
Rifondazione: No alla repressione. Pinneri si preoccupi di garantire il diritto allo studio
Pubblicato il 23 dic 2021
Giulia Pezzella
Cinquanta istituti superiori occupati nel Lazio, molti nella capitale: un fenomeno così diffuso che la notizia ha superato i confini regionali. E in questo paese malato, non di covid ma di perdita dei valori della Costituzione, la linea governativa non poteva che essere una: reprimere e punire. La risposta del Ministero è arrivata il 20 dicembre, firmata dal dott. Pinneri, Direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio: una nota dedicata proprio alle occupazioni, con richiesta ufficiale ai Dirigenti Scolastici “di denunciare formalmente il reato di interruzione del pubblico servizio e di chiedere lo sgombero dell’edificio, avendo cura di identificare, nella denuncia, quanti possiate degli occupanti”.
Con toni paternalistici si elencano uno dopo l’altro comportamenti pericolosi, il consumo di alcool e gli atti vandalici (facendo sottilmente immaginare le occupazioni come eventi violenti e occasione di perdizione), invitando i Dirigenti Scolastici a completare le denunce con il pagamento delle sanificazioni e il rimborso dei danni, perché non possono pagare tutti per qualcosa fatta solo da alcuni, e invitandoli a dare sanzioni disciplinari con conseguenze sul voto di condotta.
Il dott. Pinneri riempie le righe di disponibilità all’ascolto, purché in contesti legali, e soprattutto di diritto allo studio, un diritto leso a quanti volevano invece fare a lezione.
Non una parola sul diritto allo studio di tutti, leso da quasi due anni, con danni pesantissimi il cui apice è stato denunciato pochi giorni fa dalle strutture sanitarie: con la pandemia la situazione è tale che non ci sono posti nei reparti di neuropsichiatria per gli adolescenti e troppo spesso il ricovero tampona solo l’urgenza senza alcuna soluzione di cura garantita dalle strutture pubbliche.
Non una parola sul crescente abbandono scolastico causato dalla mancata gestione della pandemia nella scuola. Non una parola sull’ulteriore lesione del diritto allo studio di tutti che forse colpirà gli studenti del Lazio (ma anche di altre regioni) che potrebbero concludere il mese di gennaio a distanza. Ed è sempre una lesione del diritto allo studio l’incertezza sugli esami e lo svuotamento, giustificato dalla pandemia, dei titoli di studio.
Le piattaforme degli studenti denunciano tutte e ciascuna a suo modo le disfunzioni strutturali della scuola statale; gli alunni si sono organizzati, hanno creato rete tra di loro e hanno alzato la testa. Dopo quasi due anni di didattica a distanza e una ripresa che di normalità non ha nulla, con nuove regole per contenere la pandemia (non ultime le entrate scaglionate, le finestre sempre aperte con conseguenti aule ghiacciate), si sono trovati ancora una volta con lo stesso numero di studenti per classe, con un sistema di assegnazioni delle cattedre che (a Roma in particolar modo) ha lasciato una buona parte di loro senza insegnanti o con cambiamenti continui, alla faccia di “tutti in cattedra il 1° settembre”. Dopo quasi due anni di emergenza sanitaria (che ormai emergenza non è più, perché dura da troppo tempo) il sistema di tracciamento nelle scuole non funziona, i trasporti non sono stati potenziati, non è stato reintrodotto il medico scolastico né tanto meno potenziato stabilmente il personale.
Ecco, colpisce la presa di posizione punitiva per difendere un diritto che lo Stato non considera come centrale, ma che diventa tale solo se gli studenti vogliono farsi sentire con un’esplosione di vitalità. Dovremmo indignarci tutti, lasciando da parte falsi moralismi e perbenismi fuori luogo, e gioire per una cosa: nonostante questi due anni terribili i ragazzi ci hanno dimostrato che si può alzare la testa. Speriamo che siano contagiosi.
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