Aldo Tortorella: Restaurazione dall’alto

Aldo Tortorella: Restaurazione dall’alto

Dal nuovo numero della rivista CRITICA MARXISTA vi proponiamo l’editoriale di apertura di Aldo Tortorella.

Ripubblichiamo in questo numero gli articoli sul fascismo di due autori – Valentino Gerratana e Franco De Felice – cui debbono molto gli studi marxiani, l’esegesi gramsciana e la discussione filosofica e storica del secondo Novecento. A Gerratana, partigiano, filosofo, curatore dell’edizione critica dei Quaderni del carcere di Gramsci, dobbiamo anche una particolare riconoscenza per essere stato con noi quando demmo vita alla nuova serie di questa rivista dopo la fine del Pci, sepolto sotto le macerie del Muro di Berlino, i cui costruttori avevano fieramente combattuto i comunisti italiani al tempo di Berlinguer. Non si tratta di riproporre quelle analisi per applicarle così come sono alla realtà attuale, ma per vedere concordanze e differenze, per intendere bene quale destra abbia assunto la direzione del governo italiano e quale carattere abbia la tendenza reazionaria che acquista forza nel mondo. Umberto Eco alla metà degli anni Novanta del secolo passato svolse in una università americana una riflessione sul “fascismo eterno”, poi pubblicata in un volumetto nel 1997 e non a caso ristampato nel 2018 dopo l’elezione di Trump alla presidenza Usa. Era l’elenco delle pessime caratteristiche di ogni politica reazionaria: il razzismo, l’odio per i diversi, l’avversione alla cultura critica, il culto del passato, l’ostilità alla libertà femminile. E il nazionalismo come risarcimento, dice Eco, «a coloro che sono privi di qualsiasi identità sociale» ma che, avendo «il privilegio di essere tutti nati nello stesso Paese», si dispongono alla ostilità contro gli altri, tutti possibili nemici “esterni” o “interni”. Eterno, certamente, ma mutevole (aggiungi l’anticapitalismo e hai Ezra Pound, aggiungi l’esoterismo e hai Julius Evola, dice Eco). Ma proprio perciò l’analisi deve essere differenziata. A partire dal nazionalismo che non è amore per la propria terra natale e per i suoi abitanti, ma piuttosto esaltazione di sé e odio per gli altri: lo sciovinismo fascista produsse solo guerre di aggressione, rovina e morte, disastro nazionale. In questi tempi dobbiamo al fallimento della globalizzazione il ritorno diffuso o l’esasperazione di un nuovo nazionalismo: aggressivo nei paesi maggiori, subalterno altrove. Il fascismo italiano si volle presentare come continuatore, addirittura, della romanità imperiale, il nazismo come vendicatore della razza eletta. Al contrario, in Italia come altrove in Europa, la destra nazionalista, polemica verso la Comunità europea, garantisce la sua assoluta fedeltà al Patto Atlantico, cioè alla potenza dominante che lo guida. Il nazionalismo odierno si combina con una sudditanza implicita al comando Restaurazione dall’alto editoriale 4 presso brutalmente a Genova. Era però senza proposte realmente alternative per l’immediato e dunque negli Stati Uniti si trasformò nel suo contrario, nella vecchia parola d’ordine dell’isolazionismo conservatore statunitense: «America First», riverniciata da Trump. Che vinse persino nelle roccaforti democratiche assommando l’ostilità agli immigrati (“rubano il lavoro, abbassano le paghe”) e il protezionismo (“difendiamo le nostre fabbriche”) con la “tolleranza zero” verso gli ultimi, con l’attacco ai diritti dei diversi e alla liberazione femminile (sino, come si è visto, a negare alle donne, a proposito di aborto, la decisione sul proprio corpo). La ripresa della dottrina del rapporto diretto tra il Capo e il popolo era la conclusione istituzionale, esplicitamente enunciata da Trump, di questo vecchio corso politico. A questo modello, con gli adattamenti necessari, e con la lezione dell’amico Orban, si riferisce visibilmente il partito dei “fratelli d’Italia” esperti di trasformismo. Ma i suoi capi sono ben attenti a non rinnegare il passato donde presero le mosse e che costituisce la loro fama di coerenza e il loro retroterra anche elettorale. Perfettamente al contrario di quel che fece la sinistra erede del Pci vergognandosi di una storia che era stata determinante per la costruzione della democrazia in Italia. Una storia che fu l’opera di una somma di grandissimi sacrifici da parte di una comunità umana più che degna e costò per molti la perdita della vita stessa nel nome della democrazia e della libertà. Una rovinosa dannazione della propria memoria che fu prova di una rara miseria morale, ma ancor più di un abissale smarrimento di senno. Così accade che si vanti della propria storia chi fu erede dei sostenitori della tirannide e si misconosca o si condanni chi lottò per abbatterla e impedirne il ritorno. E mentre la sinistra rinunciava ad una propria autonoma visione del mondo, gli ex-fascisti rielaboravano la loro per adattarla ai tempi mutati. Come il simbolo ereditato: resta la fiamma, scompare il profilo simbolico della bara di Mussolini da cui la fiamma usciva. Dio, patria, famiglia: cioè uso strumentale, per il proprio potere, della religione, dell’amore alla propria terra e alla propria famiglia. Tutto questo rimane. Ma non ciò che suggeriva l’analisi di Gramsci, che si riassumeva nella categoria di “rivoluzione passiva” con cui Vincenzo Cuoco intendeva – raccontando la rivoluzione di Napoli del 1799 e il suo fallimento – una rivoluzione senza popolo. Per Gramsci quella formula significava un mutamento dall’alto, l’uso dello Stato per affrontare e risolvere in modo anche nuovo problemi dell’economia (i fallimenti industriali e bancari, 5 editoriale ad esempio) e della società, pur in un regime dittatoriale e duramente classista. I fascisti antichi si presentavano come modernizzatori anche se lasceranno un’Italia non solo distrutta, ma anche terribilmente arretrata. Per il partito della… ovvero del Presidente del Consiglio, attuale l’orientamento è liberista, i valori quelli di una fuga all’indietro. Ciò che mostrano già le prime scelte di governo indicano la tendenza verso un regime reazionario e sanfedista. Il ritorno della scuola a prima del ’68, la subalternità all’esecutivo della pubblica accusa, l’antifemminismo, l’odio per i migranti, il pugno duro contro i manifestanti. Gli ex-fascisti oggi non fanno una “rivoluzione” dall’alto, ma una restaurazione dall’alto, certamente interpretando un moto di opinione stanca della confusione del centrosinistra e vogliosa di qualcosa di noto com’è quello delle convinzioni e dei pregiudizi ancestrali. La loro conversione alla democrazia fu obbligata per stare entro i limiti della legalità e partecipare alla gara elettorale, ma è certa solo fino alla vittoria che hanno ottenuto. Ora preparano gli strumenti per durare a partire dallo stravolgimento della Costituzione. Quando dicono che la Costituzione afferma che «La sovranità appartiene al popolo», omettono il seguito: «che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Il presidenzialismo nel loro progetto allude al potere plebiscitario di uno solo. La parola pace va in secondo piano. È la guerra il valore da testimoniare e subito testimoniato. La totale fedeltà atlantica vale per preparare la tolleranza per una nuova possibile “eccezione” italiana. La tendenza reazionaria che si afferma in Italia e percorre il mondo, tuttavia, non è una prova di forza ma il riflesso di un fallimento e di una crisi. Il fallimento di un tentativo egemonico della potenza dominante, la crisi di un modello economico e sociale segnato dalla insanabile contraddizione tra chi ha tutto e comanda e chi ha poco o nulla e deve obbedire e provvedere al benessere altrui. La democrazia che dà, in linea di principio, la parola anche alle classi tradizionalmente subalterne comporta il rischio di una loro ascesa. Le organizzazioni sindacali e politiche che vogliono assumerne la rappresentanza si costituiscono per questo scopo: la tendenza egualitaria contro la diseguaglianza. Se queste organizzazioni dimenticano la loro funzione in un modo o nell’altro una pressione dal basso continuerà ad esistere, ad esempio con il populismo. Così come avviene fatalmente anche nel rapporto tra gli Stati. Il ritorno nazionalista implica una generale richiesta di parità in chi è o si ritiene danneggiato. Ma quando il modo di essere dei rapporti sociali editoriale 6 e dei rapporti tra le nazioni – gli uni e gli altri determinati dalla forza – producono l’incapacità di rispondere con equilibrio alle richieste di giustizia (che vennero definite “l’eccesso di domande” in democrazia) allora si precisa il ricorso alle posizioni che promettono decisionismo, risposte di forza, bastone senza carota. La situazione politica interna e internazionale è orribile. La «guerra mondiale a pezzetti», come l’ha definita il Papa, è in atto e minaccia sempre un incendio più esteso. L’unificazione del mondo sotto il segno del capitale non ha portato pace e benessere. Sembrò retorica la celeberrima frase di Jean Jaurès ripetuta in antico milioni di volte fino a essere considerata un’anticaglia: «Il capitalismo porta nel suo seno la guerra come la nube porta la tempesta». Jaurès era il capo dei socialisti francesi, pacifista. Nel 1914 era contrario alla guerra che sarebbe divenuta mondiale e fu assassinato da un giovane nazionalista. Storie di un secolo fa. Forse le ricordo solo perché sono molto vecchio. Forse non ne vale la pena. Ma forse è stato peggio dimenticare i pericoli che correvamo evitando di unire contro queste destre tutte le forze possibili. Ma non è mai troppo tardi per capire e per lottare uniti per la democrazia e per la pace.

Aldo Tortorella

Messaggio del partigiano Aldo Tortorella all’ultimo congresso ANPI

Intervento Aldo Tortorella – Congresso nazionale ANPI Riccione from ANPI on Vimeo.

 


intervento di Aldo Tortorella per il centenario del PCI (dal minuto 2:15:55)


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