John Bellamy Foster: La dialettica dell’ecologia, un’introduzione

John Bellamy Foster: La dialettica dell’ecologia, un’introduzione

Pubblichiamo dal sito Antropocene.org, rassegna internazionale di ecosocialismo, la traduzione di un importante saggio di John Bellamy Foster dal numero di gennaio della rivista Montly Review

L’intera natura si trova in un perpetuo stato di flusso…
Non vi è nulla che sia chiaramente definito in natura…
Ogni cosa è legata a tutto il resto…

Denis Diderot [1]

 

Come ha osservato l’ecologo di Harvard e teorico marxiano Richard Levins, «probabilmente la prima indagine di un oggetto complesso studiato come un sistema è stato il capolavoro di Karl Marx, Il capitale», che ha esplorato sia la base economica che quella ecologica del capitalismo, inteso come sistema socio-metabolico.[2] La premessa della Dialettica dell’ecologia, così come affrontata in quest’articolo, è che troviamo soprattutto nel materialismo storico classico/naturalismo dialettico, il metodo e l’analisi che ci permette di collegare “la storia del lavoro e del capitalismo” alla storia della “Terra e del pianeta”, consentendoci di indagare da un punto di vista materialista la crisi dell’Antropocene propria del nostro tempo.[3] Nelle parole di Marx, l’umanità è sia “una parte della natura”, che una “forza della natura”.[4] Nella sua concezione non era presente alcuna rigida divisione tra storia naturale e storia sociale. Piuttosto, «La storia della natura e la storia dell’uomo [umanità]» erano pensate come «l’una in dipendenza dall’altra sin tanto che l’uomo esisterà».[5]

Da questa prospettiva, la relazione tra lavoro, capitalismo e metabolismo terrestre, è al centro della critica dell’ordine esistente. «Il lavoro», scriveva Marx, «è, anzitutto, un processo che passa tra l’uomo e la natura, un processo attraverso il quale l’uomo, per mezzo delle sue stesse azioni, media, regola e controlla il metabolismo tra sé e la natura. Egli si confronta con i materiali della natura come una forza della natura».[6] Tuttavia, con l’avvento della “produzione capitalista”, si verifica un’alterazione e uno spostamento sistematico nell’«interazione metabolica tra l’uomo e la terra», che dà origine a una frattura metabolica, o crisi ecologica, interrompendo le relazioni naturali essenziali e non solo «derubando il lavoratore […] ma anche derubando il suolo».[7]

Si può ritenere che oggi questa frattura ecologica, nel metabolismo tra natura e società, abbia raggiunto il livello [equilibrio n.d.r.] del sistema Terra, dando origine a ciò che gli scienziati hanno denominato una “frattura antropogenica” nei cicli biogeochimici dell’intero pianeta, che ha portato a ciò che Friedrich Engels chiamava metaforicamente la “vendetta” della natura.[8] All’interno della classica prospettiva storico-materialista, questa contraddizione può essere risolta solo riconciliando l’umanità e la natura. Tale riconciliazione richiede di superare non solo l’alienazione della natura, ma anche l’auto-alienazione dell’umanità stessa, che si manifesta al massimo grado nell’odierna, distruttiva, società mercificata. Ciò che è necessario, in tale analisi, è riconoscere sin dall’inizio la natura “corporea” della stessa esistenza umana, che è legata alla produzione. Quindi, se è necessaria oggi una “nuova storia universale dell’uomo”, è proprio qui, all’interno della tradizione storico-materialista, che il necessario metodo materialista, dialettico ed ecologico dev’essere trovato. Per Marx, «Gli individui universalmente sviluppati, le cui relazioni sociali, in quanto relazioni comunitarie, sono perciò anche subordinate al loro controllo comunitario, non sono un prodotto della natura, ma della storia».[9] E tuttavia, la storia umana non è mai separata dal «metabolismo universale della natura», del quale il metabolismo sociale, basato sul processo lavorativo e produttivo, è una parte determinante.[10]

In questa visione dialettico-ecologica, non ci sono risposte prestabilite applicabili a tutta la storia, poiché tutto ciò che ci circonda nella storia naturale e nella storia sociale – che costituiscono, come diceva Marx, i “due lati” di un’unica realtà materiale – può essere visto come in uno stato di costante cambiamento.[11] Ciononostante, sarà qui sostenuto che il metodo della dialettica dell’ecologia, radicato nel materialismo storico e che mira a trascendere l’alienazione dell’umanità e della natura, fornisce una base per unire teoria e pratica in modo nuovo e rivoluzionario. Ciò costituisce la necessaria negazione dialettica, o il superamento, delle condizioni materiali del nostro mondo attuale, alienato, diviso e pericoloso, esso stesso il prodotto dello sviluppo storico umano. Questa prospettiva presuppone l’esistenza di un processo contingente e in perpetuo mutamento, nel quale ciascuna nuova realtà emergente porta in sé un’incompletezza e molteplici relazioni contraddittorie, che conducono a ulteriori sviluppi trasformativi. Come suggerisce Corrina Lotz, la negazione dialettica comprende propriamente «l’assenza (termine di Roy Bhaskar), la rimozione, la perdita, il conflitto, l’interruzione, i salti e le rotture», il più delle volte intesi nei termini del concetto generale di emergenza, o del passaggio qualitativo a livelli di organizzazione più alti, che, come ha detto Engels, porta sempre con sé il potenziale distruttivo.[12] Perciò, la struttura della storia, inclusa la storia naturale, contiene sempre al suo interno crisi e catastrofi, insieme alla possibilità di qualcosa di qualitativamente nuovo, ricavato da una combinazione di residui del passato (realtà negate precedentemente) che interagiscono in modi contingenti con il presente in quanto storia e generano un cambiamento trasformativo. La storia, sia essa storia naturale o storia umana, non è quindi lineare, ma si manifesta piuttosto come una forma di sviluppo a spirale.

La nozione di sviluppo storico umano, una concezione relativamente recente che precede di poco l’era capitalista, è un prodotto del mutamento della relazione degli esseri umani con la natura nella sua totalità. Come riconosciuto da Marx, nell’antichità ellenistica Epicuro vedeva le origini della filosofia naturale o della scienza naturale come legate a un diffuso senso del pericolo che il mondo naturale rappresentava nella vita quotidiana degli esseri umani.[13] Nella filosofia epicurea, non vi era alcuna risposta razionale a questa condizione esistenziale al di fuori della riconciliazione con il mondo attraverso forme di auto-coscienza contemplativa e di sviluppo di un senso di unità con la natura, o atarassia, attraverso l’illuminismo/la scienza.

L’enorme sviluppo storico delle forze produttive, che separa l’antichità dal mondo moderno, e l’emergere della scienza moderna in questo contesto, alterarono radicalmente la relazione tra l’umanità e il suo ambiente naturale. La società borghese, quale risultato di questo “progresso” e della rivoluzione scientifica del diciassettesimo secolo, celebrava il “dominio della natura” fornito dalla scienza illuminista. Da questa prospettiva, il regno della necessità naturale rappresentava qualcosa di ormai appartenente al passato, o, persino, di superato.[14] Ciò, tuttavia, diede origine alla presunzione, come notava Engels, di “vittorie dell’uomo sulla natura” alla maniera di “un conquistatore su un popolo straniero”, una visione che, a causa della mancanza di lungimiranza e dei suoi obiettivi ristretti, ha condotto alle catastrofi ecologiche generate dall’uomo.[15]

Come risultato del processo storico, l’umanità si trova ancora una volta di fronte a un generale senso di pericolo che proviene dalle forze della natura. Eppure, dietro questa minaccia esistenziale per l’umanità e per la vita, si nasconde il lavoro umano, esso stesso una forza della natura, che ora genera catastrofi di livello planetario. Nel capitalismo, l’alienazione della natura è tale che il denaro viene feticisticamente scambiato per l’esistenza, mentre l’estrazione, l’espropriazione privata e il furto della terra, sono confusi con la ricchezza reale. Nella prospettiva storico-materialista, la contraddizione tra l’umanità e la terra può essere superata prima che diventi fatale, ma solo se i due lati dell’auto-alienazione umana – alienazione dall’umanità e alienazione dalla natura – vengono superati attraverso la “ricostituzione rivoluzionaria della società in generale”, e la creazione di un mondo fatto di equità sostanziale e sostenibilità ecologica.[16]

Lo sviluppo di un tale approccio, basato su basi storico-materialiste classiche, non può consistere semplicemente in una ricostruzione teorica delle analisi di Marx ed Engels in questo ambito, cioè, in una sintesi dei loro contributi a una dialettica ecologico-materialista. Nella migliore delle ipotesi, l’unica cosa che un tale approccio può generare è un metodo più critico per analizzare il presente, anche se è l’effettivo superamento del presente come storia, la preoccupazione principale. Soprattutto, è necessario affrontare la crisi ecologica dell’epoca dell’Antropocene che si sta rapidamente sviluppando, un’epoca della storia umana che segna la nascita di fattori antropogenici, di contro a quelli non-antropogenici, quali forze principali della trasformazione del sistema Terra. Qui dobbiamo confrontarci con l’attuale finanziarizzazione della natura, con la nuova fase di estrattivismo planetario, con le questioni relative alla sopravvivenza umana, e con la lotta rivoluzionaria per creare una società della decrescita pianificata e una civiltà ecologica orientata allo sviluppo umano sostenibile. Tutto questo, però, dipende dal ripristino, dallo sviluppo, e dall’unificazione nella teoria e nella prassi della critica dialettico-ecologica del capitalismo, che è un’indispensabile e indiscutibile eredità del materialismo storico nella sua versione classica.

La duplice negazione del materialismo dialettico

  Il marxismo sovietico e la dialettica della natura

La ricostruzione dell’ecologia marxiana basata sul materialismo storico nella sua versione classica è molto recente ed alquanto incompleta, in larga parte circoscritta al secolo attuale ed all’ascesa dell’ecosocialismo. Sia il marxismo ufficiale dell’Unione Sovietica (che dai tardi anni trenta in poi ha rimosso l’elemento critico all’interno della filosofia, insieme all’analisi ecologica di Marx), sia la tradizione filosofica del marxismo occidentale (che ha del tutto rifiutato il naturalismo dialettico), hanno ostacolato lo sviluppo ulteriore della critica ecologica storico-materialista. Si è costituita una duplice negazione della dialettica della natura, derivante dall’antagonismo della Guerra Fredda tra Est e Ovest. Ma questa negazione, essendo mutate le condizioni materiali, è venuta meno negli ultimi decenni.

La filosofia sovietica – come originariamente concepita sotto la guida di V. I. Lenin, Lev Trotskij e Nikolaj Bucharin in occasione del lancio della sua pubblicazione principale, Under the Banner of Marxism, nel 1922 – intendeva coniugare sia la prospettiva materialista dei menscevichi che quella dei bolscevichi (che rappresentavano, all’interno del marxismo russo, le tendenze relativamente riformiste da un lato, e quelle più rivoluzionarie dall’altro), meccanicisti e dialettici, filosofi e scienziati naturali, con l’obiettivo di realizzare una più ampia, e internamente differenziata, filosofia del materialismo dialettico. Questo termine è stato introdotto dal filosofo operaio Joseph Dietzgen e deve la sua influenza principalmente al lavoro del fondatore del marxismo russo (e menscevico) Georgij Plechanov.[17]

La linea fu impostata da Lenin con la sua lettera del 1922 a Under the Banner of Marxism, pubblicata col titolo “Sul significato del materialismo militante”. Qui Lenin insisteva sulla necessità di riunire “i materialisti del campo non-comunista” con i materialisti rivoluzionari, così da promuovere una discussione filosofica impegnata da entrambe le parti. L’obiettivo era sviluppare una visione “materialistico militante” fondamentalmente marxista, e al contempo evitare dogmi rigidi.

«Uno dei più grandi e più pericolosi errori commessi dai comunisti (e in generale dai rivoluzionari che hanno realizzato l’inizio di una grande rivoluzione) è l’idea che la rivoluzione possa essere fatta dai soli rivoluzionari». Piuttosto che escludere dal nuovo giornale  alcuni filosofi menscevichi di punta, come la talentuosa Ljubov’ Isaakovna Aksel’rod (un’ex assistente di Plechanov) e Abram M. Deborin, Lenin insistette sulla necessità di includerli. Per proteggersi dal materialismo meccanicista o meccanicismo (più noto oggi come riduzionismo), dichiarò essenziale l’incorporazione critica della dialettica hegeliana all’interno della rivista, nonostante le sue basi idealiste. Pertanto, Under the Banner of Marxism doveva rappresentare, secondo le sue parole, «una sorta di “Società degli amici materialisti della dialettica hegeliana”».[18]

La filosofia sovietica si prefiggeva sin dall’inizio di sviluppare il materialismo dialettico come una visione teorica generale applicabile sia alla filosofia che alla scienza, basandosi in primo luogo sul lavoro di Engels, Plechanov, e Lenin, ma radicandosi fondamentalmente sul lavoro di Marx, Hegel e Spinoza. (Le discussioni filosofiche di Marx nei suoi giovanili Manoscritti economico-filosofici erano all’epoca sconosciute).

L’Anti-Dühring e l’incompleto Dialettica della natura di Engels, fornivano una linea guida, che, nella sua espressione più sintetica, ruotava attorno ai tre principi ontologici o “leggi”, ricavate da Hegel: 1) della trasformazione della quantità in qualità, e viceversa; 2) dell’identità o unità degli opposti; 3) della negazione della negazione.[19] Il primo di essi intendeva individuare quelli che nel linguaggio scientifico odierno vengono più di frequente denominati cambiamenti di fase o effetti soglia, in cui i cambiamenti quantitativi si traducono in nuove realtà qualitative. Attraverso queste trasformazioni qualitative, che possono essere osservate sia nella natura non-umana sia nella società, come rilevavano Marx ed Engels, emerge una «nuova potenza [power]», che è «interamente differente dalla somma delle sue forze [forces] separate».[20] Il secondo principio ontologico affronta le contraddizioni che sorgono a causa degli sviluppi incompatibili presenti all’interno della medesima relazione, intrinseca a tutti i processi di movimento, attività e cambiamento. Il terzo principio ontologico della negazione della negazione si riferisce al modo in cui i processi associati ai primi due principi pongono le basi per le negazioni dialettiche, cioè la negazione della negazione precedente, e un processo di Aufhebung (che si riferisce contemporaneamente al trascendimento, alla soppressione, alla conservazione, al superamento e alla sostituzione). Negazioni dialettiche che danno luogo a brusche inversioni e trasformazioni, stabilendo realtà emergenti qualitativamente nuove che sorgono a un livello superiore, e a una complessa “forma di sviluppo a spirale” in cui la negazione non è mai una semplice negazione, ma contiene al suo interno il positivo (e viceversa).[21]

«Il “momento dialettico”», scriveva Lenin nei suoi Quaderni filosofici, «richiede che si dimostri l’“unità”, la connessione del negativo e del positivo, la presenza di questo positivo nel negativo. Dall’asserzione alla negazione, dalla negazione all’“unità” con ciò che si asserisce. Senza questo, la dialettica diviene una vuota negazione, un gioco, o pura scepsi [scetticismo]».[22] Sebbene sia stata una prassi comune, ridurre la dialettica all’unità degli opposti, una tale impostazione, secondo Lenin, sarebbe del tutto sterile poiché esclude la negazione dialettica.[23]

Nel 1924 scoppiò un importante dibattito tra i meccanicisti, associati a figure come Pavel B. Aksel’rod e all’attivista meccanicista-ateista Ivan Ivanovič Skvorcov-Stepanov, e i pensatori più orientati alla dialettica, sotto la guida di Deborin e del suo Istituto dei Professori Rossi.[24] I meccanicisti erano più legati alle scienze naturali e a teorici di punta come Bucharin e, prima di lui, Plechanov, che avevano entrambi manifestato tendenze meccaniciste sebbene nessuno dei due fosse del tutto avverso all’analisi dialettica.[25] I dialettici, per contro, erano ben più lontani dalle scienze naturali, e si concentravano sull’idealismo hegeliano mediato criticamente dalla tradizione materialista di Feuerbach, Marx, Engels e Lenin.[26]

La più importante disputa teorica che divideva i meccanicisti e i deboriniani ruotava intorno alla tesi, sostenuta dai primi, secondo cui sia la natura organica sia quella inorganica potevano essere ridotte semplicemente a proprietà meccaniche. Ciò era in contrasto con una dialettica basata sull’esistenza di forme organizzative irriducibili, associate in particolare alle analisi di Engels nell’Anti-Dühring e nella Dialettica della natura, pubblicato per la prima volta nel 1925.[27] Deborin, così come la maggior parte degli altri filosofi sovietici, sosteneva che fosse impossibile ridurre integralmente una forma qualitativamente superiore, come la vita organica, a una forma inferiore, come la materia inorganica. Commentando il saggio di William Robert Grove, The Correlation of Physical Forces (1846), Engels scriveva che «l’azione chimica non è possibile senza cambiamenti di temperatura e cambiamenti elettrici; la vita organica [non è possibile] senza cambiamenti meccanici, molecolari, chimici, termici, elettrici ecc. Ma, in ogni caso, la presenza di queste forme ausiliarie non esaurisce l’essenza della forma principale. Un giorno potremo certamente “ridurre” sperimentalmente il pensiero al movimento molecolare e chimico del cervello; ma questo esaurisce forse l’essenza del pensiero?».[28] In questa visione, i livelli organizzativi superiori, come mente/pensiero, non potevano essere ridotti semplicemente ai livelli organizzativi inferiori, anche se i primi dipendevano dai secondi. La distinzione tra diverse forme/livelli/piani qualitativi all’interno dell’esistenza materiale, spiegava Engels, è alla base della divisione delle varie scienze, separando, ad esempio, la biologia dalla chimica e dalla fisica.

Tuttavia, i meccanicisti, che incarnavano la visione scientifica allora dominante, misero in discussione l’idea di Engels secondo cui le forme/livelli qualitativi differenziassero la realtà, così come il pensiero. Così, Skvortsov-Stepanov dichiarò che l’affermazione di Engels secondo cui le forme superiori dell’esistenza materiale non potevano essere spiegate semplicemente da quelle inferiori, e quindi che le forme meccaniche di movimento non potevano spiegare interamente la psiche umana, doveva essere respinta con forza.[29] Il riduzionismo, in linea con il positivismo e in conformità con la moderna scienza meccanicista, veniva ritenuto un principio generale applicabile a tutta l’esistenza. Motivo per cui accadeva spesso che si affermasse che «la mente è una mera secrezione del cervello» – una tesi avanzata per la prima volta da Pierre Jean Georges Cabanis nel 1802 e apparentemente accettata anche da Charles Darwin.[30] Al contrario, i filosofi deboriniani basarono le loro analisi sulla duplice critica dell’idealismo hegeliano e del materialismo meccanicista. Per quanto riguarda il riduzionismo, fecero affidamento sulla nozione engelsiana di cambiamento quantitativo che porta alla trasformazione qualitativa.

Divenne presto chiaro che nessuna delle due parti poteva avere la meglio dal punto di vista intellettuale, dal momento che si trattava, in larga parte, di una divisione tra scienza naturale positivista e filosofia dialettica. Tuttavia nel 1929, nonostante lo stallo filosofico, i deboriniani riuscirono a trionfare sui loro rivali attraverso mezzi puramente politici, sfruttando il loro maggiore controllo sulle principali istituzioni della filosofia sovietica per escludere il punto di vista concorrente.[31]

La vittoria dei deboriniani, tuttavia, si rivelò di breve durata, dal momento che nel giro di un anno furono messi sulla difensiva a causa di un attacco proveniente da un settore politico ben più potente: la gerarchia stessa del Partito Comunista. Un fatto che decretò l’intervento diretto del cosiddetto Bolshevizers della gerarchia del partito all’interno delle battaglie sul fronte filosofico. Pur non difendendo direttamente i meccanicisti, considerati come una “deviazione di destra”, la gerarchia del partito decise che era necessario tenere a freno i deboriniani, considerati una “deviazione di sinistra”. I deboriniani furono accusati a vario titolo di essere menscevichi, idealisti, vitalisti, e deboli nelle loro critiche a Trotskij e agli altri deviazionisti di sinistra. Il colpo decisivo, tuttavia, fu la dichiarazione ufficiale di Joseph Stalin nel dicembre del 1930, secondo cui i deboriniani erano “idealisti menscevichi”. Lo stesso Deborin venne denunciato sulla base del suo passato menscevico di circa tre decenni precedente, mentre i dialettici furono anche accusati di esserse assciati a I.I. Rubin, il brillante economista marxista autore di Saggi sulla teoria del valore di Marx, che fu giustiziato nel 1937.[32]

La soppressione della filosofia sovietica negli anni ’30 venne sancita dalla pubblicazione del saggio di Stalin “Materialismo dialettico e materialismo storico”, nel 1938, come parte della Storia ufficiale del Partito Comunista (Bolscevico) dell’URSS: Breve corso (al quale ci si riferisce spesso con Breve corso).[33] Nella formulazione rigida e dogmatica fornita dal contributo di Stalin “Materialismo dialettico e materialismo storico”, la nozione di negazione della negazione, fondamentale nel pensiero critico di Marx, Engels e Lenin, venne esplicitamente esclusa. Il materialismo storico venne ridotto ad un ambito separato, subordinato al materialismo dialettico. Tutte le categorie vennero congelate. I Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx, pubblicati per la prima volta nel 1932, furono trattati come appartenenti ad una fase pre-marxista del suo pensiero, e furono generalmente ignorati o sminuiti.

Le scienze naturali sovietiche, in particolare le scienze della vita, compresa l’ecologia, subirono un destino simile a quello della filosofia. Bucharin, lavorando con l’agronomo, botanico e genetista Nikolaj Vavilov, con il fisiologo e biologo B. Zavadosky, e con lo storico delle scienze e fisico Boris Hessen, fornì un collegamento fondamentale tra filosofia dialettico-materialista e scienze naturali. Tutti questi pensatori, insieme ad altri importanti studiosi marxisti come il filologo David Rjazanov, curatore di un’edizione critica delle Opere di Marx ed Engels, furono vittime delle purghe staliniane. Bucharin stesso venne giustiziato nel 1938. Le rivoluzionarie intuizioni dialettiche emerse in URSS nel campo delle scienze naturali e della filosofia furono rimpiazzate con rigide formule che esclusero il pensiero critico.

Come risultato di questi sviluppi, la dottrina ufficiale del materialismo dialettico venne ridotta ad un rozzo positivismo e monismo meccanicistico, che si opponeva ad un tendenzioso, anche se per certi aspetti più critico, dualismo neo-kantiano che sarebbe divenuto pervasivo nel marxismo occidentale.[34] Tuttavia, un genuino materialismo dialettico continuò a sussistere nelle nicchie, rifiutando di essere seppellito. Come Galileo Galilei, che coinvolto nell’Inquisizione, si dice abbia detto della Terra, senza dubbio in modo apocrifo: «Eppur si muove».[35]

  Il marxismo occidentale e la negazione del materialismo dialettico

Di contro al marxismo sovietico ufficiale, ciò che divenne noto come marxismo occidentale, o tradizione filosofica del marxismo occidentale, seguì una traiettoria interamente differente. In questa prospettiva, la dialettica della natura, e, con essa, la nozione di materialismo dialettico, venne confutata sulla base del fatto che la dialettica richiedeva l’identità soggetto/oggetto – vale a dire l’idea che gli esseri umani siano sia soggetti che oggetti delle loro azioni – e che perciò non poteva essere applicata alla natura esterna, dove il soggetto umano non è presente. Con l’esclusione del regno naturale in quanto separato – o addirittura antecedente – dalla storia umana, il marxismo occidentale ha così reciso ogni relazione diretta tra il materialismo storico e le scienze naturali e con il metabolismo universale della natura, relegando di fatto il mondo naturale entro il regno del positivismo. Il risultato fu una concezione dualistica, a due mondi, all’interno della quale la dialettica si riferisce esclusivamente alla storia umana, non alla storia naturale (il regno della cosa-in-sé kantiana), e nella quale il marxismo venne confinato esclusivamente entro il campo sociale.[36] Il materialismo storico fu quindi privato di qualsiasi legame con la natura come forza in sé, riducendo la nozione di materialismo, nel marxismo occidentale, solamente a relazioni politico-economiche denaturalizzate. Pensatori appartenenti al marxismo occidentale come Herbert Marcuse e Theodor W. Adorno si schierarono contro il sovietico Breve corso e l’articolo di Stalin “Materialismo dialettico e materialismo storico”, ma spesso andarono anche oltre, come nel caso di Adorno e Lucio Colletti, rifiutando la dialettica trasformativa di Engels e Lenin, e persino, per certi versi, quella di Marx ed Hegel, convergendo invece verso Immanuel Kant.[37]

La Dialettica negativa di Adorno, alla quale si guarda oggi come a uno dei grandi contributi della Scuola di Francoforte all’interno del marxismo occidentale, aveva come proprio oggetto il rifiuto della “negazione della negazione” e quindi il momento positivo nella dialettica. Come scriveva Adorno nella prefazione del suo lavoro: «L’espressione dialettica negativa viola la tradizione. Già in Platone la dialettica esige che attraverso lo strumento di pensiero della negazione si produca un positivo; più tardi la figura di una negazione della negazione lo ha nominato in modo pregnante. Questo libro vorrebbe liberare la dialettica da una siffatta essenza affermativa, senza perdere neanche un po’ di determinatezza».[38]

Nella prospettiva di Adorno, “Marx era una darwinista sociale”, nel senso che vedeva la storia naturale come il regno della necessità naturale (che aveva impatto anche sulla storia sociale), da trascendere nella storia umana attraverso un salto nel regno della libertà. Il concetto marxiano di natura coincideva in ultima analisi, secondo Adorno, con quello dell’Illuminismo, nel quale la natura esisteva solo per essere conquistata e trascesa dalla prassi sociale. Stando a tutte le analisi della Dialettica dell’Illuminismo relative al “dominio della natura”, Horkheimer e Adorno accettavano l’idea, che imputavano a Marx stesso, del “saccheggio all’ingrosso della natura” – ovvero una sorta di stato di natura hobbesiano e darwiniano o guerra di tutti contro tutti, ritenuta caratteristica di tutto il pensiero illuministico. Marx stesso veniva accusato di aver condiviso questa prospettiva, guardando alla libertà semplicemente come al superamento della necessità.[39] Come ha osservato Adorno, Marx «ha con ciò sottoscritto il programma, originariamente borghese, di dominare assolutamente la natura».[40] Inoltre, specificando nelle prime righe della Dialettica negativa che l’oggetto delle sue analisi era di escludere la negazione della negazione, e quindi il momento positivo nella dialettica – in un modo ironicamente parallelo all’eliminazione dogmatica della negazione della negazione in “Materialismo dialettico e materialismo storico” di Stalin – Adorno mette in luce la propria negatività rispetto alla prospettiva del cambiamento rivoluzionario.[41]

Alfred Schmidt – che scrisse la sua tesi e magnum opus, pubblicata nel 1962 con il titolo Il concetto di natura in Marx, sotto la supervisione di Horkheimer e Adorno – aveva osservato, in modo del tutto condivisibile, che la nozione marxiana del metabolismo sociale tra natura e società sollevava la questione della dialettica della natura, o dell’”auto-mediazione della natura”. Schmidt, tuttavia, sconfessò poi questa sua posizione sulla base del fatto che Marx avrebbe ritenuto tale auto-mediazione valida esclusivamente per l’azione umana, e dunque soltanto all’interno delle società comunitarie tradizionali, ritenendola perciò non più applicabile alla moderna società borghese, dove la prima natura, vale a dire la natura in sé e per sé, era stata in larga parte sussunta dalla seconda natura, il regno sociale. «È solo il processo di conoscenza della natura», sosteneva Schmidt, «che può essere dialettico, non la natura stessa».[42] Questa formula manteneva il dualismo neo-kantiano tra natura e società, sostenendo che la mediazione dialettica fosse impossibile senza un soggetto umano, confinato entro il regno storico-sociale. Tali concezioni spingevano la dialettica, così come pensata dal marxismo occidentale, nella direzione dell’idealismo.[43]

Data l’esclusione sistematica della natura/ecologia dal pensiero dialettico nel marxismo occidentale, si è spesso sostenuto, anche all’interno dei circoli marxisti, che la filosofia della prassi non avesse niente da dare all’analisi ecologica. Questo fatto venne precisato nell’influente libro del 1976 di Perry Anderson, Considerations on Western Marxism, che sosteneva come «nessuna figura di rilievo all’interno della terza generazione del marxismo classico» – che Anderson associava strettamente al marxismo occidentale e al suo rifiuto della dialettica della natura – sia stata influenzata dagli «sviluppi delle scienze fisiche». Nel suo lavoro del 1983, In the Tracks of Historical Materialism, Anderson dichiarò che «i problemi relativi all’interazione della specie umana con il suo ambiente terrestre [erano] essenzialmente assenti dal marxismo classico» – una tesi che sarebbe stata ritenuta assurda già allora, se non fosse per il fatto che l’intero ambito della dialettica della natura era già sistematicamente assente dal marxismo occidentale, mentre la critica ecologica del marxismo classico era semplicemente inesistente.[44]

Pertanto, sia la concezione sovietica della “dialettica della natura” del Breve corso del 1938, che aveva il suo fulcro nella rigida separazione staliniana tra materialismo dialettico e materialismo storico, sia il rifiuto del marxismo occidentale della dialettica della natura, sono diventati preda di una visione ristretta della realtà. In questo modo non sono riusciti ad abbracciare ciò che Engels chiamava la totalità dei corpi, dalle stelle alle molecole, incluse la mente umana e la società. «In effetti, il problema della dialettica della natura», ha scritto Roy Bhaskar, filosofo del realismo critico «si riduce ad una variante del problema generale del naturalismo, che può essere risolto pensando la dialettica in modo sufficientemente ampio e la società in modo sufficientemente naturalistico da potersi estendere alla natura».[45]

La lotta per la dialettica materialista

  Il ritorno del materialismo dialettico

E tuttavia, sarebbe stato un errore pensare che la classica nozione marxista della “concezione dialettica della natura”, come la definiva Engels, fosse giunta al suo stadio terminale, ridotta a un nonnulla, sia in Unione Sovietica che in Occidente.[46] Piuttosto, la dialettica materialista è costantemente riemersa in forme varie e inaspettate nel corso delle mutevoli circostanze storiche. Lo si può vedere chiaramente nella celebre visita di scienziati naturali e filosofi sovietici al Secondo Congresso Internazionale di Storia della Scienza a Londra nel 1931, dove Bucharin, Vavilov, Zavadovsky, Hessen e altri, presentarono i risultati della scienza naturale e della filosofia dialettica sovietica.

A questo storico incontro presenziarono scienziati di fama mondiale e studiosi socialisti, tra cui Joseph Needham, J.D. Bernal, Lancelot Hogben e Hyman Levy. (J.B.S. Haldane non era presente ma avrebbe in parte aderito alle nuove idee grazie alla risonanza di questo stesso evento). Nel corso delle presentazioni sovietiche, Bucharin cercò di generare una concezione dialettico-umanista dell’analisi marxista favorevole alle scienze naturali, che si basava sulle “Note su Adolph Wagner” di Marx, dove alcune delle concezioni ontologiche più implicite del pensiero marxiano venivano rese evidenti, insieme all’integrazione del concetto di “biosfera”, elaborato dal biogeochimico Vladimir Vernadsky. Il riconoscimento della realtà in cui gli esseri umani vengono visti nel loro “vivere e lavorare nella biosfera” richiede, secondo Bucharin, una visione integrata, dialettico-materialista, del processo e dell’interazione, della contraddizione, della negazione e della totalità, a cui partecipano sia la natura esterna che la società. Hessen presentò per la prima volta una sociologia della scienza che incarnava una dialettica materialista capace di spiegare le scoperte di Newton in relazione a una visione borghese meccanicistica del mondo. Vavilov fornì un resoconto della scoperta sovietica, ottenuta per mezzo di indagini storiche e materialiste, dei luoghi geografici originali (oggi conosciuti come i Centri di Vavilov) del germoplasma mondiale, da cui sono nate le principali colture agricole.[47]

Per Needham, fu la critica al vitalismo e al meccanicismo di matrice dialettico-naturalista esposta da Zavadovsky nel suo articolo su “The ‘Physical’ and ‘Biological’ in the Process of Organic Evolution”, a fornire il maggior contributo all’elaborazione del suo approccio alla dialettica dell’emergenza, presente nella sua celebre teoria dei “livelli integrativi”. Zavadosky sosteneva che «i fenomeni biologici, [nonostante siano] storicamente connessi con i fenomeni fisici propri alla natura inorganica, non solo non possono essere ridotti a leggi di natura fisico-chimica o meccanica, ma, entro i loro stessi limiti di processi biologici, manifestano leggi diversificate e qualitativamente distinte», che posseggono una «autonomia relativa» rispetto a quella delle forme fisiche inorganiche. La “connessione dinamica” tra l’inorganico e l’organico nella sfera biologica viene esplicitata, così sosteneva, dal concetto di metabolismo, che collega le forme biologiche superiori alle loro precondizioni fisico-inorganiche.[48]

Questo concetto di metabolismo, inteso come fenomeno materiale che collega il fisico-chimico e il biologico attraverso gli scambi all’interno della natura, diventerà la base dell’analisi degli ecosistemi. Nella nuova analisi dei sistemi ecologici, l’ordine biologico come forma di organizzazione emergente, è irriducibile ai diversi elementi che lo costituiscono. «Tradotto nei termini della filosofia marxista», scriveva Needham, «si tratta di un nuovo livello dialettico». L’idea di base del naturalismo dialettico è «quella della trasformazione. Come avvengono le trasformazioni, e come possiamo farle accadere? Qualsiasi risposta soddisfacente dev’essere anche una soluzione al problema dell’origine di ciò che è qualitativamente nuovo».[49]

Gli “scienziati rossi” britannici degli anni trenta e quaranta rappresentavano essi stessi il prodotto di una tradizione materialista di orientamento emergentista ed ecologico. La maggior parte di queste figure aveva inoltre aderito al socialismo, in particolare il socialismo marxiano. Needham ha ricordato l’influenza del “leggendario” zoologo britannico E. Ray Lankester, protégé di Darwin e Thomas Huxley e amico stretto di Marx, nonché il più rappresentativo teorico evoluzionista darwiniano in Gran Bretagna della generazione successiva a Darwin e Huxley.[50] Lankaster aveva sviluppato un approccio sistematico al mondo naturale grazie al suo concetto di “bionomica”, che fu il termine originario di ecologia in Gran Bretagna. (Lankaster contribuì inoltre a introdurre in inglese il termine oecology, supervisionando la traduzione della Storia della creazione naturale di Ernst Haeckel del 1876). Egli si focalizzò sulle complesse interrelazioni tra gli organismi e i loro ambienti e sugli esseri umani intesi come disturbatori delle relazioni ecologiche globali, sviluppando una critica della “distruzione della natura da parte dell’uomo” radicata nella critica del capitalismo.[51]

Fu Arthur Tansley, allievo di Lankaster e uno dei principali studiosi di ecologia delle piante, ad introdurre il concetto di ecosistema basato, in parte, sulla più ampia teoria dei sistemi di Levy. Così come descritto da Tansley, il concetto di ecosistema include sia il regno inorganico che quello organico, e comprende gli esseri umani stessi, che vivono all’interno degli ecosistemi e ne sono i principali perturbatori. La nozione di ecosistema aveva le sue radici nel concetto di metabolismo, che era stato la base delle prime analisi dei sistemi ecologici e del trattamento del ciclo dei nutrienti, problema su cui avevano lavorato il chimico tedesco Justus von Liebig, Marx (nei suoi concetti di metabolismo sociale e frattura metabolica), e Lankester.[52] Il concetto di ecosistema elaborato da Tansley avrebbe quindi giocato un ruolo cruciale nello sviluppo della moderna ecologia dei sistemi.[53] Levy, nei suoi The Universe of Science (1932) e A Philosophy for a Modern Man (1938), sviluppò la nozione di cambiamento di fase, insieme a una concezione unificata della teoria dei sistemi ancorata alla concezione storico-materialista.

Haldane fu sia lo scopritore, insieme al genetista sovietico A. I. Oparin, della moderna teoria materialista dell’origine della vita sulla Terra, sia una delle più importanti figure della moderna sintesi darwiniana, alla quale, in seguito, applicò le concezioni marxiane. Bernal, influenzato dalla dialettica della natura di Engels, sviluppò un’analisi della negazione della negazione nei processi materiali attraverso l’azione dei residui, che portano a nuove combinazioni e inediti sviluppi emergenti, rappresentando nuove forze qualitative. Hogben applicò il materialismo critico e il metodo dialettico per confutare le teorie genetiche alla base al razzismo biologico.[54] Tra le altre figure strettamente correlate vi sono: il critico letterario e scientifico Christopher Caudwell, che cercò di riunire la dialettica dell’arte e della scienza (e che morì combattendo nella guerra civile spagnola); lo storico della filosofia antica Benjamin Farrington, che si occupò della filosofia epicurea e del suo rapporto con il marxismo (ispirato in parte dalla dissertazione di Marx su Epicuro); e il romanziere, teorico culturale e poeta Jack Lindsay, che esplorò, con Marxism and Contemporary Science del 1949, i modi in cui sviluppare un ampio metodo dialettico ed emergentista che integrasse natura e società.[55]

Nonostante la soppressione dei meccanicisti e dei deboriniani avvenuta nel 1931, un lavoro importante continuava a essere portato avanti all’interno della filosofia sovietica, come testimoniato da A Textbook of Marxist Philosophy, elaborato dall’Istituto di Filosofia di Leningrado sotto la direzione di Mikhail Shirokov, e pubblicato in traduzione inglese nel 1937.[56] Quest’opera, che influenzò Needham, s’impegnava sia nella critica del meccanicismo (riduzionismo), che in quella del vitalismo (una concezione che presuppone una sorta di misteriosa forza vitale che si aggiunge alla realtà materiale, spiegando l’evoluzione).[57] A Textbook of Marxist Philosophy rappresentò un’eccezione per quei tempi, dal momento che si basava sul concetto di emergenza quale chiave della dialettica materialista. Come Shirokov scrisse in un passaggio poi messo in evidenza da Needham:

Un organismo vivente è qualcosa che sorge dalla materia inorganica. In esso, non è presente alcuna “forza vitale”. Se lo sottoponiamo a un’analisi puramente esteriore dei suoi elementi, non troveremo altro che processi fisico-chimici. Ma ciò non significa che la vita si riduca ad un singolo aggregato di questi elementi fisico-chimici. I processi fisico-chimici particolari sono connessi nell’organismo attraverso una nuova forma di movimento, ed è in questo che risiede la qualità di ciò che vive. Il nuovo, in un organismo vivente, non essendo attribuibile alla fisica e alla chimica, nasce come risultato della nuova sintesi, della nuova connessione dei movimenti fisici e chimici. Questo processo sintetico, per cui dal vecchio si passa all’emergere di ciò che è nuovo, non viene compreso né dai meccanicisti né dai vitalisti […]. Il compito di ogni scienza particolare è quello di studiare le uniche forme di movimento caratteristiche di un particolare grado di sviluppo della materia.[58]

Stando a Shirokov, nell’antica filosofia di Epicuro che aveva affascinato Marx, «l’emergenza è l’unione degli atomi; la sparizione è il loro separarsi». Ciò serviva a spiegare un processo di autogenerazione, «l’origine e lo sviluppo dell’universo, il movimento dell’anima umana, ecc.». Da qui è nata la visione materialista fondamentale. Nella dialettica materialista, c’è un «incessante emergere e annientarsi delle forme di [...] movimento», che continuano a riprodursi «in movimenti sempre nuovi e in qualità sempre nuove».[59]

Tuttavia, tutti questi progressi nella dialettica materialista e nelle scienze furono definitivamente interrotti nel 1938 con la pubblicazione dell’articolo di Stalin “Materialismo dialettico e materialismo storico”. Ciò che rimase della filosofia sovietica fu una presentazione formalistica e meccanicistica di rigide “leggi dialettiche” concepite come una visione del mondo, piuttosto che una filosofia critica. Fu questo a dare forma al contesto contro il quale i pensatori più creativi dovettero lavorare. Nonostante ciò, nella generazione successiva l’URSS produsse importanti filosofi dialettici, il più importante dei quali fu senz’altro Ėval’d Il’enkov, la cui logica dialettica era radicata non solo nelle tradizioni hegeliana e marxiana, ma anche nel pionieristico lavoro dello psicologo Lev Vygotskij, che sosteneva che le capacità cognitive umane, generalmente intese, fossero sostanzialmente il risultato dell’attività e della mediazione con l’ambiente sociale e culturale. La filosofia di Il’enkov era principalmente diretta a contestare, sulla base del materialismo dialettico, l’epistemologia dualistica dei “due mondi” dell’empirismo britannico, il cartesianismo e il neo-kantismo che dominavano la visione filosofica borghese.[60]

Il’enkov vedeva l’epistemologia di Marx come un’epistemologia in cui l’attività umana, o prassi, crea il mondo ideale del pensiero attraverso la produzione umana – vale a dire, attraverso i tentativi di trasformare il mondo.[61] Pertanto, esiste un’identità reale di umanità e natura alla base della conoscenza umana che è radicata nell’attività reale. L’“ideale”, secondo Il’enkov, non rappresenta qualcosa di distaccato, un’entità astratta, ma è la base delle concezioni, del sapere, delle informazioni che promanano dai processi dialettici degli incontri socio-umani con il mondo materiale, del quale gli stessi esseri umani sono una parte. La dialettica è quindi essa stessa una manifestazione di questa mediazione attiva con la totalità, che sorge «dal processo del metabolismo tra uomo e natura».[62] Tuttavia, nonostante la forza di questa analisi, o forse proprio a causa di essa, Il’enkov trovò resistenze alla pubblicazione delle sue opere. Alla sua morte, metà dei suoi manoscritti – tra cui la tanto celebrata Dialectics of the Ideal – giacevano sulla sua scrivania, non pubblicati.[63]

Nonostante l’epurazione di alcune figure di spicco, la scienza sovietica basata sull’analisi dialettica continuò a registrare notevoli sviluppi fino agli anni quaranta. Tra questi, in particolare, il concetto di biogeocenosi di Vladimir Nikolayevich Sukachev sviluppato nel suo lavoro sull’ecologia forestale, che rappresenta un concetto parallelo a quello di ecosistema, ma direttamente integrato con i cicli biogeochimici e con l’intera biosfera, nel senso dato da Vernadskij, che aprì la strada all’analisi dialettica del Sistema Terra.[64]

Ancora più importante fu il lavoro di I.I. Šmalʹgauzen, con il suo Factors of Evolution: The Theory of Stabilizing Selection, pubblicato in URSS nel 1947 e rapidamente tradotto in inglese nel 1949. Theodosius Dobzhansky definì Šmalʹgauzen «forse il più illustre tra i biologi viventi in URSS».[65] Šmalʹgauzen, come il genetista “rosso” britannico C. H. Waddington, sviluppò una teoria della “tripla elica” tra gene, organismo e ambiente, che offriva una visione dialettica, evolutiva ed ecologica, e che costituiva un’alternativa alla teoria di Lysenko, con la sua base antigenetica (o genetica anti-mendeliana). L’approccio dialettico di Šmalʹgauzen si manifestò con più chiarezza nella nozione di gerarchie o livelli integrativi che strutturano l’evoluzione biologica, e nell’ipotesi secondo cui i tratti genetici latenti e assimilati, accumulati durante lunghi periodi di selezione stabilizzante, emergono solo quando gli organismi affrontano gravi stress ambientali o vengono superate determinate soglie, dando luogo a un processo di rapido cambiamento.[66]

Seguendo Engels, Šmalʹgauzen considerava l’ereditarietà sia negativa dal punto di vista evolutivo, in quanto bloccava l’evoluzione storica degli organismi, sia positiva, dal momento che preservava l’organizzazione e creava nuove forme organizzative.[67] Secondo i biologi dialettici Lewontin e Levins, l’importanza di quella che divenne nota come legge di Šmalʹgauzen sulla selezione stabilizzante, sta nel fatto che essa indica che «quando gli organismi vivono entro il loro ambiente normale, le perturbazioni delle condizioni di vita e la più parte delle differenze genetiche tra gli individui hanno un effetto minimo o nullo sulla loro fisiologia e sul loro sviluppo, ma in condizioni di stress acuto o insolito, anche piccole differenze ambientali e genetiche producono effetti rilevanti». La conseguenza è che la normale evoluzione delle specie è caratterizzata da stabilizzazione inframezzata da periodi di rapida trasformazione durante i quali i tratti latenti vengono attivati in relazione allo stress ambientale.[68] Quando specifiche soglie vengono raggiunte, ciò che a volte sembra manifestarsi come un’ereditarietà dei caratteri acquisiti, di stampo lamarckiano, è in realtà un processo di «assimilazione genetica, il processo attraverso il quale le differenze genetiche latenti all’interno delle popolazioni sono rivelate ma non create dalle condizioni ambientali, e quindi diventano disponibili per la selezione».[69]

Factors of Evolution uscì nel 1948, appena prima del trionfo politico di Trofim Lysenko nei settori della biologia e agronomia sovietica. Poco dopo che il suo libro venne pubblicato, Šmalʹgauzen fu denunciato per aver promosso la genetica, nel suo lavoro sull’ecologia evolutiva, e negato l’eredità dei caratteri acquisiti di stampo lamarckiano. Di conseguenza, Šmalʹgauzen fu destituito dal suo incarico di direttore dell’Istituto per la Morfologia Evolutiva all’Accademia delle Scienze e di capo del Sottodipartimento di Darwinismo dell’Università di Mosca. La situazione si risolse solo alla morte di Stalin, nel 1953, quando Sukachev decise di combattere e destituire Lysenko. Fu così che Šmalʹgauzen poté riprendere la sua carriera.[70] Gli ultimi decenni dell’Unione Sovietica videro nuovi importanti sviluppi nel pensiero ambientale sovietico, tra cui l’introduzione del concetto di civiltà ecologica basato sul materialismo storico classico, che incorporava il concetto di metabolismo sociale di Marx.[71]

  La lotta per una dialettica critica della natura in Occidente

In Occidente, il marxismo fu teatro di lotte parallele che misero in discussione la tradizione filosofica dominante del marxismo occidentale. György Lukács, una presenza gigantesca, venne universalmente riconosciuto come l’iniziatore del marxismo occidentale quale tradizione teoretica distinta, in ragione di una breve nota a piè di pagina contenuta in Storia e coscienza di classe, in cui sollevava dubbi sull’argomentazione di Engels riguardo alla dialettica della natura.[72] Tuttavia, contrariamente al mito, in Storia e coscienza di classe Lukács non rifiutò del tutto la dialettica della natura, poiché in un capitolo successivo dell’opera fece riferimento, in modo simile a Engels, alla «dialettica della natura meramente oggettiva» dell’«osservatore distaccato».[73] Inoltre, molti anni dopo, nel suo manoscritto Tailism, precedentemente sconosciuto e solo di recente pubblicato, Lukács difese la nozione di “dialettica della natura” sulla base del concetto marxiano di metabolismo sociale, quale mediazione dialettica tra natura e umanità per mezzo dalla produzione.[74] Lukács lavorò sotto la direzione di David Riazanov all’Istituto Marx-Lenin nel 1930, aiutando a decifrare il testo di Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Questi manoscritti influenzarono notevolmente le sue analisi successive. Tale cambio di prospettiva venne messo in evidenza nella sua prefazione a Storia e coscienza di classe del 1967, e nel suo successivo Ontologia dell’essere sociale.[75] Quest’ultimo testo si basava sul concetto marxiano di metabolismo sociale visto come dialettica tra natura e società, invece di seguire espressamente l’impostazione engelsiana della dialettica della natura. Pur esaminando con grande profondità l’analisi del metabolismo presente in Il capitale, Lukács non affrontò la nozione marxiana di frattura metabolica, o crisi ecologica.[76] Tuttavia, l’ontologia socio-metabolica che egli derivò da Marx servì a indebolire ulteriormente la negazione della dialettica della natura all’interno del marxismo occidentale che Storia e coscienza di classe aveva ispirato. È significativo che l’opera successiva di Lukács sia stata in gran parte disconosciuta dalla tradizione del marxismo occidentale, diventando così invisibile che i riferimenti a lui lo identificano quasi esclusivamente con ciò che aveva scritto prima del 1923, escludendo, in gran parte, i quasi cinque decenni di lavoro che sarebbero seguiti.

Se la tradizione filosofica dominante nel marxismo occidentale è stata principalmente caratterizzata dal rifiuto della dialettica della natura, non tutti i filosofi marxisti occidentali erano d’accordo. L’importante filosofo marxista francese Henri Lefebvre pubblicò nel 1940 Il materialismo dialettico. In questo lavoro, Lefebvre sfidò l’interpretazione fornita nel «celebre capitolo teoretico nella Storia del Partito comunista in USSR» di Stalin, ristabilendo la dialettica della natura come prospettiva critica, rifiutando la visione semplicistica del materialismo dialettico derivato semplicemente da “leggi della natura” reificate, viste a prescindere dalla mediazione del pensiero autocosciente. Come scrisse Lefebvre: «È perfettamente possibile accettare e sostenere la tesi della dialettica della natura; ciò che è inammissibile è attribuirle un’importanza così enorme e farne il criterio e il fondamento del pensiero dialettico».

Un aspetto cruciale dell’argomentazione di Lefebvre era indirizzato al rifiuto del «marxismo istituzionale […] di sentir parlare di alienazione». Nella concezione di Lefebvre del materialismo dialettico, era necessario integrare la teoria marxiana dell’alienazione nella concezione generale del metabolismo della natura e della società. Egli si ispirò in ampia misura alla teoria dei sistemi dialettici di Levy, così come presentata in A Philosophy for a Modern Man, al fine di inquadrare la realtà dell’emergenza. «Il mondo dell’uomo», scrisse Lefebvre in un passaggio che prefigurava molto del suo pensiero successivo, «si mostra quale prodotto di emergenze, di forme (nel senso plastico della parola) e di ritmi generati in natura e lì consolidatisi solo in parte, anche se presuppongono il Divenire della Natura. C’è uno spazio umano e un tempo umano, un lato del quale è in Natura e l’altro è da essa indipendente».[77]

Il successivo lavoro di Lefebvre proseguì in direzione sempre più ecologica. Nei primi anni ’70, egli comincio a riflettere su ciò che è oggi noto come la teoria della frattura metabolica di Marx. Come scrisse in Il marxismo e la città, ispirandosi a Marx, la crescita della struttura urbana capitalista «disturba gli scambi organici tra uomo e natura. Distruggendo le circostanze che caratterizzano quel metabolismo, che ha avuto origine in modo puramente naturale e spontaneo, esso ne impone il ripristino sistematico come legge regolatrice della produzione sociale e in una forma adeguata al pieno sviluppo della razza umana […]. Il capitalismo distrugge la natura e rovina le sue stesse condizioni, preparando e annunciando la sua estinzione rivoluzionaria». Testimoniando una sorta di «reciproco degrado» dell’urbano e del rurale, della natura esterna e della società, proseguiva Lefebvre, «una natura in rovina crolla ai piedi di questa società superficialmente soddisfatta».[78]

Il 7 dicembre 1961, seimila persone accorsero all’auditorium di Parigi per ascoltare il dibattito dedicato al tema “La dialettica è solo una legge della storia o è anche una legge della natura?”. Dalla parte di chi rifiutava la dialettica della natura figuravano l’esistenzialista marxista Jean-Paul Sartre e il filosofo hegeliano di sinistra Jean Hyppolite; dalla parte di chi la difendeva c’erano invece il filosofo comunista francese Roger Garaudy e il celebre, giovane fisico Jean-Pierre Vigier. Sartre, Hippolyte e Garaudy avevano tutti scritto ampiamente sulla questione della dialettica della natura, mentre le opinioni di Vigier sul materialismo dialettico erano meno conosciute e si distinguevano perché direttamente collegate alla scienza naturale.

Vigier sosteneva che le concezioni proprie alla dialettica della natura precedevano di molto il materialismo storico, e potevano essere fatte risalire a centinaia e migliaia di anni prima. «Ogni giorno», disse, «la scienza verifica ulteriormente il profondo detto di Eraclito, che è alla base della dialettica: tutto scorre, tutto si trasforma, tutto è in movimento violento». Questo movimento dialettico è il prodotto dell’«assemblaggio di forze, che evolve per necessità lungo linee opposte, [e che] illustra la nozione di contraddizione». Inoltre, l’unità degli opposti, al centro della maggior parte delle concezioni della dialettica, deve essere «compresa come l’unità degli elementi di un livello che genera un fenomeno ad un livello superiore». Ciò è in accordo con la «rottura repentina» dell’equilibrio precedente e l’emergere di nuovi livelli integrativi e forme inedite, che costituiscono nuove “totalizzazioni” o “totalità parziali”. In questo senso, «i salti qualitativi della dialettica si manifestano proprio nelle zone di confine dove si passa da uno stato della materia ad un altro, per esempio dall’inorganico all’organico». In termini ecologici, il problema, come aveva sostenuto Bernal, consiste nel determinare l’«ordine di successione» derivante dal metabolismo, o scambio materiale, all’interno della natura (e della società). «La pratica stessa della scienza, il suo progresso, il modo in cui oggi è passata dall’analisi statica del mondo all’analisi dinamica del mondo, è ciò che sta progressivamente elaborando la dialettica della natura sotto i nostri occhi». Nella prospettiva di Vigier, «con Marx, la scienza fa irruzione nella filosofia».[79] Il lavoro di Vigier riflette il rapido sviluppo delle concezioni dialettiche della scienza nel ventesimo secolo, con l’ascesa della teoria dei sistemi, spesso intesa in termini dialettici, che supera i contributi delle scienze sociali dialettiche».[80]

  L’ecosocialismo e la dialettica dell’ecologia

Il 18 ottobre 1827, in un dialogo sulla dialettica con Hegel, Johann Wolfgang von Goethe disse: «sono certo che molti di coloro che si ammalano a causa della dialettica, guarirebbero per mezzo dello studio della natura». L’affermazione di Goethe ha senso solo se si considera la dialettica semplicemente come qualcosa di separato dalla natura, come il mero «spirito di contraddizione fatto sistema che ognuno di noi possiede dentro di sé», come Hegel la definì in quell’occasione.[81] Tuttavia, nella concezione idealista hegeliana – come in quella materialista classica marxiana – non può esserci una rigida separazione tra una dialettica della società e una dialettica della natura. Le nozioni di dialettica della natura e di forme organiciste del materialismo, precedono il marxismo di migliaia di anni (non solo nel lavoro degli antichi Greci, ma anche nella filosofia cinese, a partire dal Periodo degli Stati Combattenti durante la dinastia Zhou).[82] Tuttavia, il marxismo è stato in grado di elaborare nuovi strumenti di analisi dialettica per decifrare la società umana come forma emergente della natura che, nella sua forma alienata odierna, sta dirigendosi verso il proprio annientamento.

La critica e l’autocritica sono essenziali allo sviluppo della scienza. Nel caso del marxismo, ciò richiede che le contraddizioni e le divisioni che sorgono rispetto alla dialettica della natura – contraddizioni e divisioni che derivano in larga parte da realtà politiche – siano sanate entro una nuova sintesi di teoria e pratica. L’ecosocialismo, emerso per la prima volta come movimento teorico e politico definito, negli anni ’80, è maturato in questo secolo in larga parte grazie al recupero della teoria della frattura metabolica di Marx, che ha reso possibile una comprensione più completa delle crisi ecologiche del nostro tempo. Ma il materialismo ecologico non può progredire solo sulla base dell’ormai famosa analisi del metabolismo di Marx. Esso richiede il recupero e la ricostruzione della nozione di naturalismo dialettico del marxismo classico, che ha costituito il secondo fondamento del marxismo e ha giocato un ruolo cruciale nello sviluppo dell’ecologia critica a partire dai tardi anni Novanta e primi Duemila, sino ai giorni nostri. Ciò significa superare le scissioni sviluppatesi in seno al marxismo, in cui sia il marxismo sovietico che quello occidentale hanno ridotto la natura al positivismo negando la negazione della negazione.

Dal momento che la crisi ecologica ha posto in primo piano la questione della dialettica dell’ecologia, è significativo che una delle basi da cui nasce l’odierna critica ecosocialista/marxista ecologica sia la scienza naturale. Ciò è particolarmente evidente nel lavoro di figure come Levins, Lewontin e Stephen Jay Gould, che hanno portato avanti una critica dialettica della scienza riduzionista nel contesto dello sviluppo della relazione catastrofica tra capitalismo e ambiente. A ciò si aggiungeva la consapevolezza dell’indebolimento di gran parte della teoria marxiana dovuta all’abbandono della dialettica della natura. Levins si ispirò fin da giovane a figure come Marx, Engels, Lenin, Bernal, Needham, Haldane, Caudwell, Oparin, Šmalʹgauzen e Waddington. Egli fu esplicito sul fallimento della tradizione marxista occidentale nel tentativo di unificare la sua analisi con quella degli “scienziati rossi”, e quindi sulla sua incapacità di sviluppare un’analisi significativa della crisi ecologica.[83] Scrivendo in “A Science of Our Own” nella Monthly Review del 1986, affermava che:

In cerca di rispettabilità, molti marxisti occidentali europei, specialmente tra gli eurocomunisti, cercano di ridurre gli obiettivi del marxismo alla formulazione di un programma economico progressista. Di conseguenza essi rifiutano come “stalinismo” l’idea secondo cui il materialismo dialettico abbia qualcosa da dire sulla scienza naturale al di là di una critica del suo uso scorretto e della sua monopolizzazione […]. Sia i critici eurocomunisti del materialismo dialettico che i dogmatici [coloro i quali riducono il materialismo dialettico a mero formalismo], accettano una descrizione idealizzata della scienza».[84]

Un approccio marxista alla scienza, sosteneva Levins, richiede che il riconoscimento dell’importanza del materialismo dialettico critico nel combattere il riduzionismo e il positivismo, nonché l’attenzione a come la scienza stessa fosse stata spesso corrotta dal capitalismo, danneggiando la relazione dell’uomo con la terra. Levins e Lewontin pubblicarono il loro fondamentale lavoro, The Dialectical Biologist, nel 1985, recuperando il materialismo dialettico quale base di una critica del riduzionismo in biologia, ecologia e nella società. A ciò fece seguito, nel 2007, Biology under the influence, che proponeva un’ecologia dei sistemi dialettici. Uno dei punti chiave era che «le contraddizioni tra le forze sono ovunque presenti in natura, non solo nelle istituzioni sociali umane».[85]

Gould, come Levins e Lewontin, impiegò consapevolmente il metodo dialettico in tutto il suo lavoro sulla teoria evolutiva, concentrandosi in particolare su 1) l’«emergenza, o l’ingresso di nuove regole esplicative all’interno di sistemi complessi, leggi che sorgono da interazioni “non-lineari” o “non-adattative” tra le parti costituenti e che quindi, per principio, non possono essere scoperte a partire dalle proprietà delle parti considerate separatamente»; e 2) la contingenza, e ciò significa che i fenomeni in natura, in particolare quelli ai livelli emergenti superiori, devono essere esaminati storicamente.[86] Gould ammoniva che la Terra, come luogo di abitazione delle specie, si sarebbe ripresa in centinaia di milioni di anni dalle peggiori conseguenze prodotte dall’umanità riguardo a una guerra termonucleare globale (o al cambiamento climatico) – ma l’umanità stessa non ne sarebbe capace.[87] Levins, Lewontin e Gould respinsero alcune delle grossolanità proprie al diamat [materialismo dialettico n.d.r.] ufficiale elaborato dal pensiero sovietico, cercando di salvare la dialettica della natura perché cruciale non solo per la critica marxiana, ma per un orientamento teorico-pratico al mondo, nel suo complesso. Altri biologi dialettici, come John Vandermeer e Stuard A. Newman, seguirono la stessa tradizione.[88]

L’analisi delle due opere più importanti del corpus intellettuale di Marx, finora inedite, ha dato luogo ad importanti sviluppi della dialettica materialista nei due saggi pioneristici di István Mészáros, Marx’s Theory of Alienation (1971) e Oltre il capitale (1995). Mészáros era stato collega stretto di Lukàcs prima dell’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, che lo costrinse a fuggire dal paese. In Marx’s Theory of Alienation, Mészáros ha mostrato che la concezione ontologica di Marx nei Manoscritti economico-filosofici comprendeva sia l’alienazione del lavoro sia l’alienazione della natura, legate insieme nella nozione ontologica, elaborata da Marx, degli esseri umani come «esseri auto-medianti della natura» e la loro auto-alienazione nel capitalismo.[89] In Oltre il capitale, ispirato ai Grundrisse di Marx, egli sosteneva che la crisi ecologica planetaria è il prodotto dell’incapacità del capitalismo di accettare persino i limiti della terra stessa quali limiti all’accumulazione incontrollata, e che la crisi ecologica è quindi un aspetto centrale della crisi strutturale del capitale.[90] Utilizzando il concetto marxiano di metabolismo, Mészáros presentava il capitale come una forma alienata di riproduzione sociale metabolica, basata sulla mediazione di secondo ordine tra lavoro e natura. Questa analisi ha svolto un ruolo importante nello sviluppo del marxismo ecologico, mettendo in discussioni le rigide concezioni della dialettica di Marx e fornendo una teoria dei sistemi radicata in Marx che colmava il divario fra l’ecologico e il sociale e contribuiva a riunificare teoria e pratica rivoluzionarie, influenzando Hugo Chavez e la rivoluzione bolivariana in Venezuela.[91]

Un altro sviluppo fondamentale nel pensiero dialettico, capace di colmare il divario tra il rozzo formalismo del pensiero sovietico ufficiale e il marxismo occidentale, è stato fornito dalla filosofia dialettica critico-realista di Bhaskar, che ha cercato di rinnovare l’ontologia su basi materialiste/realiste reintegrando la questione del naturalismo nella filosofia marxiana e sviluppando, infine, un realismo critico dialettico. Rappresentava un attacco su tutta la linea sia al dualismo neo-kantiano, congiuntamente al dualismo dei due-mondi in generale, sia a ciò che Bhaskar chiamava «la fallacia epistemica», che aveva sussunto l’ontologia (la teoria della natura dell’essere) all’interno dell’epistemologia (la teoria della conoscenza). Queste tesi andavano di pari passo con il rifiuto di Bhaskar della «fallacia antropica», ovvero della «definizione dell’essere in termini di essere umano».[92]

Il lavoro di Bhaskar partiva da una base naturalista, realista e materialista, e, da lì, sviluppava sistematicamente un’ontologia dialettica tesa a una prassi trasformativa. In Dialectic: The Pulse of Freedom, questo portò ad un realismo critico dialettico che incorporava su più piani i tre principi ontologici di Engels della traformazione della quantità in qualità e viceversa, dell’unità degli opposti, e della negazione della negazione. Nell’analisi di Bhaskar, il primo di questi principi è rappresentato dalla dialettica dell’emergenza, il secondo dalla dialettica delle relazioni interne, e il terzo da ciò che Bhaskar chiamerà l’assentarsi dell’assenza, incorporando la realtà delle potenzialità e delle possibilità passate, presenti e future nella comprensione della dialettica della continuità e del cambiamento.[93]

Il naturalismo di Bhaskar, come quello di Marx ed Engels, lo porta, alla fine, ad interessarsi alla crisi ecologica. Come spiegò Bhaskar, «Il limite, sul piano degli scambi materiali con la natura» – il metabolismo sociale di Marx – «deriva dal fatto che gli esseri umani sono esseri naturali. La natura non è separata da noi; noi ne siamo parte. La distruzione della natura non è solo un omicidio ma un suicidio, e come tale dev’essere trattato». Da ciò, si può dedurre che «esiste un teorema di doppia impossibilità: non è possibile [in questa fase] la crescita e la vitalità ecologica, e poiché non è possibile un capitalismo senza crescita, non è nemmeno possibile avere una vitalità ecologica con il capitalismo».[94] Ne consegue che «a livello di transazioni materiali con la natura… è assolutamente indiscutibile che ciò di cui abbiamo bisogno, dal punto di vista del clima nel suo complesso, è una minore crescita, cioè una decrescita, e una decrescita accompagnata da una radicale ridistribuzione del reddito. … Questa idea di decrescita sarebbe associata all’idea di una semplificazione dell’esistenza sociale».[95] Per Bhaskar, non c’è mai stato alcun dubbio sulla necessità di una concezione della dialettica della natura, ma solo sulle concezioni attuali, inducendolo a sviluppare la sua ragione critica dialettica e, infine, a sostenere una prassi rivoluzionaria della decrescita.

La teoria della frattura metabolica di Marx, o la sua teoria della crisi ecologica, è stata pienamente recuperata solo nel ventunesimo secolo.[96] La sua  importanza deriva dalla concezione materialista dialettica del metabolismo alienato della natura e della società sotto il capitalismo, un sistema che sta ora sfruttando la popolazione mondiale come mai era accaduto prima, espropriando contemporaneamente la terra dalla quale l’umanità dipende. Questa è l’unica prospettiva critica che comprende pienamente sia la dimensione sociale che quella extraumana della crisi ecologica, guardando le contraddizioni di classe ed ecologiche del capitalismo come due facce di una stessa dinamica. Il metabolismo sociale rappresentato dalla produzione, media la relazione materiale dell’umanità con i sistemi ecologici, a partire dagli ecosistemi locali sino al sistema Terra.

Ciò è in sintonia con la stessa scienza del sistema Terra, che si concentra sulla distruzione del metabolismo del sistema Terra, la quale produce una frattura antropogenica nei cicli biogeochimici del pianeta, creando l’attuale crisi di abitabilità. Il risultato di questo recupero della teoria della frattura metabolica di Marx è stata una formidabile serie di esplorazioni delle dimensioni sociali della crisi del sistema Terra, che vanno dal metabolismo del suolo al clima all’analisi del sistema Terra.[97] Tuttavia, la concezione della frattura metabolica di Marx è veramente utile solo nella misura in cui ci fornisce una comprensione più efficace del metabolismo sociale degli esseri umani e della Terra in tutta la sua complessità, come parte di una dialettica materialista complessiva. Per questo è necessaria sia una dialettica della società sia una dialettica della natura, che costituisca la base di una nuova prassi ambientale globale.

Oggi, il mondo si trova di fronte a due tendenze opposte. Una è il tentativo di accelerazione del capitale attraverso la finanziarizzazione della natura basata sulle forze del mercato e associata ai processi di cosiddetta decarbonizzazione e dematerializzazione. L’obiettivo in questo caso consiste nel sussumere il mondo all’interno della logica astratta del denaro come sostituto dell’esistenza reale, una logica alienata che può solo portare al disastro totale, alla sterile negazione dell’umanità stessa. L’altra è la lotta emergente per la decrescita pianificata e lo sviluppo umano sostenibile, che mira a spostare il potere dal capitale globale ai lavoratori e alle loro comunità in tutto il pianeta, rappresentando il potenziale nuovo potere di un proletariato ambientale emergente. Ciò richiede la fusione delle lotte economiche e ambientali delle popolazioni sfruttate ed espropriate di tutto il mondo in una nuova e più ampia forma di cooperazione. Le persone che vivono alla base di questo sistema sono spinte a difendere non solo il loro lavoro, ma anche i loro ambienti e le loro comunità e, di fatto, l’abitabilità del pianeta stesso, concepito come casa per l’umanità e per tutte le altre specie. Per far ciò, tuttavia, abbiamo bisogno di una nuova e rivoluzionaria dialettica dell’ecologia.

Note

[1] Denis Diderot, Rameau’s Nephew and D’Alembert’s Dream, Penguin, Londra, 1966, p. 181.

[2] Richard Lewontin e Richard Levins, Biology Under the Influence, Monthly Review Press, New York, 2007, pp. 185–86, e 110.

[3] Dipesh Chakrabarty, The Climate of History in a Planetary Age, University of Chicago Press, Chicago, 2021, pp. 173, 205.

[4] Karl Marx, Capital, vol. 1, Penguin, Londra, 1976, p. 283; Karl Marx, Critique of the Gotha Programme, International Publishers, New York, 1938, p. 2; Karl Marx, Early Writings, Penguin, Londra, 1974, p. 328.

[5] Karl Marx e Friedrich Engels, Collected Works, vol. 5, International Publishers, New York, 1975, p. 28.

[6] Marx,Capital, vol. 1, p. 283.

[7] Marx, Capital, vol. 1, p. 637.

[8] Clive Hamilton e Jacques Grinevald, “Was the Anthropocene Anticipated?” Anthropocene Review 2, no. 1, 2015, pp. 6–7; Marx e Engels, Collected Works, pp. 25, 461.

[9] Karl Marx, Grundrisse, Penguin,Londra, 1973, p. 162; Marx, Early Writings, pp. 389–90.

[10] Marx e Engels, Collected Works, pp. 30, 62–63.

[11] Marx e Engels, Collected Works, pp. 5, 28.

[12] Corrina Lotz, “Review of John Bellamy Foster’s The Return of Nature,” Marx and Philosophy, December 16, 2020; Marx e Engels, Collected Works, pp. 25, 123; Evald Ilyenkov, Intelligent Materialism, Haymarket, Chicago, 2018, p. 27; Immanuel Kant, Critique of Pure Reason, Cambridge University Press, Cambridge, 1997, p. 304.

[13] Marx e Engels, Collected Works, 1, pp. 30, 102, 407–9; Benjamin Farrington, The Faith of Epicurus, Weidenfeld and Nicolson, Londra, 1967.

[14] William Leiss, The Domination of Nature, Beacon, Boston, 1974.

[15] Marx e Engels, Collected Works, pp. 25, 460–61.

[16] Karl Marx e Friedrich Engels, The Communist Manifesto Monthly Review Press, New York, 1964, p. 2.

[17] Joseph Dietzgen, “Excursions of a Socialist in the Domain of Philosophy,” in Philosophical Essays, 1887; repr., Charles H. Kerr, Chicago, 1912, p. 293; Georgij Plekhanov, Selected Philosophical Works, 1, Progress Publishers, Mosca, 1974, p. 421.

[18] I. Lenin, “On the Significance of Militant Materialism,” in Yehoshua Yakhot, The Suppression of Philosophy in the USSR, Mehring, Oak Park, Michigan, 2012, pp. 233–40.

[19] Marx e Engels, Collected Works, pp. 25, 110–32, 492–502, 606–8.

[20] Marx e Engels, Collected Works, pp. 25, 117; Marx, Il Capitale, vol. 1, p. 443.

[21] Marx e Engels, Collected Works, pp. 25, 313; István Mészáros, Marx’s Theory of Alienation, Merlin, Londra, 1975, p. 12.

[22] I. Lenin, Collected Works, vol. 38, Progress Publishers, Mosca, 1961, pp. 227–31.

[23] Lenin, Collected Works, pp. 38, 226; Mikhail Shirokov, A Textbook on Marxist Philosophy, ed. John Lewis, Left Book Club, Londra, 1937, pp. 364–68. Sull’interpretazione restrittiva della dialettica di Lenin, in quanto limitata rispetto alla dialettica di Engels, si veda Z. A. Jordan, The Evolution of Dialectical Materialism, Macmillan, Londra, 1967, pp. 226–27.

[24] Yakhot, The Suppression of Philosophy in the USSR, pp. 21–41.

[25] Historical Materialism di Bucharin si basava su una teoria meccanicistica dell’equilibrio. Successivamente cercò di sviluppare un approccio dialettico alla filosofia e alla scienza, trascendendo per molti versi i dibattiti del suo tempo. Il suo ultimo sforzo in questo senso, Philosophical Arabesques, che si occupava di concezioni ecologiche, fu scritto nel 1937 in prigione prima della sua esecuzione nel 1938; il manoscritto rimase a lungo nella cassaforte di Stalin e fu rilasciato a Stephen Cohen solo nell’era Gorbaciov. Vedi Nikolaj Bukharin, Philosophical Arabesques, Monthly Review Press, New York, 2005.

[26] Alex Levant, “Evald Ilyenkov and Creative Soviet Marxism,” in Dialectics of the Ideal: Evald Ilyenkov and Creative Soviet Marxism, Alex Levant and Vesa Oittinen, Haymarket, Chicago, 2014, pp. 12–13.

[27] David Bakhurst, Consciousness and Revolution in Soviet Philosophy: From the Bolsheviks to Evald Ilyenkov, Cambridge University Press, Cambridge, 1991, pp. 34–41; Yakhot, The Suppression of Soviet Philosophy in the USSR, pp. 22–26.

[28] Marx e Engels, Collected Works, pp. 25, 527.

[29] Yakhot, The Suppression of Philosophy in the USSR, pp. 29–30.

[30] William Seager, “A Brief History of the Philosophical Problem of Consciousness,” in The Cambridge Handbook of Consciousness, Philip David Zelazo, Morris Moscovitch, e Evan Thompson, Cambridge University Press, Cambridge, 2007, pp. 23, 27. Vedi inoltre Georgij Plekhanov, “Marx,” in Essays on the History of Materialism, marxists.org.

[31] Bakhurst, Consciousness and Revolution in Soviet Philosophy: From the Bolsheviks to Evald Ilyenkov;

[32] Yakhot, The Suppression of Soviet Philosophy in the USSR, pp. 43–76; Bakhurst, Consciousness and Revolution in Soviet Philosophy, pp. 47–51; George Kline, introduzione a Spinoza in Soviet Philosophy, George Kline, Routledge, Londra, 1952, pp. 15–18; Helena Sheehan, Marxism and the Philosophy of Science, Humanities Press, Atlantic Highlands, 1985, pp. 191–96; I. I. Rubin, Essays in Marx’s Theory of Value, Aakar, Delhi, 2008. Vale la pena notare che György Lukács, che nel 1930 si trovava in Unione Sovietica per lavorare sotto la guida di David Rjazanov, all’epoca non aveva molta simpatia per i deboriniani, ritenendo corrette alcune delle critiche mosse nei loro confronti.  György Lukács, “Interview: Lukács and His Work,” New Left Review 68 (July–August 1971), p. 57.

[33] Josif Stalin, “Dialectical and Historical Materialism,” in History of the Communist Party of the Soviet Union—Bolshevik: Short Course, Communist Party of the USSR, Foreign Languages Press, Mosca, 1951, pp. 165–206.

[34] A. Jordan, The Evolution of Dialectical Materialism, Macmillan, Londra, 1967, p. 252.

[35] Mario Livio, “Did Galileo Truly Say ‘and Yet It Moves’?,” Scientific American (blog), May 6, 2020, blogs.scientificamerican.com.

[36] Karl Jacoby, “Western Marxism,” in A Dictionary of Marxist Thought, Tom Bottomore, Blackwell, Oxford, 1983, pp. 523–26; John Bellamy Foster, The Return of Nature, Monthly Review Press, New York, 2020, pp. 16–21.

[37] Herbert Marcuse, Soviet Marxism, Columbia, University Press, New York, 1958, pp. 143–45; Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi, Torino, 2004; Lucio Coletti, Il marxismo e Hegel, Laterza, Bari, 1969.

[38] Adorno, Dialettica negativa, p. 3; Robert Lanning, In the Hotel Abyss: An Hegelian-Marxist Critique of Adorno, Brill, Leida, 2014, p. 174. Le contraddizioni e i limiti di una concezione esclusivamente idealista della dialettica «non cambiano di fatto», scrive Ilyenkov, «se la priorità viene posta sul “negativo”, mentre i “successi e le conquiste” vengono ignorati come fanno oggi i lontani discendenti di Hegel come Adorno o Marcuse». Questo cambiamento di priorità non rende la dialettica più materialista. La dialettica comincia ad assomigliare più all’inganno di Mefistofele, alla diabolica cassetta degli attrezzi per la distruzione di tutte le speranze umane. Ilyenkov, Intelligent Materialism, p. 50.

[39] Ironicamente, il passo di Marx più citato a difesa di questa interpretazione terminava non con il dominio della natura come se fosse un nemico estraneo, ma piuttosto con la razionale regolazione del metabolismo sociale tra umanità e natura da parte dei produttori associati, in linea con la conservazione delle loro energie e lo sviluppo delle capacità umane: un modello di sviluppo umano sostenibile. Karl Marx, Il Capitale, vol. 3, Penguin, Londra,1981, p. 959.

[40] Adorno, Dialettica negativa, pp. 218; Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialectic of Enlightenment, Continuum, New York, 1944, p. 254; Alfred Schmidt, The Concept of Nature in Marx, New Left Books, Londra, 1971, p. 156; John Bellamy Foster e Brett Clark, The Robbery of Nature, Monthly Review Press, 2020, p. 196.

[41] Alfred Schmidt, The Concept of Nature in Marx, Verso, Londra, 1971, pp. 164–66, 175–76, 195. Il rovesciamento di Schmidt fu una diretta conseguenza al famoso dibattito svoltosi in Francia tra Jean Hippolyte e Jean-Paul Sartre, come critici della dialettica della natura, e Roger Garaudy e Jean-Pierre Vigier come suoi difensori. Schmidt si schierò chiaramente con Hippolyte e Sartre, prendendo le distanze dalle sue precedenti posizioni.

[42] Vedi Sebastiano Timpanaro, Sul Materialismo, Milano, 2003.

[43] Perry Anderson, Considerations on Western Marxism, Verso, Londra, 1976, p. 59, [trad. italiana: Il dibattito nel marxismo occidentale, Laterza, Bari, 1977]

[44] Perry Anderson, In the Tracks of Historical Materialism, Verso, Londra, 1983, p. 83.

[45] Roy Bhaskar, Reclaiming Reality, Routledge, Londra, 2011, p. 122.

[46] Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach and the Outcome of Classical German Philosophy, International Publishers, New York, 1941, p. 59.

[47] I. Bukharin et al., Science at the Crossroads, Frank Cass and Co., Londra, 1971, p. 7; Foster, The Return of Nature, pp. 358–73; Sheehan, Marxism and the Philosophy of Science, pp. 206–9.

[48] Zavadovsky, “The ‘Physical’ and the ‘Biological’ in the Process of Organic Evolution,” in Science at the Crossroads, pp. 75–76. La traduzione si attiene alla versione di Needham, che sostituisce different con varied. Joseph Needham, Time: The Refreshing River, George Allen and Unwin, Londra, 1943, pp. 243–44; Joseph Needham, Order and Life, MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 1968, pp. 45–46; Richard Levins e Richard Lewontin, The Dialectical Biologist, Massachusetts: Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1985, p. 180.

[49] Needham, Order and Life, pp. 44–48.

[50] Joseph Needham, prefazione a Marcel Prenant, Biology and Marxism, International Publishers, New York, 1943, p. v.

[51] Foster, The Return of Nature, pp. 24–72.

[52] Peter Ayres, Shaping Ecology: The Life of Arthur Tansley, Wiley- Blackwell, Oxford, 2012, p. 43.

[53] Foster, The Return of Nature, pp. 300–57.

[54] Foster, The Return of Nature, pp. 337–39, 350–51, 390, 475, 367–412.

[55] Foster, The Return of Nature, pp. 417–56, 526–29; J. D. Bernal, “Dialectical Materialism,” in Farrington, The Faith of Epicurus; Jack Lindsay, Marxism and Contemporary Science, Dennis Dobson, Londra, 1949.

[56] Shirokov, A Textbook of Marxist Philosophy, ed. John Lewis, Left Book Club, Londra, 1937.

[57] Needham, Time,

[58] Shirokov, A Textbook of Marxist Philosophy, p. 341, la sottolineatura della parola emergence, come tutte le altre nel testo, sono presenti nell’originale. La differenza tra il testo di Shirokov del 1931 e il punto di vista ufficiale proposto da Stalin nel 1938 con “Materialismo dialettico e materialismo storico” è evidente dal fatto che la quarta parte del testo di Shirokov, dedicata alla “negazione della negazione”, è del tutto esclusa dal testo di Stalin.

[59] Shirokov, A Textbook of Marxist Philosophy, pp. 137, 328. Sull’epicureismo e l’emergenza vedi A. A. Long, From Epicurus to Epictetus, Oxford University Press, Oxford, 2006, p.155–77; A. A. Long, “Evolution vs. Intelligent Design in Classical Antiquity,” Berkeley Townsend Center, November 2006; John Bellamy Foster, Brett Clark, e Richard York, Critique of Intelligent Design, Monthly Review Press, New York, 2008, pp. 49–64.

[60] Bakhurst, Consciousness and Revolution in Soviet Philosophy, pp. 17–22, 236–43.

[61] Bakhurst, Consciousness and Revolution in Soviet Philosophy, pp. 111–16, 236–43.

[62] Evald Ilyenkov, Dialectics of the Ideal, Haymarket, Chicago, 2014, p. 78.

[63] Andrey Maidansky intervistato da Vesa Oittinen, “Evald Ilyenkov and Soviet Philosophy,” Monthly Review 71, no. 8, gennaio 2020, p. 16.

[64] John Bellamy Foster, Capitalism in the Anthropocene, Monthly Review Press, New York, 2022, pp. 316–23; V. N. Sukachev e N. Dylis, Fundamentals of Forest Biogeocoenology, Oliver and Boyd, Londra, 1964; V. N. Sukachev, “Relationship of Biogeocoenosis, Ecosystem, and Facies,” Soviet Soil Scientist 6, 1960, pp. 580–81; Levins e Lewontin, The Dialectical Biologist,

[65] Theodosius Dobzhansky, 1949, prefazione a I. I. Schmalhausen, Factors of Evolution: The Theory of Stabilizing Selection, University of Chicago Press, Chicago, 1949, 1986, pp. xv–xvii.

[66] David B. Wade, 1986, prefazione a Factors of Evolution, pp. v–xii; Lewontin e Levins, Biology Under the Influence, pp. 75–80. Il termine triple helix [Tripla elica] è tratto da Richard Lewontin, The Triple Helix: Gene, Organism and Environment, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 2000.

[67] Schmalhausen, Factors of Evolution, pp. xix; Marx e Engels, Collected Works, 25, pp. 492.

[68] Lewontin e Levins, Biology Under the Influence, p. 77; “Macroevolution,” New World Encyclopedia, newworldencyclopedia.org; Levins e Lewontin, The Dialectical Biologist,

[69] Lewontin e Levins, The Dialectical Biologist,

[70] Georgy S. Levit, Uwe Hossfeld e Lennart Olsson, “From the ‘Modern Synthesis’ to Cybernetics: Ivan Ivanovich Schmalhausen (1884–1963) and his Research Program for a Synthesis of Evolutionary and Developmental Biology,” Journal of Experimental Zoology 306B, 2005, pp. 89–106; Foster, Capitalism and the Anthropocene, pp. 323–24.

[71] D. Ursul, ed., Philosophy and the Ecological Problems of Civilisation, Progress Publishers, Mosca, 1983); Foster, Capitalism in the Anthropocene, pp. 331–32, 449–51.

[72] György Lukács, History and Class Consciousness, Pluto, Londra, p. 24. Nel pensiero marxista occidentale è diventato consueto riferirsi alla nota di Lukács come a una “critica”. Ma anche considerando il diffuso annacquamento della nozione di critica, non si può certo dire che una critica di Engels sulla dialettica della natura possa essere svolta, anche da Lukács, in quelle che in inglese sono solo 110 parole.

[73] Lukács, History and Class Consciousness, p. 207; Marx e Engels, Collected Works, pp. 25, 492.

[74] György Lukács, A Defense of History and Class Consciousness: Tailism and the Dialectic, Verso, Londra, 2000, pp. 102–7; Foster, The Return of Nature, pp. 16–20.

[75] Lukács, History and Class Consciousness, pp. xvii; Lukács, “Interview: Lukács and His Work,” pp. 56–57. Rjazanov fu epurato dalla sua posizione nel 1931 e giustiziato nel 1938.

[76] György Lukács, The Ontology of Social Being 2: Marx’s Basic Ontological Principles, Merlin, Londra, 1978), p. 95; György Lukács, The Ontology of Social Labour 3: Labour, Merlin, Londra, 1980.

[77] Henri Lefebvre, Dialectical Materialism, Jonathan Cape,Londra, 1968, pp. 13–19, 142.

[78] Henri Lefebvre, Marxist Thought and the City, University of Minnesota Press, Minneapolis, 2016, pp. 121–22, 140; Marx, Capital, vol. 1, pp. 637–38; John Bellamy Foster, Brian M. Napoletano, Brett Clark e Pedro S. Urquijo, “Henri Lefebvre’s Marxian Ecological Critique,” Environmental Sociology 6, no. 1, 2019, pp. 31–41.

[79] Jean-Pierre Vigier, “Dialectics and Natural Science,” in Existentialism Versus Marxism, George Novack, Dell, New York, 1966, pp. 243–57. Nel suo testo, Vigier ha criticato “Materialismo dialettico e materialismo storico” di Stalin definendolo “dogmatico e meccanicistico”, p. 151.

[80] Carles Soriano, “Epistemological Limitations of Earth System Science to Confront the Anthropocene Crisis,” Anthropocene Review 9, no. 1, 2020, pp. 112, 122.

[81] Johann Wolfgang von Goethe e G. W. F. Hegel, citati da Johann Peter Eckermann, Conversations with Goethe, Penguin, Londra, 2022, p p.559–60.

[82] Joseph Needham, Within Four Seas: The Dialogue of East and West, University of Toronto Press, Toronto, 1969, pp. 27, 97.

[83] Richard Levins, “Touch Red,” in Red Diapers: Growing Up in the Communist Left, Judy Kaplan and Linn Shapiro University of Illinois Press, Urbana, 1998, p. 264; Lewontin e Levins, Biology Under the Influence, pp. 366–67.

[84] Richard Levins, “Science of Our Own: Marxism and Nature,” Monthly Review 38, no. 3, luglio agosto 1986, p. 5.

[85] Levins e Lewontin, The Dialectical Biologist, p. 279; Lewontin e Levins, Biology Under the Influence.

[86] Stephen Jay Gould, The Hedgehog, the Fox, and the Magister’s Pox, Harmony, New York, 2003, pp. 201–3; Richard York e Brett Clark, The Science and Humanism of Stephen Jay Gould, Monthly Review Press, New York, 2011, pp. 95–96.

[87] Stephen Jay Gould intervistato da Wim Kayzer, A Glorious Accident, W. H. Freeman, New York, 1997, pp. 83, 99–100, 104.

[88] John Vandermeer e Ivette Perfecto, Ecological Complexity and Agroecology, Routledge, Londra, 2018; John Vandermeer, “Ecology on the Heels of the Darwinian Revolution: Historical Reflections on the Dialectics of Ecology,” in Science with Passion and a Moral Compass: A Symposium Honoring John Vandermeer, Publication no. 1, Ecology and Evolutionary Biology, University of Michigan, Ann Arbor, 2020; John Vandermeer, “Objects of Intellectual Interest Have Real Impacts: The Ecology (and More) of Richard Levins,” in The Truth Is the Whole: Essays in Honor of Richard Levins, Tamara Awerbuch, Maynard S. Clark e Peter J. Taylor, Pumping Station, Arlington, Massachusetts, 2018, pp.  1–7; Stuart A. Newman, “Marxism and the New Materialism,” Marxism and the Sciences 1, no. 2, estate 2022, pp. 1–12.

[89] Mészáros, Marx’s Theory of Alienation, pp. 162–64.

[90] István Mészáros, Beyond Capital, Monthly Review Press, New York, 1995, pp. 170–77, 874–77.

[91] István Mészáros, The Necessity of Social Control, Monthly Review Press, New York, 2015; John Bellamy Foster, “Mészáros and Chávez: ‘The Point from Which to Move the World Today,’” Monthly Review 74, no. 2, giugno 2022, pp. 26–31.

[92] Roy Bhaskar, Plato Etc., Verso, Londra, 1994, pp. 251, 253.

[93] Roy Bhaskar, Dialectic: The Pulse of Freedom, Verso, Londra, 1993, pp. 150–52.

[94] Roy Bhaskar, “Critical Realism in Resonance with Nordic Ecophilosophy,” in Ecophilosophy in a World of Crisis, Roy Bhaskar, Karl Georg Hoyer e Peter Naess, Routledge, Londra, 2012, pp. 21–22.

[95] Roy Bhaskar, The Order of Natural Necessity, Gary Hawke, 2017, p. 146.

[96] I due lavori che hanno dato il via a questa analisi sono stati entrambi pubblicati nel 1999: Paul Burkett, Marx and Nature, Haymarket, Chicago, 1999, 2014; John Bellamy Foster, “Marx’s Theory of Metabolic Rift,” American Journal of Sociology 105, no. 2, settembre 1999, pp. 366–405.

[97] I principali contributi della teoria della frattura metabolica sono troppo numerosi per essere enumerati in questa sede. Tra i lavori più importanti, legati soprattutto alla dialettica della natura, ricordiamo: John Bellamy Foster, Marx’s Ecology, Monthly Review Press, New York, 2000); John Bellamy Foster, Brett Clark, e Richard York, The Ecological Rift. Monthly Review Press, New York, 2010; Ian Angus, Facing the Anthropocene, Monthly Review Press, New York, 2016, trad. it. Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema TerraAsterios, Trieste, 2020; John Bellamy Foster e Paul Burkett, Marx and the Earth, Haymarket, Chicago, 2016; Kohei Saito, Karl Marx’s Ecosocialism, Monthly Review Press, New York, 2017, trad. it. L’ecosocialismo di Karl Marx, Castelvecchi, Roma, 2023; Fred Magdoff e Chris Williams, Creating an Ecological Society, Monthly Review Press, New York, 2017; Stefano Longo, Rebecca Clausen e Brett Clark, The Tragedy of the Commodity: Oceans, Fisheries, and Aquaculture, Rutgers University Press, New Brunswick, New Jersey, 2015; Carles Soriano, “Capitalocene, Anthropocene, and Other‘-Cenes,’” Monthly Review 74, no. 6, novembre 2022, pp. 1–29; trad. it. Antropocene, Capitalocene e altri “-cene”, Antropocene.org, 04.12.2022; e Foster e Clark, The Robbery of NatureCapitalism and the Ecological Rift, Monthly Review Press, New York, 2020.

John Bellamy Foster

Traduzione e revisione di Giovanni Fava e Walter Dal Cin

Fonte: Monthly Review, vol. 75, n. 08 (01.01.2024)


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