Bollette e salari nascosti sotto il tappeto della propaganda di Draghi
Pubblicato il 11 apr 2022
L’economia di guerra travolge il potere d’acquisto e i bilanci di famiglie e imprese.
di Luciano Cerasa *
La propaganda di guerra sta nascondendo sotto il tappeto anche il crollo in termini reali dei salari e del potere d’acquisto delle famiglie.
Nei primi due mesi del 2022 in Italia i salari contrattuali sono aumentati dello 0,8% rispetto allo stesso periodo del 2021,contro un’inflazione Istat schizzata a marzo al 6,7%. Ma il dato è ancora provvisorio e le proiezioni per aprile parlano dell’8%.
Le bollette per imprese e utenze domestiche si sono incrementate quest’anno del 93%, portando al 270% l’aumento cumulato sul dato del 2019. Le stime del Pil fissano al 2,6% la crescita attesa per il 2022, con una perdita di potere d’acquisto delle famiglie di un ulteriore 1,5%.
La nuova mannaia sul reddito di dipendenti, piccoli imprenditori e precari, si abbatte su una situazione già profondamente deteriorata dall’economia del Covid. A fine 2021 erano già a rischio di povertà quasi 11 milioni gli italiani, tra i 4 milioni di disoccupati e i 6,7 milioni di occupati ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute. Oltre 1,6 milioni di soggetti in più rispetto a un’analoga rilevazione relativa al 2015, con una crescita significativa di circa il 15%.
Per dare un quadro dello scenario drammatico che il governo Draghi sta totalmente ignorando e anzi peggiorando con le sue politiche interne e internazionali, Confesercenti ha condotto a marzo due sondaggi, con Ipsos sui consumatori e Swg sulle imprese. Ne è emerso che 9 italiani su 10, anticipando la stangata sulla bolletta, hanno iniziato a tagliare le spese comprimibili. Oltre due terzi (il 67%) riduce le consumazioni al ristorante, il 53% la spesa in abbigliamento. Il 47% le vacanze con 3 o più pernottamenti e una quota uguale di consumi culturali e di intrattenimento. Ma c’è anche un 23% che taglia la spesa alimentare e un 10% quella legata alla salute.
Negozi e pubblici esercizi hanno risentito fortemente sia dell’aumento dei costi fissi dovuto all’esplosione delle bollette che del mutato atteggiamento dei consumatori e a migliaia negli ultimi due anni, hanno abbassato definitivamente le saracinesche: il 73% delle attività superstiti intervistate, giudica insoddisfacente o molto insoddisfacente l’andamento delle vendite a marzo.
Un’indagine rapida del Centro Studi della Confindustria (CSC) stima un calo della produzione industriale italiana a marzo dell’1,5%, dopo il rimbalzo, statistico, di febbraio a +1,9%. Il rincaro del gas naturale registra tassi di variazione a 4 cifre (+1217% in media nel periodo del conflitto sul pre-Covid) e quello del Brent è a 3 cifre (+104%), “Indici di sentiment sull’attività imprenditoriale e di fiducia, in flessione a marzo, preannunciano rilevanti ripercussioni sull’effettiva capacità di tenuta delle imprese nei prossimi mesi” denunciano gli industriali.
Nel 1° trimestre 2022 il Centro Studi della Confindustria stima una diminuzione della produzione industriale di -2,9% rispetto al 4° trimestre del 2021. Gli ordini in volume diminuiscono a marzo di -0,8% su febbraio, quando erano scesi di -0,1% su gennaio. Dopo l’intensa caduta registrata a gennaio (-3,4%), il parziale recupero di febbraio è dovuto prevalentemente ad un effetto base di rimbalzo statistico.
La crisi viene da lontano. Il deflagrare del conflitto ha accentuato da fine febbraio l’effetto dei precedenti rincari delle materie prime e della scarsità di materiali dovuti in grande misura alla speculazione. Le difficoltà di approvvigionamento riguardano quasi 8 imprese su 10. A questo si aggiunge una sensibile diminuzione nei giudizi e nelle attese di produzione delle imprese manifatturiere, che prelude a ristrutturazioni e drastiche riduzioni dell’occupazione.
In un’indagine condotta presso le imprese associate a Confindustria emerge che il 16,4% delle imprese rispondenti ha già ridotto sensibilmente la produzione. Il peggioramento dell’indice di incertezza della politica economica, che per l’Italia è salito a 139,1 a marzo da 119,7 di febbraio (+38,4% rispetto al 4° trimestre del 2021), accresce i rischi di un pesante impatto sul tessuto produttivo italiano e di un significativo indebolimento dell’economia nella prima metà del 2022.
Lo stesso Ministero dell’Economia parla apertamente di recessione, pure rispetto al crollo del Pil di quasi il 9% già subito nel 2020 e dovuto al lockdown, nel caso si dovessero chiudere per una decisione politica i rubinetti del gas naturale russo per famiglie e imprese italiane.
Ma l’ordine è “vincere e vinceremo” e al peggio, nel piccolo mondo antico della globalizzazione capitalistica, non c’è mai fine.
* Giornalista economico
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