Ciao Alessandro Dal Lago, antirazzista, intellettuale e soprattutto, grande compagno di strada

Ciao Alessandro Dal Lago, antirazzista, intellettuale e soprattutto, grande compagno di strada

Ricordo ancora, avevo già avuto l’occasione, nei movimenti antirazzisti di conoscere Alessandro Dal Lago, il giorno in cui divorai quel libro forte, provocatorio, preveggente che è “Non persone, L’esclusione dei migranti in una società globale“.

Avevo letto una edizione aggiornata, del 2004 ma la prima era stata pubblicata già nel 1999. Uno di quei libri che ti costringono a guardare il mondo da un altro punto di vista, con gli occhi altrui, che non si traducevano in un linguaggio esotico ma, realmente trasmettevano una visione globale, senza confini. Un testo denso, appassionato, che imponeva di guardare ad altri volumi, di porsi domande. Già nell’introduzione lasciava il segno “L’umanità viene divisa in maggioranze di nazionali, cittadini dotati di diritti e di garanzie formali e in minoranze di stranieri illegittimi (non cittadini, non nazionali) cui le garanzie vengono negate di diritto e di fatto. Grazie a meccanismi sociali di etichetta mento e di esclusione impliciti ed espliciti, l’umanità viene divisa tra persone e non-persone. Invece di concepire la diversità come pluralità, articolazione di una condizione umana, comune e ugualitaria, il differenzialismo ha spesso ipotizzato la separatezza culturale, ha mitologizzato le sue radici culturali e nazionali”. Da qui il ritorno ad un nazionalismo a cui non eravamo abituati, all’idea di patria come fattore escludente, in grado di rimarcare la distanza fra un “noi” e un “loro” già definiti come invasori.

L’approccio al multiculturalismo, in forme spesso subdolamente paternaliste e neocoloniali con cui capita di sentirlo declinato, secondo Alessandro, “quando se ne parla anche se in termini ragionevoli o favorevoli […], si è già accettato il falso presupposto che i migranti costituiscano frammenti o avanguardie di culture diverse, si ipotizza la loro differenza e si scava un solco tra noi e loro, col risultato paradossale, ma non troppo, che spesso i migranti, ricacciati nei loro contenitori culturali, etnici o religiosi, finiscono per riconoscersi in essi”. Perché per Alessandro Dal Lago e per chi ne ha seguito le riflessioni, che non ne interrompevano l’approccio militante, le culture non sono caratteristiche comportamentali che si adattano a specifici gruppi che hanno una comune provenienza. Le culture hanno dinamicità enorme, agiscono nelle persone e dalle persone sono agite. Chi si sposta cambia il mondo attorno a se e ne è a sua volta cambiato. Alessandro Dal Lago è stato un grande intellettuale, capace di navigare in diversi ambiti e discipline, a partire dall’antropologia, di analizzare spazi diversi delle società, dalle curve ultrà alle repressioni poliziesche e carcerarie, dalle forme di lotta radicali alle arti marziali, a quella che di fatto viene ritenuta da chi comanda la violazione più grande allo status quo, il diritto a migrare.

Ma guai a ritenerlo soltanto un intellettuale antirazzista, il suo impegno è sempre stato molto più vasto. Perennemente nomade, fra università e istituti di ricerca italiani e internazionali, manifestazioni e convegni a cui si prestava con generosità e passione, riusciva spesso ad essere sanamente “scomodo” in quanto inadatto ad adeguarsi alle vulgate reazionarie, dichiarate o meno di questo paese. Dopo anni di vagabondare, era stato, dal 1996 al 2002, Preside della facoltà di Scienze della Formazione a Genova e prima delle giornate del G8 fu uno dei redattori e firmatari dell’appello che portò ad aprire il contro vertice con la splendida manifestazione per la libertà di circolazione delle e dei migranti il 19 luglio. In quei giorni ebbi l’opportunità di conoscerlo e apprezzarlo nonostante il carattere apparentemente pronto ad incendiarsi nelle mille polemiche a sinistra. Si gettava nelle dispute con forza, senza timori verso l’interlocutore di turno. Non era facile andarci d’accordo era impossibile non apprezzarne la capacità di argomentare le proprie riflessioni che spesso prendevano la forma di articoli, soprattutto sul Manifesto, a volte di interventi in convegni spesso organizzati dall’attivismo antirazzista, spesso in volumi imperdibili.

Nel lontano luglio 2005, a Ostuni, intervenne ad un campeggio dei Giovani Comunisti, come relatore ad un dibattito dal titolo Guerra agli umani: percorsi di cooperazione e diplomazia dal basso. Ci ritrovammo, dopo l’incontro, affollatissimo, a bere e a giocare a biliardino. Conserverò sempre il ricordo dell’accanimento con cui cercava di vincere avendo avuto la malasorte di avere un compagno di squadra maldestro come il sottoscritto. Ci siamo poi ritrovati tante volte. Si era trasferito in Sicilia dove da pensionato, continuava a scrivere, pensare e ad appassionarsi. In piena emergenza covid, lo coinvolgemmo, con una piccola associazione che presiedo, (Associazione Diritti e Frontiere), in un convegno sul Mediterraneo. Era già malato da tempo ma non rinunciò ad intervenire on line per regalarci il suo punto di vista. Un saluto commosso Compagno. Siamo in tante/i molto più sole/i.

 


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