Alberto Garzon su Fusaro e il “sinistrismo nichilista”

Alberto Garzon su Fusaro e il “sinistrismo nichilista”

In Spagna è uscita un’intervista a Diego Fusaro che è stata commentata dal compagno Alberto Garzon, co-portavoce del gruppo parlamentare di Unidos Podemos, militante del PCE e coordinatore federale di Izquierda Unida. Ci è parso utile tradurre e far circolare. 

Ho letto l’intervista di Esteban Henrandez a Fusaro e mi sembra molto importante discutere questi punti di vista perchè ignorarli non risolverebbe il problema.  Nonostante  Hernandez abbia fatto un ottimo lavoro giornalistico penso che si possano aggiungere alcune cose. Intanto, non mi sembra corretto dire che Fusaro sia un fascista e dovremmo, forse,  evitare di banalizzare un movimento politico cosi drammaticamente importante. Detto questo, le idee xenofobe di  Fusaro all’interno di un quadro “antiglobalizzazione” lo collocano chiaramente all’estrema destra, nell’ondata reazionaria che attraversa l’occidente, e proprio per questo mi preoccupa la fascinazione che provocano personaggi del genere nella nostra sinistra. Non è il primo né, suppongo l’ultimo. In alcuni casi sono il risultato di uno scivolamento ideologico mentre in altri, temo, semplicemente il prodotto di una certa mediocrità intellettuale. Mi spiego meglio.

Nella prima ondata di globalizzazione (1870-1914) ci furono enormi migrazioni internazionali. Solo dall’Italia partirono per gli Usa circa 2 milioni di persone e dalla Spagna, fino al 1936, circa 3,6 milioni di persone. Nel resto d’Europa le cifre non furono molto diverse. La maggioranza di questi erano lavoratori non qualificati, analfabeti, maschi e vittime della modernizzazione economica in Europa. Questi costituirono la base produttiva dell’impetuoso sviluppo di altri paesi, come gli Usa o l’Argentina, ma non sempre furono i benvenuti. Con l’arrivo della prima guerra mondiale, i paesi destinatari dei flussi  migratori imposero enormi barriere per l’entrata di nuovi migranti. In molti casi, come negli Usa, queste furono misure concertate con i sindacati. Era già presente, e si faceva sentire con forza, la contraddizione di una certa sinistra. Che oggi, durante la seconda ondata di globalizzazione, l’Italia rappresenti la bandiera nera delle restrizioni migratorie rappresenta una triste ironia della storia ma ancora peggio è il fatto che sopravviva la peggiore tradizione della sinistra: non considerare classe lavoratrice il lavoratore straniero. Quelli del “non ci entriamo tutti” (dove e rispetto a cosa? La Spagna ha la metà della densità di popolazione italiana) e quelli del “buonismo” rispetto all’immigrazione rappresentano una visione “stretta” (nazionale, in concreto) dell’idea di classe lavoratrice. E qui che si incrociano due cose

1)      La lettura “fusariana” di un Gramsci ridotto al “nazional popolare” in prima battuta e poi, più concretamente, al semplice “nazionale”, in una forma tanto ottusa che a momenti risulta indistinguibile da quello che diceva Primo di Rivera in Spagna

2)      La visione dicotomica del culturale e dell’economico.

Rispetto a quest’ultima questione la classe viene vista come prodotto esclusivo delle relazioni produttive. Ci sono operai o non ci sono operai. Viene negata cosi la loro intrinseca diversità determinata dalla cultura che media tutte le relazioni sociali. Secondo questa concezione essere operaia verrebbe prima che essere “lesbica”. La somma dei due fenomeni (1 e 2) ci suggerisce che l’unica contraddizione rilevante è quella di classe e che l’unica strategia possibile è il nazionale. Il risultato è un corporativismo nazionale che non avrebbe fatto certo schifo ai fascisti. Da qui la vicinanza a questi nel pratico. Però, questo scivolamento a destra, da un internazionalismo astratto (che si adatta meglio ai periodi di espansione economica) verso un corporativismo angusto e xenofobo (che si afferma in tempi di vacche magre) è solo una parte della storia. La maggioranza di quelli di sinistra attratti da personaggi come Fusaro lo fanno per quella che io definisco la “sinistrismo nichilista”. Un’attitudine “teenager” della politica. Li seduce il discorso antiestablishment, l’antieuropeismo e una certa attitudine “politicamente scorretta”. Si tratta di una sinistra che rende caricaturale il postmoderno, lo incorpora come capro espiatorio di tutti i mali esistenti e che nega qualsiasi dialogo critico con una realtà che è cambiata radicalmente negli ultimi 50 anni. Forse per malinconia o solo per mediocrità, fatto sta che è qui che si incontrano una certa sinistra e il “Fusarismo”: nel loro comune carattere reazionario di fronte ai cambiamenti economici, culturali e sociali. Tutti e due implicano progetti morali conservatori e reazionari. Per questo, per entrambi, il femminismo è la grande bestia. Non lo comprendono. Questa specie di sinistra è innocua per il capitale ma, soprattutto, folcloristica. Si muove unicamente per slogan consumati, fuori dal tempo, e in nessun caso è capace di elaborare un’analisi materialista del presente. La sua funzione è simile  a quella di una mosca cocchiera. In definitiva, per me la sinistra deve continuare ad affrontare la minaccia dell’estrema destra attraverso un’analisi critica delle dinamiche sociali provocate dalla globalizzazione in Europa. Tutto questo non si può fare solo attraverso gli slogan né, ancor meno, attraverso un autocompiacimento da “teenager”.

traduzione di Francesco Campolongo

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