FERMARE IL RIARMO, LA GUERRA E IL GENOCIDIO. COSTRUIRE L’OPPOSIZIONE E L’ALTERNATIVA ALLA DESTRA E ALLA GUERRA Documento approvato al CPN del 5 e 6 luglio 2025

FERMARE IL RIARMO, LA GUERRA E IL GENOCIDIO. COSTRUIRE L’OPPOSIZIONE E L’ALTERNATIVA ALLA DESTRA E ALLA GUERRA Documento approvato al CPN del 5 e 6 luglio 2025

 

Il Comitato Politico Nazionale ha esaminato la situazione politica e sociale italiana e gli sviluppi del contesto globale al fine di trarre una prima valutazione dell’azione del Partito dopo la conclusione del Congresso nazionale che ha deciso di rilanciare l’iniziativa sulla base della valutazione degli elementi nuovi che caratterizzano l’attuale fase politica e con necessarie correzioni di strategia e tattica.

In generale la situazione mette in evidenza sia sul piano internazionale che su quello

nazionale un peggioramento drammatico. Sul piano internazionale accanto al protrarsi della guerra in Ucraina gli elementi molto gravi sono rappresentati dalle politiche di riarmo dell’Unione Europea e della NATO che non solo tendono a riprodurre le condizioni del conflitto, ma ridefiniscono le priorità di spesa negli Stati nazionali, preparando le condizioni per strette al welfare e quindi per il peggioramento delle condizioni sociali e l’accrescersi di squilibri e diseguaglianze. Inoltre i conflitti tendono a intensificarsi e a dilatarsi a livello internazionale. L’orrore di Gaza – un genocidio per la prima volta in diretta – e il recente attacco di Israele all’Iran lo stanno a dimostrare.

In questo quadro la presidenza di Trump non segna una presunta svolta pacifista ma una nuova strategia dell’imperialismo americano non meno aggressiva e pericolosa.

Sul piano nazionale la pericolosità del governo Meloni è squadernata di fronte a noi. Occorre tuttavia avere coscienza di dove stia in particolare tale pericolosità. Nella politica internazionale vi è la totale acquiescenza nei confronti della presidenza Trump e delle politiche dell’Unione europea. Si tratta di una linea dettata da ovvie ragioni tattiche che distingue in parte il governo Meloni da altre esperienze di governi di destra radicale e populista e che tuttavia presenta con queste diversi punti in comuni, quali: il perseguimento di una linea di politica economica neoliberista, l’assunzione di un punto di vista nativista con il contrasto all’immigrazione e la celebrazione di un nazionalismo escludente, tendenze all’accentramento dei poteri e a torsioni securitarie e autoritarie. Non solo. Il governo Meloni si pone nel quadro europeo come la punta avanzata di un tentativo di saldatura della destra radicale con le componenti conservatrici del centro presenti in Europa. Osservando gli equilibri attualmente presenti in Europa dove la destra radicale e la componente conservatrice del PPE insieme raggiungono la metà dei deputati, si può avere un’idea dei pericoli insiti nella situazione.

Il nostro giudizio sulla pericolosità della destra e quindi sulla necessità di determinare condizioni favorevoli alla sua sconfitta trovano quindi ragioni oggettive.

Ne consegue la necessità di lavorare per la costruzione di un’opposizione di massa che coinvolga un largo fronte di soggetti sociali e politici. La lotta contro l’autonomia differenziata e contro il decreto sicurezza rappresentano positive esperienze in tal senso. In questo quadro non possono essere affrontate con atteggiamento settario le dinamiche aperte nl quadro politico. In particolare il conflitto che attraversa il PD che non rappresenta solo un gioco delle parti, ma corrisponde anche alla necessità reale di darsi una nuova linea dopo la sconfitta pesante subita alle politiche. Così come il passaggio dei Cinque stelle a un posizionamento più spostato a sinistra o la crescita di AVS. Tantomeno può esser sminuita l’importanza delle posizioni assunte dalla CGIL. L’autonomia del partito, la sua capacità di iniziativa e la ricostruzione di relazioni ampie e differenziate con soggetti politici, sindacali e di movimento è stata posta come fondamento della nostra soggettività politica. Le scelte compiute negli ultimi mesi, in particolare in relazione alla nostra azione per la costruzione di un ampio movimento contro il riarmo e la guerra si sono rivelate corrette e hanno consentito di riportare il partito nel dibattito politico pubblico anche con una, pur ancora limitata, maggiore visibilità mediatica.

Un percorso che ci ha visto promotori della piazza Barberini pacifista del 15 marzo in

alternativa alle ambiguità della manifestazione di Repubblica, unitari nelle manifestazioni del 5 aprile e del 7 giugno. L’ultimo appuntamento, in tal senso, è stata la manifestazione nazionale del 21 giugno con i quattro “no” alla guerra, al riarmo, al genocidio a Gaza e all’autoritarismo. L’ampiezza delle adesioni e la partecipazione popolare che si è registrata, costituiscono un primo importante passaggio nella costruzione di un movimento che dovrà necessariamente svilupparsi per acquistare un’autentica dimensione di massa e coinvolgere nuovi e più larghi soggetti sociali. La manifestazione del 21 giugno si è basata sul principio dell’autonomia dei movimenti, nella loro costruzione e definizione, senza per questo contrapporsi al ruolo delle forze politiche. Il nostro partito, in vari modi, ha dato un contributo essenziale per unire radicalità degli obbiettivi e ampiezza delle forze coinvolte.

Partendo dalla campagna europea “Stop Rearm Europe”, la cui estensione e dinamica è ancora lontana da quanto sarebbe necessario, abbiamo ampliato e integrato gli obbiettivi con il no alla guerra, al genocidio e all’autoritarismo. La convergenza che il nostro partito ha contribuito a determinare per la manifestazione del 21 giugno ha ripreso gli elementi migliori dell’esperienza del movimento altermondialista, del Genoa Social Forum e del Forum Sociale di Firenze.

Si pone ora pone il compito di sviluppare l’iniziativa e radicare territorialmente il movimento “Stop Rearm Europe”, di estenderne le adesioni, a partire dal più diretto coinvolgimento di settori del mondo cattolico, nonché rafforzare una presenza giovanile che è ancora limitata. In queste settimane, dopo il 21 giugno, si sono già svolte numerose attività territoriali, in parte direttamente collegate al movimento nazionale e alla sua piattaforma, in altri casi con caratteristiche specifiche. La proposta, in corso di elaborazione, per l’adozione in tutte le sedi istituzionali di una delibera di opposizione al piano di riarmo, basata sulla raccolta di firme dei cittadini e cittadine, potrà consentire di contattare decine di migliaia di persone attivandole nel sostegno al movimento, anche nei comuni più piccoli.

La prossima Marcia Perugia-Assisi del 12 ottobre può diventare una scadenza

unitaria per rilanciare il no al riarmo, alla guerra e al genocidio a Gaza. Abbiamo espresso il nostro sostegno alla proposta di manifestazione unitaria per l’autunno contro il riarmo avanzata da Giuseppe Conte, che potrà essere un altro importante appuntamento per dare più forza all’opposizione alla politica di riarmo decisa dalla Commissione europea e dalla NATO.

La natura plurale del movimento contro la guerra e il riarmo, condizione necessaria

affinché realmente possa ottenere dei risultati politici in uno scontro che non sarà di breve durata, non implica affatto la rinuncia ad esprimere i nostri obbiettivi. Questi non sono al momento necessariamente condivisi da tutte le forze che hanno aderito alla manifestazione unitaria del 21 giugno come la richiesta di scioglimento della NATO o il rifiuto dell’esercito europeo. Questi sono temi sui quali noi dobbiamo aprire un dibattito dentro il movimento e nel paese, ma non debbono diventare elementi per dividere le forze che si oppongono al piano di riarmo pur da posizioni diverse dalle nostre. L’ampliamento e il rafforzamento del movimento contro il riarmo e la guerra è uno degli aspetti di una potenziale crescita della mobilitazione sociale, di cui negli ultimi mesi abbiamo intravisto qualche segnale positivo. Il nostro partito deve lanciare una campagna sempre più forte sui costi sociali del riarmo oltre che sui pericoli che comporta, proporre un’alternativa alla NATO attraverso il disarmo, un progetto di sicurezza comune nel 50° di Helsinki, la scelta di neutralità del nostro paese come attuazione dell’articolo 11 della Costituzione, il no alla scelta di un’Europa potenza militare.

Gli stessi referendum sociali, pur non avendo raggiunto l’obbiettivo che si

proponevano, hanno consentito di portare all’attenzione del Paese i temi dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici che, ormai da decenni, sono in arretramento a causa delle politiche condotte dalla destra, dai governi del centro-sinistra e di quelli “tecnici” di unità nazionale. Analogamente si è aperta una discussione importante sui meccanismi di riconoscimento della cittadinanza per i “nuovi italiani” che è parte della ricostruzione di una unità di fondo, di interessi e di valori, della classe lavoratrice e delle classi popolari.

Il tema che si pone non è solo l’analisi dettagliata del voto, ma come proseguire

quella mobilitazione politica e sociale necessaria per ottenere i risultati che non è stato possibile conseguire con i referendum. È possibile che la CGIL decida di mantenere in piedi i comitati che si sono formati durante la campagna elettorale, ma al di là delle scelte del maggior sindacato italiano, il nostro partito deve utilizzare la continuazione di questa battaglia, sulla quale c’è stata la convergenza di 13 milioni di elettori ed elettrici, per ricostruire un forte insediamento sociale in tutti i settori del lavoro dipendente e salariato. In questo panorama, urge una riflessione sulle vicende recenti del referendum. Certamente l’esito dello stesso non era auspicato dal gruppo dirigente della CGIL che, pur considerando pressoché impossibile il raggiungimento del quorum, tuttavia sperava in un risultato maggiore che sancisse in modo più netto un sostegno popolare ai quesiti. Ciò tuttavia non può in alcun modo essere letto ora come un azzardo irresponsabile del gruppo dirigente della CGIL. In realtà i quesiti contavano sul felice abbinamento di quello sull’eliminazione della legge sull’autonomia differenziata. Chiaramente il venir meno di quest’ultimo ha modificato radicalmente la situazione. Il problema semmai che ci si deve porre è quello dei futuri sviluppi della vicenda. Perché il valore di quella consultazione è stato non solo nell’aver comunque mobilitato 13 milioni di si, ma anche di aver raccolto sui territori molti comitati referendari unitari che hanno sostenuto la battaglia.

In questo senso un primo obiettivo che deve porsi il nostro partito è dare una

prospettiva di sviluppo alla Via Maestra e alla mobilitazione referendaria. La Cgil è ora impegnata in una riflessione interna necessaria, ma già l’indicazione di non smobilitare i comitati unitati è un’indicazione importante. Ai fini della realizzazione del nostro progetto abbiamo bisogno che si formi uno schieramento sociale più robusto di prima che comprenda organizzazioni di massa e partiti dell’opposizione su una piattaforma convincente e che offra la possibilità di una nostra partecipazione anche nei livelli territoriali. Questo passaggio è indispensabile da un lato per costruire le migliori condizioni sociali in vista delle prossime elezioni politiche per battere le destre, e dall’altro per offrire a noi stesso l’opportunità di entrare a far parte di uno schieramento con proiezione di massa. La nostra parola d’ordine dovrebbe essere quella di “ripartire dai comitati referendari per costruire una grande battaglia sociale” Ovviamente, tramontata l’opportunità offerta dal referendum, occorre si definisca una piattaforma che necessariamente deve includere quei contenuti, ma che deve anche estenderli. Se l’autonomia differenziata rappresentava il valore aggiunto di una mobilitazione sociale che legava anche i cittadini del sud a una battaglia comune, ora occorre riflettere su una piattaforma più ampia. Un punto importante è quello del welfare, collegato inevitabilmente con le minacce che gravano sulla spesa sociale a seguito delle politiche di riarmo. L’altro è quello della democrazia che non attiene solo alla lotta contro il decreto sicurezza, ma che oggi si proietta sulla forma di stato e sulle forme di partecipazione. È del tutto evidente che il nostro partito non può stare alla finestra attendendo che la CGIL o altri preparino tutte le condizioni necessarie per avviare un rilancio dell’iniziativa unitaria di massa. Ma una campagna organizzata d’interlocuzione pubblica al centro e alla periferia sarebbe molto utile. In merito allo sviluppo dell’iniziativa molto opportunamente è stata posta la questione della legge elettorale. Occorre, infatti, avere ben chiaro che il disegno presidenzialistico non è assolutamente uscito dall’agenda delle priorità di questo governo, che come si è detto rientra peraltro negli obiettivi condivisi dalla destra radicale e populista europea. Quest’obiettivo però non necessariamente dovrà essere conseguito attraverso una legge d’iniziativa costituzionale o non necessariamente solo con questa. Infatti, è possibile ottenere un risultato simile attraverso un’opportuna revisione della legge elettorale. Ovviamente nel caso di una semplice legge elettorale il quorum necessario in un eventuale referendum sarebbe più alto. È per questo che le timidezze nell’opposizione di affrontare il tema della legge elettorale e magari la propensione a concentrarsi esclusivamente su una legge costituzionale rischiano di rivelarsi sbagliate. Anche qui occorre assolutamente aprire un confronto a partire dal rifiuto di un’impostazione presidenzialista nella legge elettorale per giungere al nodo della necessità di una legge sostanzialmente proporzionale.

È stata finora largamente insufficiente sia la nostra conoscenza e capacità di analisi

dei mutamenti dei meccanismi produttivi e delle vecchie e nuove forme di sfruttamento e delle loro articolazioni territoriali che sono un base essenziale per tornare parte attiva e politicamente significativa della classe lavoratrice. Il nostro obbiettivo è di costruire piattaforme di rivendicazioni sociali che confluiscano in una nuova fase di vertenze su salario e diritti. Dobbiamo tornare pienamente ad essere partito di classe ed insieme attivamente inserito nei movimenti per i diritti sociali e civili che non possono essere mai contrapposti come strumentalmente fanno alcune forze che, partendo da un ideologismo dogmatico che si pretendeva essere alla nostra sinistra, si sono trasformate in elementi di sostegno propagandistico alla destra più reazionaria e fascista. Lo sviluppo di forme diverse di mobilitazione sociale sono una condizione indispensabile per creare la condizioni di una ripresa e un rilancio del Partito della Rifondazione Comunista.

Contemporaneamente il nostro partito deve essere un punto di riferimento

essenziale per far crescere e qualificare l’opposizione al governo della destra. Emergono le contraddizioni fra i proclami sovranisti e la concreta subordinazione alla politica della Commissione Europea e dell’Amministrazione USA di Trump. La destra si configura come sempre attenta alle esigenze del padronato italiano e del capitale internazionale, ostile agli interessi dei lavoratori, dei precari a chi vive vecchie e nuove condizioni di povertà. In più essa utilizza tutti i suoi strumenti di potere per radicare un senso comune reazionario.

Finora non si è ancora significativamente indebolito il consenso popolare che ha

consentito alla destra, con al suo interno una preponderante componente di origine neofascista e una Lega dal marcato segno razzista, di arrivare al potere. Esso si è alimentato certamente di una reazione alle precedenti politiche del centrosinistra ma anche degli effetti della più complessiva crisi di egemonia del capitalismo neoliberista. La destra trova la sua forza nel dare risposta, per quanto illusoria e reazionaria e indicando falsi capri espiatori, a difficoltà di vita, paure e mancanza di prospettiva che sono presenti in settori delle classi popolari. Non basta una lettura economicista di fronte alla forza egemonica che hanno la propaganda razzista, xenofoba e omofoba, securitaria, il revanscismo fascista, l’anticomunismo, che in questa estrema destra al governo sono intrecciati con un orientamento fortemente

neoliberista classista. Da questo punto di vista la sintonia della destra italiana con il trumpismo non è episodico ma di lunga data.

Per questo è sempre più necessario, ed è un problema aperto di fronte a tutta la

sinistra alternativa e anticapitalista europea, costruire una prospettiva ideale, programmatica e di alleanze politiche e sociali che indichi una prospettiva positiva di uscita dalle diverse crisi che si vanno accumulando in Europa come a livello globale. Anche per l’Italia e per le forme specifiche di crisi dell’egemonia neoliberista che vive il nostro paese, in un contesto contrassegnato da una lunga fase di stagnazione economica e da una progressiva riduzione del peso del sistema produttivo italiano nell’ambito dei processi di accumulazione globale, il nostro ruolo non può essere di passiva accettazione dell’esistente o di auto-marginalizzazione autoreferenziale. A partire dalla nostra opposizione alla destra, dalla difesa dei valori dell’antifascismo, che pure non fa sconti alle responsabilità passate e alle ambiguità attuali delle forze di centro-sinistra, dobbiamo saper indicare un processo di costruzione dell’alternativa che non sia un ritorno al passato. Questo richiede un intreccio crescente di capacità di iniziativa autonoma del partito, di partecipazione attiva alla costruzione di lotte, vertenze e mobilitazioni sociali, di formulazione di un processo aperto di definizione programmatica, di interlocuzione con tutti i settori della società che aspirano ad una rottura con le politiche neoliberiste.

Per questo occorre anche avviare un processo di ricostruzione della struttura

materiale del partito: iscritti/e, militanti/e, quadri politici con capacità di proiezione esterna, risorse finanziarie, strumenti di comunicazione. Il partito non può essere solo una linea politica costruita in astratto ma è essenzialmente una capacità di azione che collega strettamente la proposta con le forze reali di cui dispone. Abbiamo potuto verificare come, se da un lato vi è certamente una nostra condizione di debolezza, in un contesto di allontanamento dalla politica organizzata dei partiti, il nostro è spesso quello che riesce ancora ad essere l’unico capace di mobilitare sui territori.

I prossimi mesi, a partire dai risultati positivi segnati nei mesi scorsi, dovranno

vederci impegnati a costruire un salto di qualità nella capacità del partito di essere presente nella società e nel conflitto politico come nello spazio, che tende oggi ad essere predominante, della comunicazione sociale. Gli incarichi affidati dal CPN in questa riunione sono finalizzati ad un rafforzamento della capacità di analisi, di proposta e di iniziativa del partito per affrontare le importanti scadenze che ci attendono. Il CPN incarica la segreteria, la direzione e i responsabili dei gruppi di lavoro di predisporre un piano di iniziative e campagne.

Il CPN impegna il partito sui seguenti obiettivi prioritari nei mesi estivi:

- mobilitazione contro il genocidio a Gaza e occupazione Cisgiordania

- campagna contro il riarmo e sviluppo convergenza Stop Rearm Europe

- iniziativa nazionale sul ruolo della NATO e per la neutralità dell’Italia

- ripresa campagna contro il carovita e per il salario minimo

- rilancio del tesseramento


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