Giuseppe Sacchi e il Natale in piazza degli elettromeccanici milanesi del 1960

Giuseppe Sacchi e il Natale in piazza degli elettromeccanici milanesi del 1960

Nel ricordare il compagno Giuseppe Sacchi scomparso ieri vi proponiamo due estratti dagli atti del convegno che la Fondazione Di Vittorio e la Fiom hanno dedicato nel 2010 alla lotta degli elettromeccanici milanesi del 1960 che segnò insieme alla rivolta anti-Tambroni l’inizio della “riscossa operaia” che raggiungerà il culmine con il biennio rosso 1968-69. La lotta degli elettromeccanici, della quale Milano con i suoi 60.000, fu l’epicentro ebbe in Sacchi un protagonista indiscusso e coraggioso. Mesi di scioperi culminarono in un’iniziativa fortemente sostenuta da Sacchi: la manifestazione dei 100.000 metalmeccanici il giorno di Natale in piazza Duomo. Sulla leggendaria vertenza Giuseppe Sacchi ci ha lasciato il libro “Una lotta storica. 1960-1961 gli elettromeccanici” (editrice Aurora 2007).

La relazione di Carlo Ghezzi

Gli anni che fanno seguito alle scissioni sindacali del 1948 sono caratterizzati nel nostro paese da una estrema debolezza dell’azione sindacale che tocca il suo apice con la sconfitta subita dalle liste della Fiom-Cgil presentate per il rinnovo della Commissione interna della Fiat di Torino nel marzo del 1955. Il segretario generale della Cgil Giuseppe Di Vittorio, pur tra i molti dubbi espressi dai componenti il comitato direttivo della confederazione, pronuncia la sua nota autocritica che avvia una riflessione e una profonda revisione delle politiche rivendicative e organizzative della Cgil e delle sue categorie. La Cisl e la Uil, vittoriose nelle urne torinesi, non riescono tuttavia ad affermare il sistema di relazioni industriali da loro auspicato in una Italia che si avvia al miracolo economico con uno sviluppo caratterizzato da bassi salari, da pochi diritti (la Costituzione repubblicana non varca i cancelli delle aziende) e da protezioni sociali tra le più deboli dell’intera Europa. A fronte di continui aumenti della produttività e dei fatturati, i padroni licenziano le avanguardie, intimidiscono, istituiscono reparti di confino, distribuiscono premi antisciopero. E la polizia non si fa scrupoli nella dura e a volte anche sanguinosa difesa dell’«ordine costituito». I Lavoratori italiani sono un po’come gli opera i cinesi di oggi nel contesto dei paesi europei più industrializzati di allora. Le divisioni sindacali e la debolezza nei rapporti di forza che trascinano inevitabilmente fanno si che il contratto dei metalmeccanici scaduto il 25 giugno del 1948 non venga rinnovato sino al 10 marzo del 1956. E non è affatto un buon contratto. Il successivo rinnovo è sottoscritto il 23 ottobre del 1959 ed è anch’esso piuttosto modesto non tanto nelle normative che presentano qualche novità, quanto nella sua parte salariale. Nel 1960, dopo che i lavoratori del settore siderurgico erano riusciti a firmare il loro contratto integrativo nel corso del 1958, vi è il rinnovo del contratto integrativo di settore dei lavoratori elettromeccanici che vedono nella realtà milanese una fortissima concentrazione di imprese del settore. Nel luglio 1960 un’ondata di agitazioni scuote il paese, gli scontri in piazza a Genova e a Roma, i morti di Reggio Emilia, di Palermo, di Catania e di Licata, la proclamazione dello sciopero generale da pare della sola Cgil pongono fine all’avventura autoritaria del governo Tambroni sostenuto dal voto determinante del Movimento Sociale Italiano. Nel precedente mese di giugno questo partito, imbaldanzito per il ruolo che gli si permetteva di assumere, aveva deciso provocatoriamente di tenere il proprio congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. Chiamato a presiedere il congresso è l’ex prefetto fascista di Genova Carlo Emanuele Basile, il responsabile sia delle deportazioni di 1600 lavoratori che avevano preso parte agli scioperi del marzo del 1944 che di estese persecuzioni, di tragiche fucilazioni di partigiani e di resistenti. Un tentativo palese di rivincita sulla città che il 25 aprile del 1945 aveva visto il generale Meinhold firmare la resa dei tedeschi nelle mani dell’operaio Remo Scapini. I pronunciamenti di Umberto Terracini e l’infuocato comizio di Sandro Pertini del 28 giugno si erano levati contro quella scelta inaccettabile. Lo sciopero generale proclamato dalla Camera del Lavoro il 30 giugno ha un successo straordinario e il congresso viene cancellato. Ma dilagano le proteste fino a giungere alla caduta del Governo Tambroni. Le lotte del luglio ’60 pongono al paese il problema del rapporto tra il diritto di manifestare e la gestione dell’ordine pubblico, vedono le forze del lavoro svolgere una grande funzione nazionale e sbloccare con le loro scelte coraggiose quella difficilissima situazione. elettromeccanici_lotta
Sono entrate in campo energie nuove in particolare i giovani con le magliette a strisce di moda in quel periodo. Quei fatti, avvenuti nell’Italia nella quale si è avviato il “Miracolo economico” e l’occupazione di lavoratori dell’industria supera quella dei lavoratori dell’agricoltura, determinano la fine della lunga agonia del centrismo, una formula di governo consunta che impediva l’apertura di una fase politica nuova. In un quadro costituzionale ripristinato si aprono scenari che avrebbero portato alla stagione del centro-sinistra con l’ingresso dei socialisti al Governo ma anche all’avvio di quella che gli storici definiscono la “riscossa operaia”. Questi scenari si intersecano con fermenti sociali nuovi, con un clima politico e culturale che era stato anticipato da primissimi timidi tentativi di ripresa dell’unità d’azione tra i lavoratori metalmeccanici avvenuti nel 1959 a Brescia dove la Fim-Cisl, guidata da Franco Castrezzati, un cattolico democratico che aveva preso parte alla Resistenza, e la Fiom, guidata da Paolo Morchio, un sindacalista genovese chiamato a svolgervi nei fatti le funzioni di commissario sindacale, diffondono alcuni volantini unitari e avviano scioperi unitari contro il premio antisciopero in vigore alla Fiat-OM, i primi dopo le pesanti rotture avvenute tra i sindacati nel decennio precedente. Tali iniziative decollano tra mille contrasti, compresi quelli espressi dal vescovo di Brescia che sconfessa le scelte di Castrezzati e quelli della federazione del Pci che chiede che vengano presi provvedimenti disciplinari contro Paolo Morchio e i gruppi dirigenti della Fiom perché praticano l’unità d’azione con gli scissionisti cislini finanziati nel 1948 dagli americani che non hanno mai fatto pubblica ammenda di tali comportamenti ne a Roma ne nelle fabbriche di quel territorio. Rinaldo Scheda, il temuto responsabile dell’organizzazione della Cgil, si precipita a Brescia e convoca la corrente comunista del sindacato, decide di non promuovere alcun provvedimento disciplinare ma distribuisce robuste lavate di capo contro quelle che vengono giudicate delle discutibili improvvisazioni locali. Anche a Milano nel corso del 1959 e nella primavera del 1960, dopo la riuscita dello sciopero proclamato dalla Fiom nella Lega della Romana e nella Lega di Gorla, cominciano a prendere corpo delle iniziative unitarie tra Fiom, Fim e Uilm. Se nel luglio 1960 dopo le manifestazioni di Genova e i morti di Reggio Emilia la politica italiana cambia profondamente registro, sul piano sociale la svolta sindacale nasce a Milano. E’ proprio a Milano che si compiono, nell’autunno-inverno del 1960, delle scelte che segnano un cambiamento della storia del mondo del lavoro e dell’intera società italiana. La Fiom-Cgil milanese, diretta da Giuseppe Sacchi, e la Fim-Cisl provinciale, diretta da Pietro Seveso e nella quale la figura più forte è quella del giovane Pierre Carniti, con il contributo a volte convinto a volte timoroso della Uilm, danno il via ad una stupefacente stagione di mobilitazioni caratterizzata da ampie convergenze unitarie e da forme di lotta che anticipano addirittura quanto accadrà nell’autunno caldo di molti anno dopo. Vengono proclamati numerose ore di sciopero. Alcuni scioperi sono gestiti in modo articolato, si sciopera per mezz’ora o addirittura per un quarto d’ora. Si assiste clamorosamente alla proclamazione di uno sciopero provinciale con una manifestazione convocata dalla Fim e dalla Uilm all’Arena mentre la Fiom convoca la propria manifestazione in Piazza del Cannone al Castello Sforzesco. Qui i comizi della Fiom si chiudono rapidamente con l’appello di raggiungere rapidamente i propri “fratelli lavoratori riuniti all’Arena” realizzando in tal modo una manifestazione unitaria che si scoglie solo dopo che tutti insieme, sibilando con i propri fischietti che accompagnano molto rumorosamente le mobilitazioni contrattuali, sfilano nelle vie del centro storico. A Milano, epicentro nazionale dell’agitazione, in quelle occasioni si vedono per la prima volta anche degli studenti sfilare con i cortei dei lavoratori. Il 10 dicembre 1960 Intersind e Asap sottoscrivono un accordo che accetta gran parte delle richieste dei sindacati degli elettromeccanici ma Assolombarda non ne vuole sapere poiché non accetta di avvallare scelte che portino al riconoscimento della contrattazione integrativa. Il suo fronte interno si sgretola e alcuni industriali cominciano a firmare accordi a livello aziendale.

Il 1960 si conclude con l’immensa manifestazione del giorno di Natale che raduna in Piazza Duomo 100.000 lavoratori accompagnati dai propri famigliari. Sandro Antoniazzi ci dirà del dibattito interno alla Fim, alla Cisl e al mondo cattolico dopo che da parte di Cisl erano partiti pronunciamenti contrari all’idea di manifestare proprio il 25 di dicembre. Giudizi di contrarietà esplicitati addirittura in un volantino. A differenza dei suoi dirigenti milanesi il segretario nazionale della Fim Franco Volontè non è noto come uomo animato da inclinazioni unitarie. La Uilm e la Uil confederale mantengono sulla manifestazione al Duomo un rigoroso silenzio. Ad onor di verità anche nella Cgil la discussione non è facile, sia Luciano Lama, per conto della segreteria nazionale della Fiom e della Cgil, sia i massimi dirigenti del Pci e del Psi milanese si mostrano decisamente contrari ad avallare la scelta di manifestare in Piazza Duomo il giorno di Natale. Temono di urtare eccessivamente la sensibilità dei credenti, temono di guastare l’atmosfera particolare che in quella giornata si crea in moltissime famiglie popolari, temono un boomerang che invece di allargare le alleanze avvii una lunga fase di polemiche e di divisioni. Ma le loro titubanze che Lama, come era uso fare non vuole nasconde in alcun modo e che difende con energia e determinazione, vengono clamorosamente travolte dalle spinte degli attivisti sindacali di fabbrica nel corso di una riunione della Fiom milanese che si tiene nel salone Di Vittorio colmo all’inverosimile. Si scatenano a sostegno della manifestazione diversi militanti di base, tra i più determinati vi sono Guido Cremascoli e Temistocle Arazzini, del Tecnomasio Italiano Brown Boeri, i due vengono rapidamente affiancati da quelli di altre grandi fabbriche sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Sono ovviamente spalleggiati dal gruppo dirigente della Fiom milanese magistralmente guidato in quegli anni da Giuseppe Sacchi che sin dall’estate aveva ipotizzato quell’impegnativo appuntamento e che nel corso della infuocata riunione decide, giudiziosamente e maliziosamente al tempo stesso, di non prendere la parola. Lama, un dirigente che ha sempre saputo ascoltare con attenzione e con rispetto il sentire dei lavoratori, decide alla fine riunione di prendere atto degli orientamenti che si sono espressi, di fare propria la proposta e di sostenere la manifestazione che viene indetta. L’evento desta non poca sorpresa, molti strilli e qualche scandalo nella borghesia milanese e sui suoi giornali. Il 24 dicembre la segreteria della Cgil guidata da Agostino Novella e da Ferdinando Santi viene a Milano e si incontra con la segreteria nazionale della Fiom e le esprime la propria piena solidarietà. La mattina del 25 di dicembre con Luciano Lama, Giuseppe Sacchi e i segretari della Cgil Ferdinando Santi e Vittorio Foa puntualmente presenti in Piazza Duomo, non solo non si registra tensione alcuna ma i manifestanti e le loro famiglie raccolgono ampie e diffuse simpatie culminate con la positiva sorpresa del saluto accoratamente pronunciato durante l’omelia della Messa solenne che il cardinale Giovanni Battista Montini, il futuro Papa Paolo VI, rivolge ai lavoratori riuniti sul piazzale che si battono per il rinnovo contrattuale e per una maggior giustizia sociale.

Giuseppe Sacchi, raggiante, è in piazza nonostante un febbrone a 39 gradi e nonostante il tassativo divieto del medico, la sua trasgressione gli procurerà un fastidioso pneuma toracico. A seguito di quella lotta altre centinaia di accordi aziendali sono siglati in fabbrica dalle singole direzioni aziendali. Gradualmente da quegli avvenimenti nei sindacati si va ponendo fine alla vecchia parola d’ordine “marciare divisi per colpire uniti” che viene sostituite dalla nuova parola d’ordine che afferma “uniti si vince”. La riscossa operaia acquisisce maggior visibilità e sempre maggior consistenza e l’unità d’azione è crescentemente praticata. Nel 1962 i comizi unitari di Bruno Trentin, il nuovo segretario nazionale della Fiom, e di Pierre Carniti che si tengono al Velodromo Vigorelli diventano l’emblema di una stagione sindacale nuova. Insieme alla piattaforma varata unitariamente per il contratto del 1963 danno corpo alla fase che prepara l’esplosione dell’autunno caldo, le grandi conquiste sindacali del ’68 e del ‘69, l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, il superamento delle gabbie salariali e le grandi battaglie per le riforme che avvieranno negli anni ’70 la costruzione di un sistema di welfare universale e solidale. L’autunno caldo non dunque è un fiore sbocciato improvvisamente dal nulla. Senza le lotte degli elettromeccanici e il Natale in Piazza Duomo, senza la lunga e lenta maturazione della riscossa operaia, senza la tenace iniziativa di contrattazione in azienda, senza l’unità d’azione tra lavoratori di diverse culture e storie come tra i tre sindacati non si sarebbe sviluppato quel grandioso movimento di lotta e non si sarebbero gettati quei semi che hanno cambiato nel profondo la società italiana portandola a tante conquiste sindacali ma anche civili (dalla legge sul divorzio e sull’aborto alla legge sulla parità uomo-donna e quella sul diritto di famiglia, alla definizione di un più avanzato sistema di protezioni sociali), non si sarebbe avviato un ciclo di lotte che sarebbe durato a lungo, fino alla sconfitta subita dalla Flm alla Fiat nel 1980. 

La testimonianza di Giuseppe Sacchi

Io dirò poche cose, la storia della FIOM è lunga. Io ho 93 anni ed ho iniziato a combattere quando ne avevo 18 quindi ne ho visti di tutti i colori ed ho imparato degli insegnamenti che potrebbero essere utili anche oggi.

Prima cosa che ho imparato che i padroni non regalano niente, mai.

Io lavoravo all’OM, mi chiamavano il Carnera perché ero piccolo e un compagno di lavoro mi diceva: “senti Carnera se ti va bene mangia per terra” perché allora non c’erano le mense, io mangiavo allora pane, bologna e gorgonzola, mangiavo 8 michette e lui beveva mezza bottiglia di vino.

Mi diceva: “se tutto ti va bene conquisterai anche tu mezza bottiglia di vino” ed io pensavo, ma che mondo è questo se questa è la mia prospettiva.

Poi ho capito una cosa: l’unità che decide è l’unità costruita dal basso. Io ho perso un sacco di tempo con la CISL; non volevano stare neanche al tavolo con noi. Poi abbiamo cambiato tutto quando gli operai hanno cominciato a lottare. Io ricordo Pietro Seveso della FIM che era un dirigente bravissimo, si è messo a scioperare nella fabbrica che scioperava solo con la FIOM, ha detto: “sto con voi”. L’unità dal basso ha creato le condizioni per portare avanti l’unità.

L’altra questione che dobbiamo tenere presente è quella delle alleanze, io ricordo che le lotte degli elettromeccanici le abbiamo vinte grazie alla lotta dura che abbiamo condotto.

Noi avevamo bisogno di questa gente sulla piazza, allora per questa questione delle alleanze eravamo in tutti i negozi, in tutti i quartieri e ricordo che dicevamo: “se noi guadagniamo di più voi esercenti venderete di più e se venderete di più ci guadagnerete di più, le fabbriche gireranno di più”. Erano tutti interessati.

Perché in piazza del Duomo? Nella piazza del Duomo non c’erano solo gli operai c’erano gli artisti, c’era di tutto, c’era Milano che si era stretta intorno a questi lavoratori. La CISL non ha aderito eravamo solo noi.

Io ricordo che quando ho cominciato la lotta alla Junker e alla Vanzetti, e abbiamo iniziato la lotta dalle fabbriche più avanzate, Novella mi scrive una lettera dove mi dice: “non fare questa lotta perché noi stiamo lavorando per costruire questa unità ai vertici, se questa lotta ti va male tu pregiudichi il lavoro dei vertici”. Io invece sono andato avanti con la lotta e mi hanno detto tutti: “guarda che se fallisci, tu salti” e alla fine invece mi hanno detto che ho fatto bene ad intraprendere quella lotta.

Quando abbiamo lottato per la mensa era dura, noi dicevamo: “fate finta di essere in cassa mutua, quindi lavorate con lo stipendio ridotto al 50%”. 

Mi ricordo che eravamo trattati peggio delle bestie. Se un cavallo sta male non esce dalla stalla fino a quando non sta bene, se sta male un operaio va a metà stipendio e ancora malato deve andare a lavorare.

Io sento dire oggi che per il movimento operaio la ruota della storia è sempre andata avanti:  comunismo primitivo, feudalesimo, rivoluzione democratica……hanno sempre migliorato. Adesso invece si vuole cacciare indietro il movimento operaio, ci dicono di fare sacrifici su sacrifici. Ma se abbiamo fatto sempre sacrifici da quando è esistito il mondo…..

Ritornando a Piazza del Duomo. C’era un volantino della Confindustria che era convinta che non ce la avremmo fatta a tirare fino alla fine. Ricordo che era il mese di luglio quando dichiarai: “noi terremo fino alla fine, ci diamo appuntamento a Natale a Piazza del Duomo, noi operai non crolliamo”.

Quando abbiamo fatto l’assemblea della FIOM c’erano tutti i dirigenti, proprio tutti, che ci hanno detto di non andare in Piazza Duomo perché c’è il ministro Scelba che ha detto che non è possibile, c’è il Prefetto che ha fatto un telegramma dove dice che non vi da la Piazza del Duomo. Mi ricordo che in quell’assemblea c’erano tutti. Io dissi a chi mi spingeva a prendere la parola: “il massimo che posso fare è di stare zitto; io non andrò mai dai lavoratori a dire loro di non andare a Piazza del Duomo”.

Natale 1960 piazza del duomo

 


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