L’Italia delle mille fortezze interne

L’Italia delle mille fortezze interne

Stefano Galieni*
 

Fatti di cronaca inframezzati da vicende politico giudiziarie. Il 2024 è terminato con l’ennesimo naufragio che non fa quasi neanche notizia. I morti, al largo della Tunisia, da cui si continua a fuggire, sono 27, circa 80 quelli salvati. Per ora. Secondo l’UNICEF, la grande bara chiamata Mediterraneo ha raccolto nel 2024, altri 2.400 corpi sacrificali per l’integrità della Fortezza Europa, le sue gabbie si riaprono quando c’è da sfruttare e si richiudono, nella silenziosa guerra trentennale per la difesa dei “sacri ci confini” per quelli che si chiamano alla luce del sole, “carichi residuali”, non certo vite.  In fondo che effetto fa crepare in mare mentre il resto del Paese festeggia, o in un altro giorno dell’anno. Nel frattempo, c’è chi prova a riaprire un centro per trattenere richiedenti asilo a Porto Empedocle (Ag) ma i giudici non convalidano e questo, come quelli albanesi, restano vuoti. Poi alcuni solidali piemontesi vengono fermati in Bulgaria perché hanno osato soccorrere dal freddo un piccolo gruppo di migranti maghrebini. Se la cavano con una notte in una cella sporca. Si rifiutano di firmare un verbale redatto in bulgaro e vengono scarcerati, meglio liberarsene forse. E poi nel cosiddetto mondo libero, c’è chi annuncia, come il nuovo presidente Usa, deportazioni di massa, chi – come l’opposizione di destra in Cile – propone di utilizzare la dinamite per scoraggiare gli arrivi, chi, come in Austria va a governare, al grido di “fuori gli immigrati” e chi come in Germaniasi prepara ad una campagna elettorale in cui, con le stesse parole d’ordine, si dovranno sperimentare alleanze spurie, per impedire all’Afd di divenire primo partito del Paese. Queste destre, fra loro diverse ma capaci di fare fronte comune, dovrebbero porre in allarme chiunque abbia a cuore ciò che resta della democrazia. Ciò che si sente affermare con facilità, “social liberisti e nazional liberisti sono due facce della stessa medaglia”, mostrano una miopia assurda ed inconcepibile. Incomprensibile per chi poi ne paga le conseguenze. Certo nessuno dimentica che la guerra, come fase strutturale, è elemento sovraordinante, ma quando poi gli alfieri del sovranismo all’amatriciana si recano, come i re magi da Elon Musk per consegnare ufficialmente a lui le chiavi con cui controllare anche le comunicazioni riservate, siamo certi di poter affermare che non si stia determinando un vero salto di paradigma?

Migranti e confini, salvaguardia del suprematismo, costi quel che costi, sono unicamente cartine di tornasole per far vivere perennemente la guerra in casa, indipendentemente da quanto potrà accadere in Ucraina, Medio Oriente, Repubblica Democratica del Congo. Una guerra silenziosa, che definisce un vivere quotidiano fondato su paura e repressione. L’omicidio ripreso, quasi con compiacimento da chi lo inseguiva del giovane Ramy a Milano è già dimenticato, l’espulsione immediata di due cittadini tunisini che, sempre nel capoluogo lombardo, sono stati fermati, la notte di Capodanno perché “insultavano l’Italia”. Avevano partecipato a disordini e questo basta. Ma c’è ancora altro. Prima ancora della conversione in legge del Ddl 1660, “Il Disegno della paura”, in concomitanza con Capodanno e Giubileo si vanno sperimentando nelle città italiane nuove forme di esclusione e criminalizzazione della povertà e del dissenso istituzionalizzando la razzializzazione dei controlli. Una spiegazione in sintesi: il Daspo (Divieto di Accesso alle manifestazioni Sportive), introdotto nel 1989 per far fronte ai disordini negli stadi, da molto tempo, con l’aggettivazione di “Daspo Urbano” è divenuto strumento per cacciare con fogli di via persone considerate, in quanto povere, portatrici di degrado, da allontanare dai luoghi ad alta frequentazione, come le stazioni, dalle parti “in” delle città, dalle zone in cui si concentrano turisti e opere d’arte, dai luoghi ritenuti sensibili. Con il decreto prefettizio per Capodanno, la cui validità si sperimenterà in alcune città come Roma fino a marzo almeno, “Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha inviato una direttiva1  ai prefetti per sottolineare l’importanza di individuare, con apposite ordinanze, aree urbane dove vietare la presenza di soggetti pericolosi con precedenti penali e poterne quindi disporre l’allontanamento. Viene in tal modo esteso ad altre città questo strumento che ha già dato positivi risultati nel corso della sua prima applicazione a Firenze e Bologna dove complessivamente, negli ultimi 3 mesi, sono stati 105 i soggetti destinatari di provvedimenti di allontanamento su 14mila persone controllate. Il ricorso alle cosiddette “zone rosse” rientra nella più ampia strategia volta a garantire la tutela della sicurezza urbana e la piena fruibilità degli spazi pubblici da parte dei cittadini. Tali ordinanze sono particolarmente utili in contesti caratterizzati da fenomeni di criminalità diffusa e situazioni di degrado, come le stazioni ferroviarie e le aree limitrofe, nonché le “piazze dello spaccio”, dove sono già in atto le operazioni interforze ad alto impatto. Le misure potranno essere applicate anche in altre aree urbane, come le zone della movida, caratterizzate da un’elevata concentrazione di persone e attività commerciali e dove si registrano spesso episodi di microcriminalità (furti, rapine), violenza (risse, aggressioni), vandalismo, abuso di alcol e degrado”. È questo il testo con cui dal Viminale definiscono una nuova, per quanto propagandistica, visione delle città. In alcuni luoghi considerati “simbolo del degrado”: Quarticciolo a Roma, Rozzano (Milano), Scampia-Secondigliano (Napoli), Orta Nova (Foggia), Rosarno-San Ferdinando (Reggio Calabria), quartiere San Cristoforo (Catania), Borgo Nuovo (Palermo), è stato approntato un nuovo/vecchio modello seguendo l’approccio annunciato a Caivano, (Napoli) per reprimere e punire. Per curiosa coincidenza si tratta di zone cittadine in cui la concentrazione di occupazioni abitative è molto forte. Ma, quasi da ultimo, l’elemento che fa di queste azioni un vero e proprio programma fondato sull’oppressione va ricercato sui soggetti che ne subiranno le conseguenze. Emerge infatti, neanche troppo fra le righe un segnale da lanciare alle forze dell’ordine quanto alla maggioranza silenziosa che lascia prevalere la paura. A subire per ora gli effetti di queste misere politiche saranno le persone razzializzate, le prime ad essere fermate in quanto a prescindere rappresenterebbero un pericolo, a prescindere potrebbero essere presenti irregolarmente, a prescindere potrebbero essere pregiudicati. Poi chi è povero, chi vive in case occupate, chi reagisce e non si rassegna. Da ultimo chi si ribella e, anche in assenza di condanne passate in giudicato, potrà essere tenuto fuori dalle mura delle città privilegiate. Così come la fortezza marina e quella balcanica tengono per ora fuori un “nemico” (come scrive l’amico e collega Maurizio Pagliassotti, autore dello splendido La guerra invisibile, Einaudi, 2023) che è ancora esterno. I Daspo, i decreti, le circolari prefettizie, i fogli di via, saranno una barriera contro il nemico interno. Complimenti ai legislatori che in questa maniera provvedono ad aumentare la distanza fra un “noi” e un “loro” che di solito porta solo sciagure. Non bastano i coraggiosi magistrati che, ad esempio, continuano ad opporsi ai campi di delocalizzazione dei “nemici” in Albania. Occorre un salto di qualità politico e culturale che deve maturare in questo 2025, altrimenti il danno sarà irrecuperabile.

*Responsabile nazionale immigrazione PRC-S.E  Da Transform Italia


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