paolo.

La metropoli di San Paolo, è il cuore economico pulsante del Paese, in cui attualmente, a causa della pandemia senza controllo e delle strutture sanitarie al collasso, i cimiteri sono stracolmi e sono state sospese le sepolture per mancanza di spazio.

Anche lo scontro tra Bolsonaro ed il suo governo centrale e le istituzioni statali e municipali si fa sempre più cruento. Sempre una decina di giorni fa, 16 governatori di altrettanti Stati della federazione hanno diffuso una lettera indirizzata a Bolsonaro e ai presidenti di Camera e Senato, condannando il tentativo delle autorità bolsonariste di tentare di manipolare gli agenti della sicurezza, le polizie, che sono sotto amministrazione degli Stati e spingerli a dimostrazioni, scioperi e ammutinamenti.

Il Brasile è un Paese alla deriva e l’opinione pubblica scalpita. A livello di poteri, si vive uno scenario apocalittico di tutti contro tutti. Senza la forza per un colpo di mano, Bolsonaro è costretto a cedere potere ed è colpito ed indebolito dalla crisi che lui stesso ha creato e alimentato. La situazione di stallo suggerisce che non vi saranno grandi cambiamenti a breve: niente impeachment, niente golpe, niente interventi militari e niente azioni giudiziarie eclatanti. Una navigazione a vista dove non tutti sono sulla stessa barca: le disuguaglianze, già profonde in uno dei Paesi a più alta concentrazione di ricchezza del mondo, si stanno aggravando sempre più in una maniera che il popolo brasiliano non merita.

Si attendono con ansia sviluppi che possano alleviare la sofferenza generale, anche se per un eventuale sblocco politico si dovrà aspettare le elezioni presidenziali previste per la fine del prossimo anno.