Perché l’Italia “ripudia la guerra”

Perché l’Italia “ripudia la guerra”

 

Antonio Di Stasi

Il 14 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l’Assemblea Costituente nel proseguire la discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica italiana, conviene “che per quanto teoricamente possa apparire facile discernere le guerre giuste dalle guerre ingiuste, praticamente tutte le guerre vinte sono giuste e tutte le guerre perdute sono ingiuste”.
E per questa ragione, i nostri costituenti scelsero di legittimare solamente la difesa in armi del suolo italiano qualora invaso da un paese straniero.
Ora come allora il punto da cui occorre partire non è discettare se una guerra è giusta o no, ma stabilire cosa è corretto fare alla luce della Costituzione: la legge più importante a cui tutte le istituzioni devono rispetto e a cui tutte le leggi devono conformarsi.
Questo è il punto di osservazione di ogni giurista e l’analisi del diritto deve pertanto partire dalla volontà dei costituenti e dal significato delle parole.
Nel progetto di Costituzione, in quello che poi diventerà l’art. 11, si prevedeva su proposta di Dossetti la rinunzia alla guerra di conquista, ma ben presto su proposta del socialista Treves e di Ruini tutti convennero sul temine “RIPUDIO”, un termine biblico per segnalare la gravità del presupposto alla base della scelta del costituente di non rendere più possibile, più ammissibile una guerra. La guerra come il male assoluto, la guerra sperimentata e vissuta. La guerra che dal novecento si trasforma da guerra tra eserciti a guerra totale, con il bombardamento delle città, con il massacro dei civili e degli innocenti, fino ad arrivare all’uso dell’atomica, di una bomba dagli effetti devastanti e che genera conseguenze sulle generazioni future.
Il costituente conosce bene gli argomenti per cui una nazione decide di scendere in guerra, prima fra tutte quella di una guerra giustificata dal sostenere le ragioni di uno stato straniero nei confronti di un altro paese.
Per questo fu aggiunta la previsione che l’Italia non possa partecipare ad una guerra neanche “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Il rifiuto della guerra anzi il ripudio è totale e si estende anche alle controversie internazionali che non si limitano al confronto dialettico, ma che passano alle vie di fatto, che scelgono il conflitto armato.
E cosa è oggi la guerra tra Ucraina e Russia se non una controversia tra Stati nello stadio del conflitto armato, ognuno con le sue ragioni e con i suoi perché.
Non voglio dire che non possiamo avere una idea di quale Stato sia nel giusto o che abbia una ragione in più dell’altro, ma che di fronte ad una controversia internazionale la guerra diventa -secondo una celebre espressione- la continuazione della politica con altri mezzi. … un vero strumento della politica, ed una sua continuazione con altri mezzi.
E allora, come giuristi e come cittadini si ha il dovere di ragionare in ossequio al dettato della Carta costituzionale, di aggrapparci alla scelta dei costituenti, di difendere il principio costituzionale contenuto nell’art. 11.
Un principio fondamentale come sono qualificati i primi 12 articoli. Disposizioni queste che non possono cedere neanche di fronte ad ordinamenti internazionali.
Ed ecco un primo elemento di giudizio.
I decreti legge emanati dal Governo – il decreto legge n. 14 e al n. 16 di quest’anno – sono rispettosi del dettato costituzionale o si pongono fuori dalla legittimità costituzionale?
Sono decreti che stabiliscono la “CESSIONE DI MEZZI, MATERIALI ED EQUIPAGGAMIENTI A TITOLO NON ONEROSO INDICATI NELL’ALLEGATO”. Allegato che viene secretato e che quindi apre un altro gravissimo vulnus ad un principio fondante il nostro ordinamento… quello democratico… con l’espropriazione degli stessi parlamentari di conoscere ciò su cui sono stati chiamati a votare in sede di conversione.
Qualcuno, a difesa della scelta del Governo, ha osservato che il ripudio non è assoluto,  tanto che la stessa Costituzione prevede, in altri articoli, che l’Italia possa trovarsi in stato di guerra. Il riferimento è all’art. 52 che recita: “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino”
Ciò è sicuramente vero, ma vale soltanto a condizione che la guerra sia intrapresa e condotta a scopo puramente difensivo contro una ingiusta aggressione al suolo italiano.
E a seguito di trattati o accordi internazionali si potrebbe estendere all’ipotesi in cui l’aggressione sia subita da un paese diverso dall’Italia, ma ad esso legato da un patto di difesa comune. In tal caso, si potrebbe opinare che la difesa armata sarebbe ammissibile proprio perché non diretta, in tal caso, né ad offendere la libertà di altri popoli, né a risolvere, con l’uso della forza, una controversia internazionale.
Ecco perché se l’Ucraina fosse stata aderente alla NATO sulla legittimità dell’intervento vi sarebbero stati degli spazi interpretativi.
Ma l’Ucraina non aderisce ad alcun patto di difesa con l’Italia e dunque il Governo Draghi e ogni altro Governo che sceglierà di inviare armi, addestratori, personale militare o paramilitare tradisce la Costituzione. Si pone fuori dal dettato costituzionale.
Un’ultima riflessione, perché c’è chi ritiene che la partecipazione e il sostegno militare sia legittimo perché ce lo chiede la Nato e l’Unione Europea.
Se ce lo chiedesse la Nato nel senso che lo chiedesse il suo segretario bisognerebbe subito destituirlo e fare presente che la Nato è un patto difensivo e che può intervenire solo se un paese aderente venga attaccato.
Se ce lo chiedesse l’ONU, se vi fosse – ma non c’è – una risoluzione delle Nazioni Unite, vale il principio per cui risoluzioni guerresche di organizzazioni internazionali non possono essere riconosciute dall’ordinamento costituzionale perché -per usare le parole di Allegretti- il ripudio della guerra non sarebbe preso veramente sul serio.
È Giuseppe Dossetti, grande costituente e uomo giusto, che dell’art. 11 fu principale autore in seno alla Costituente che notava  – all’indomani della Guerra del Golfo – l’incompatibilità tra l’art. 11 e un certo uso delle decisioni dell’ONU…
Se ce lo chiedesse l’Unione Europea le ragioni per dire che la pretesa non è fondata sarebbero diverse.
La prima risiede nella circostanza che nel sistema delle fonti giuridiche i principi fondamentali delle costituzioni nazionali non sono cedevoli verso il diritto eurounitario. Non è una mia interpretazione: è l’interpretazione della nostra Corte costituzionale, di quella tedesca e di altre Corti costituzionali dei paesi aderenti all’Unione Europea. È l’interpretazione che dà la stessa Corte di Giustizia europea.
La seconda non è di “stretto diritto”, ma direi ontologica, in quanto coloro che sono guerrafondai mettono in discussione il motivo stesso per cui i padri fondatori hanno immaginato e posto le basi della comunità europea.
Le dichiarazioni della Presidente della Commissione Von der Layern (candidata solo pochi anni fa a ricoprire il ruolo di Segretaria della Nato) e ancor di più la risoluzione del parlamento europeo che ritengono di appoggiare il Governo di Zelensky con l’acquisto di armi e il sostegno economico diretto per proseguire la guerra tradiscono il motivo fondante che ha portato a costituire la CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio) prima – nel 1950 – e la CEE dopo – nel 1957 con il patto di Roma – e cioè trovare strumenti, modi, uno spazio comune per evitare – impedire – che ci sia un’altra guerra in Europa.
Altiero Spinelli, con il Manifesto di Ventotene, il tedesco Adenauer, il francese Jean Monnet e ancor più Robert Schuman durante la tragedia della seconda guerra mondiale e immediatamente dopo affermarono che, per evitare un altro esiziale conflitto sul suolo europeo, dovesse essere condivisa la politica economica ad iniziare dalla gestione comune dell’acciaio e del carbone – cause evidenti dei due conflitti mondiali – e dare vita ad istituzioni europee per un governo comune che assicurasse la pace e il progresso.
Il testo integrale della dichiarazione di Robert Schuman, l’allora Ministro degli Esteri francese, rilasciata il 9 maggio 1950 e che diede origine al processo di integrazione europea è emblematico: “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche… La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime… e istituendo una nuova Alta Autorità, le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, si costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace”.
Una pace ed un progresso che ora i nipoti immemori di questi grandi padri dell’Europa vogliono distruggere contro la storia, gli interessi dei popoli europei e contro il diritto fondamentale che si fonda nel nostro paese sull’art. 11 della Costituzione. Da queste riflessioni, dalla partecipazione popolare che anche da questa piazza dimostra la miserevole follia della guerra, occorre partire e riaffermare che l’Italia ripudia la guerra. L’Italia ripudia la guerra come mezzo di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Ancona, 22 ottobre 2022


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