Francia: la mobilitazione continua

Francia: la mobilitazione continua

 

Sergio Dalmasso 

Giovedì 14 aprile: dodicesima giornata di mobilitazione sindacale contro i provvedimenti del governo Borne (presidenza Macron) che modificano il regime pensionistico.

Nonostante un calo nella percentuale di scioperanti (molti giorni di assenza pesano sulla busta paga), la presenza nelle piazze è stata consistente, con buona presenza anche di giovani (licei e università).

Oltre alla protesta sulle pensioni (ci levano due anni di vita per regalarli al padronato), incide sulla protesta il problema del caro vita. I prezzi sono saliti molto più di salari e stipendi, l’aumento dei prodotti alimentari incide sui consumi di base, i supermarket denuciano l’aumento di piccoli furti, la carenza di abitazioni e il loro stato sono denunciati da sindacati e associazioni (a cominciare dalla fondazione dell’Abbé Pierre).

L’unità sindacale tiene. Nonostante da mesi, i media sostengano che le prospettive di CGT, Force ouvrière e CFDT divergeranno, le iniziative sono decise in accordo e comune è l’atteggiamento verso il governo: non si tratta se la legge sulle pensioni non verrà ritirata.

Oltre al contenuto (aumento di due anni, da 62 a 64 e abolizione della più parte dei regimi speciali), è sotto accusa l’atteggiamento autoritario di Macron e Borne. Mancando una maggioranza parlamentare, questi hanno fatto ricorso all’articolo 49/3, per cui la legge passa senza voto alle Camere. E’ netta la contrapposizione tra l’esecutivo e l’opinione pubblica. L’indice di popolarità del presidente è ai minimi storici. La legge è avversata (in tutti i sondaggi) dal 70% della popolazione (circa il 90% fra gli occupati).

La tesi per cui Macron ha avuto l’investitura popolare con il voto alle presidenziali, pertanto ha diritto di mettere in atto il proprio programma, è sempre più contraddetta. Si allarga il divario paese legale/paese reale, emergono i limiti democratici della quinta repubblica, di origine gaullista, basata sul presidenzialismo e su rapporti verticistici. Già il movimento dei gilets gialli  aveva posto il tema della ricerca di forme di democrazia diretta (oltre all’affievolirsi del “clivage” destra/sinistra).

Venerdì 15:  il Consiglio costituzionale riconosce, nella quasi totalità, la legittimità costituzionale della legge. Forti le polemiche: il Consiglio (nove componenti nominati dal Presidente della repubblica e da quelli di Camera e Senato) avrebbe agito secondo logica politica, non ha dimostrato imparzialità, è totalmente sconnesso rispetto alla volontà popolare.

Manifestazioni in ogni città.

Il governo gongola e vara immediatamente la legge che entrerà in vigore il 1 settembre. Confida in un calo della spinta sindacale e insiste sul rischio di derive violentiste. Macron è arrivato a paragonare il movimento francese a quelli di Bolsonaro e di Capitol Hill, il ministro dll’interno Darmanin ha usato toni di estrema destra parlando di migliaia di militanti dell’ultra sinistra e della sinistra radicale che vogliono colpire le forze di polizia e le istituzioni repubblicane.

I sindacati chiamano ad una mobilitazione di massa (famiglie, bambini, anziani…), il 1 maggio e decidono forme articolate di lotta.

Il segretario della CFDT (storia simile alla nostra CISL) denuncia il rischio di emergenza democratica che nascerebbe dall’emergenza sociale ed economica.

 

Può sembrare paradossale, ma non lo è, il fatto che davanti alla maggiore protesta sociale, dopo quella del maggio 1968, tutti i sondaggi elettorali vedano una forte crescita dell’estrema destra. Tutti gli scenari, ipotizzati da tutti gli istituti, danno Marine Le Pen vincitrice in caso di presidenziali.

La scommessa di Macron di superare le tradizionali differenze fra i due poli politici, di dare vita ad una formazione che svuoti i due campi sta rivelandosi un bluff che apre vuoti su cui il populismo di destra (si pensi ai governi “tecnici” in Italia) si inserisce e vince.

La NUPES ha raddoppiato, alle ultime elezioni, la presenza parlamentare, ma l’accordo non va al di là della fase elettorale. Contrasti tra i socialisti, gli ecologisti hanno difficoltà ad abbandonare la propria identità all’interno di una sinistra larga; lo stesso Melenchon subisce contestazioni all’interno della France insoumise.

Il congresso nazionale del PCF  vede la riconferma del segretario uscente Fabien Roussel (2,5% alle ultime presidenziali) che propone un nuovo Fronte popolare, ritenendo insufficiente lo spazio attualmente coperto dalla NUPES. Lieve calo negli iscritti, ma il partito mantiene insediamento territoriale, una discreta presenza istituzionale, è in leggera crescita fra i giovani, si sta “femminilizzando” (conferenza annuale sul tema). Il segretario, per linguaggio e comportamenti, ha discreta popolarità e presenza mediatica.

Netta la critica alla politica putiniana, apertura alle tematiche ambientali (nonostante la contraddizione sul nucleare), apertura culturale e abbandono di tradizionali riferimenti teorici:

Più di trent’anni dopo la sua caduta, lo stalinismo continua a pesare sul progetto comunista e ad occultare i suoi reali obiettivi. Quanti sanno realmente che l’ambizione del PCF, riformulata costantemente in questi ultimi cinquant’anni, è oggi anni luce lontana da questo controsenso umano e storico? (“L’Umanité, 11 aprile 2023).

La minoranza interna (18%) è guidata dall’ex segretario Pierre Laurent che giudica astratta la proposta di superamento della NUPES, di cui occorre affrontare i limiti sena rincorrere l’ala destra dei socialisti.

Cambiamenti all’interno della CGT. Dopo due mandati, lascia il segretario Philippe Martinez. A sorpresa, viene eletta Sophie Binet, 40 anni, un passato nel sindacato studentesco UNEF, proviente dal mondo della scuola, quadro professionale. Molto attenta ai temi del femminismo e dell’ecologia, segna un salto generazionale molto forte nella CGT (si parla di malumore nel forte sindacato ferrovieri). Tra i commenti, quello per cui la CGT, con lei, entra nel ventunesimo secolo.

Nette le prime scelte: continuazione della mobilitazione, nessun accordo con il governo se la legge non verrà ritirata, unità nell’Intersindacale, maggior presenza femminile.

E’ chiaro, senza usare formule retoriche, che la tenuta del movimento sociale francese abbia una dimensione ed una importanza che tocca l’Europa intera, a cominciare dalla stagnante situazione italiana.


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