Quelle notti da Radio Onda Rossa

Quelle notti da Radio Onda Rossa

Stefano Galieni

Non lo capimmo subito, ci vollero un paio di giorni. Radio Onda Rossa, emittente storica dell’Autonomia Operaia, passò quella notte maledetta a raccogliere notizie. Non avevamo strumenti di controinformazione, le linee telefoniche erano saltate e i compagni che riuscirono a darci notizie arrivavano dalla Puglia, dalla Calabria, soprattutto dalla Campania. L’Irpinia era stata sbriciolata da un terremoto, persone, case, paesi interi erano spariti nell’arco di pochi minuti. Per giorni restammo attaccati alla tv, ai pochi mezzi di informazione disponibili, a notizie, non sapevamo quanto veritiere, quanto dimostrabili, ma in pochi giorni ci rendemmo conto che non potevamo restare con le mani in mano. Quello che provavamo a raccontare era considerato inaccettabile, irricevibile, eravamo i “cattivi”, quelli che flirtavano con la lotta armata, quelli che cercavano le istituzioni da attaccare, a qualsiasi costo. Eppure le stesse nostre parole, sicuramente più circostanziate, le pronunciò l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, il partigiano antifascista, il volto tirato e indurito, l’indignazione neanche trattenuta, il marchio di infamia gettato su soccorsi mai giunti, case fragili, gente lasciata nel freddo e nella miseria. Quel maledetto 23 novembre del 1980 ci graffiò dentro, forse fu un momento di passaggio anche per noi giovani rivoluzionari senza rivoluzione. L’aggressività che manifestavamo in piazza si tramutò immediatamente in attivazione di “solidarietà proletaria” verso le popolazioni colpite. Partirono prima i più grandi, i più esperti, per capire come rendersi utili. Da Roma, da quelli che chiamavano in maniera dispregiativa “covi” di San Lorenzo, che erano in realtà presidi di cultura e di contropotere, in cui, con tanti errori e limiti, si provava a costruirlo un mondo diverso. Il bisogno di fare qualcosa, di sostituirci ad uno Stato assente per i poveri, per gli ultimi, divenne la predominante. Allora la Protezione Civile, nonostante il disastro di quattro anni prima in Friuli, era solo un’entità virtuale, allora si aspettava l’esercito, la gestione prefettizia e venne il caos. E in tanti, provenienti da mondi diversi, ci precipitammo in quell’angolo di Lucania per fare il possibile, nessun bisogno di visibilità – noi eravamo i cattivi a prescindere – ma il semplice bisogno di non lasciare nessuna e nessuno da solo. Non ci importava nulla, ci capitò di abbracciarci quelle notti in Radio, quando arrivava un compagno o una compagna fuorisede che avevano famiglia in quelle zone, a cui giungevano notizie dai propri cari, lentamente, con il contagocce. Ma non restammo fermi. Mettemmo in piedi il Coordinamento di Solidarietà Proletaria e in pochi giorni, riuscimmo a far partire 6 grossi camion, 4 furgoni, altri mezzi leggeri con generi alimentari, medicine, gruppi elettrogeni, tende e capannoni prefabbricati. La popolazione di San Lorenzo e delle periferie romane rispose all’appello alla solidarietà dei compagni di Via dei Volsci e di radio Onda Rossa. Utilizzammo il parco di Villa Mercede, un bel punto verde in Via Tiburtina, per raccogliere e smistare i prodotti da consegnare. Furono notti interminabili, c’era anche chi, già allora povero, arrivava con un pacco di pasta, una scatola di pelati, un paio di scarpe usate. Il messaggio era semplice e forse – pensandoci quaranta anni dopo – non ne cogliemmo la portata: “i poveri aiutano i poveri”. Nei giorni seguenti partimmo a piccoli gruppi, autosufficienti, per non affollare e intasare i soccorsi finalmente arrivati, anche se troppo tardi, per accompagnare con il nostro calore umano quanto raccolto. Molte e molti di noi si sentirono finalmente utili e dalla parte giusta, senza rinunciare a sentirsi rivoluzionari. E ci capitò di tutto. Ad un gruppo di volontari accadde un episodio che allora giudicammo assurdo, ma che divenne la normalità. Lo raccontiamo con le parole di allora, da un volantino del Coordinamento “Il 27 novembre 1980 a distanza di 4 giorni dal terremoto, 60 compagni con 8 camion  e 9 pulmini, carichi di alimentari, medicine , vestiario, attrezzi di lavoro, frutto della generosa risposta dei nostri ascoltatori (e della popolazione di San Lorenzo , come si legge in altri comunicati, NdR.) andarono a Sant’Andrea di Conza decisi a portare il loro aiuto. Dopo solo 4 giorni con l’aiuto dei lavoratori volontari dell’ANAS, della GULF, dell’AlItalia, dell’ENEL, del Policlinico  ( si trattava  dei lavoratori aderenti ai comitati/collettivi  autonomi aziendali) , coordinati da un compagno architetto, sistemavano le roulottes in un campo, mentre due baracche  in lamiera acquistate dalle sottoscrizioni della Radio, funzionavano e funzionano come cucina mensa (1200 posti al giorno). Dal 9\12\1980 è ultimato un baraccone di 15 metri per sei, utilizzato da bambini e anziani come Centro sociale. Un ex seminario funziona come magazzino per la distribuzione di vestiario anche mediante automobili (private, messe a disposizione, di proprietà dei volontari) che quotidianamente vanno nei casolari, come pronto soccorso attrezzato con un medico ed alcuni infermieri. La rilevazione degli edifici lesionati (45%) è stata eseguita da due tecnici romani spontaneamente…Le iniziative del Comune si sono limitate alla gestione di due magazzini, massicciamente presidiati dai militari, di cui uno reso funzionale grazie ai compagni della 285 del Comune di Roma (lavoratori assunti grazie ad una legge del 1977 e poi declassati a Lsu). Ora che il meccanismo diventa funzionale il sindaco (ovviamente democristiano), anziché utilizzare i militari nella sistemazione delle opere pubbliche, nella distribuzione capillare e sistematica dei cibi, di mangimi per gli animali, magari utilizzando i 6 milioni (di lire) che, per il nostro tramite gli sono pervenuti dall’Istituto professor De Amicis di Roma-intende impiantare una nuova mensa liquidando quella già funzionante( gestita dai volontari di Onda Rossa N.d.r.).La motivazione di tale apparentemente illogico comportamento è da ricercare nel seguente episodio che denunciamo all’opinione pubblica: Domenica 7 dicembre, durante il Consiglio Comunale, alcuni nostri compagni raccogliendo voci di imboscamento di tantissimo materiale stipato nei magazzini “ufficiali” (anche se non inventariati) minacciavano di denunciare il fatto alla magistratura. In quella riunione vengono consegnate al sindaco 35 chiavi di altrettanti appartamenti e negozi usati da amministratori e non, come magazzini …ufficiosi. Fino ad oggi non si conosce l’uso di quel materiale. Il giorno successivo la prima provocazione: un militante del PCI di Sant’Andrea fermato dai carabinieri in caserma per tre ore. Al contrario i carabinieri, sabato 29 novembre, denunciavano solo a piede libero un consigliere DC che si era impossessato di un giaccone di un volontario, compresi i documenti dello stesso! Ma il grosso affare è da venire, quello degli appalti per urbanizzare i terreni dove installare i prefabbricati, la demolizione, la ricostruzione. Denunciamo quindi l’atteggiamento dell’amministrazione locale”. Una storia rimossa, come tante. Forse per questo, per le parole di Pertini, per le foto tremende di Tano D’Amico, dichiarammo senza fronzoli che quella dell’Irpinia era la più grande Strage di Stato, (quasi 3000 morti e 280 mila sfollati). Il rumore cupo del 2 agosto dello stesso anno era ancora vicino e il paese ci faceva paura. Piccola nota autobiografica: mi capitò, a S. Angelo dei Lombardi di incontrare due persone indimenticate. Una anziana donna infuriata perché aveva perso figli e nipoti e un giovane che si era salvato semplicemente perché era uscito di casa, per vedere di nascosto la ragazza, che poi ha sposato. Tornando anni fa in quei paesi ricostruiti con le concezioni delle periferie romane e qualche traccia rimasta del borgo antico, ho visto luoghi annientati non solo dal terremoto. Ma è solo una storia passata?


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