Il compagno Gianni Ferrara

Il compagno Gianni Ferrara

Con Gianni Ferrara perdiamo un maestro e un compagno, un partigiano della Costituzione con cui abbiamo condiviso tante battaglie e che non ha fatto mai mancare il suo sostegno ai nostri tentativi di ricostruire una sinistra antiliberista nel nostro paese.

L’Italia perde uno dei suoi più importanti intellettuali, il decano dei costituzionalisti, un socialista, un comunista, un democratico conseguente.

L’ultima volta che lo abbiamo incontrato fu a casa sua poco prima dell’esplosione della pandemia. Ci aveva invitato per un caffè ma in realtà per discutere sul “che fare” a sinistra, da compagno da tanti anni vicino a Rifondazione Comunista.

Scherzò affettuosamente sul fatto che era dai tempi in cui ospitava gli incontri “segreti” tra Francesco De Martino e Enrico Berlinguer che non entrava un segretario di partito a casa sua.

In tanti ricorderanno i suoi meriti di studioso, noi anche il compagno appassionato, l’esponente di una cultura socialcomunista che è stata la principale protagonista della costruzione della democrazia italiana.

Proprio la sua biografia politica testimonia quanto superficiali siano certe ricostruzioni della storia della sinistra del Novecento incentrate sulla “dannazione” che dal 1921 non sarebbe mai stata superata.

Era stato nel PSI, testimone del profondo legame che aveva tenuti uniti socialisti e comunisti durante la Resistenza e nel dopoguerra.

Negli anni ’80 la rottura di Craxi con la tradizione socialista, che andò di pari passo con lo scontro con Berlinguer, lo spinse a uscire dal PSI e a andare con i comunisti divenendo parlamentare della Sinistra Indipendente.

Pochi anni fa aveva dato alle stampe un libro su “I comunisti italiani e la democrazia” che in occasione del centenario va riletto. Ne emerge la rivendicazione di una «teoria politica del marxismo originale, coerente, rispondente al grado di sviluppo del capitalismo, della società e dello Stato nell’Occidente del secolo scorso».

Gianni Ferrera faceva accostamenti tra Gramsci e Kelsen per la visione della democrazia come superamento della separazione tra governati e governanti, ricostruiva la figura di un Togliatti rivoluzionario costituente per certi versi inedita, estensore dell’articolo 13 garantista e vero ispiratore dell’articolo 3, come gli aveva confidato Lelio Basso.

Nel corso degli ultimi decenni è stato un difensore della Costituzione, un partigiano che ha smentito tutti i cliché dei neoliberisti che rivestono la restaurazione del potere delle classi dominanti come innovazione.

Proprio lui, con Stefano Rodotà, fu autore della proposta di riforma più audace in risposta negli anni ’80 all’attacco che alla democrazia parlamentare era venuto, sulle ali del rapporto della Trilateral, dal cosiddetto decisionismo craxiano: monocameralismo, riduzione del numero dei parlamentari a 500 ma nel quadro di una legge elettorale proporzionale che assumesse rango costituzionale e limitazione della decretazione d’urgenza. Rappresentatività e centralità del parlamento contrapposti a concentrazione del potere negli esecutivi.

Come sappiamo le cose sono andate diversamente e negli ultimi anni gli toccò smentire quelli che cercavano di presentarsi nei referendum come eredi di quella proposta.

Mirabile la maniera con cui ha criticato il neoliberismo dei Trattati che hanno messo «Milton Friedman al posto di John Maynard Keynes» invitando la coscienza europea a risvegliarsi dal “sonno delle ragioni della democrazia”.

Non ha mai smesso di battersi per “una democrazia che apra orizzonti alla prospettiva del libero sviluppo di ciascuno come condizione del libero sviluppo di tutti”.

Maurizio Acerbo e Giovanni Russo Spena

Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

articolo pubblicato su Il Manifesto, 23 febbraio 2021


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