Italiani brava gente? Un libro utile per ricostruire un filo nero da tagliare

Italiani brava gente? Un libro utile per ricostruire un filo nero da tagliare

Stefano Galieni

 

Sessanta anni fa, nel 1960, 17 Paesi africani, in gran parte colonie francesi, alcuni ancora in mano al Belgio e al Regno Unito raggiunsero, almeno formalmente l’indipendenza. Si era nella fase di transizione che attraversò gran parte del mondo ancora dominato dalle potenze europee, laddove in ogni singolo Paese si affermavano diversi approcci che portavano alla decolonizzazione – si era in un pianeta diviso in due blocchi e da numerose parti giungevano i riflessi di istanze socialiste – ma si trattò di un percorso lungo e formidabile i cui riflessi giunsero presto anche in Europa. Fu una fase importante per l’intero continente, i popoli e le forze intellettuali, più che i governi, in Francia, Gran Bretagna e Belgio, si ritrovarono a mettere in discussione, a volte in maniera profonda, l’ordine precostituito.

Le successive vicende che portarono anche ai grandi movimenti sociali risentirono in maniera più o meno consapevole di questi eventi, era mutata la composizione del mondo anche se, dal punto di vista prettamente economico, i rapporti non ne uscivano ancora realmente modificati. Nulla o quasi di tutto questo accadde in Italia. Le avventure coloniali italiane, terminate con la sconfitta del nazifascismo dal punto di vista politico, per decenni non intaccarono una costruzione del ruolo italiano palesemente falsa e artefatta. La Libia, la cosiddetta “quarta sponda” prima del periodo liberale e poi del Ventennio, nel 1969 si scrollò di dosso ogni forma di dominio con la rivoluzione del giovane militare Mu’ammar Gheddafi, rimasto poi al potere fino al 2011 e uno dei primi atti compiuti dopo la presa del potere fu la cacciata degli italiani rimasti. Senza provare alcuna nostalgia per il dittatore libico – personaggio controverso e resosi responsabile non solo di crimini ma anche dei primi accordi con i governi italiani per fermare in campi di concentramento chi fuggiva dall’Africa Sub Sahariana – c’è da dire che una parte del consenso di cui ha goduto per tanti anni è dipeso dalle malefatte impunite perpetrate durante la dominazione italiana.

Il bel libro pubblicato da Left, in edicola fino al 13 agosto o altrimenti acquistabile on line, è un prezioso testo per tornare alla radice dei crimini compiuti soprattutto ma non solo dal regime fascista in particolare in Cirenaica (la regione orientale della Libia) ma anche nelle altre colonie. Già dal titolo “Il falso mito degli italiani brava gente, il colonialismo, la Libia e i crimini fascisti” riprende quello che forse è stato uno dei primi volumi che ha scoperchiato il vaso di Pandora di una storia rimossa dalla coscienza collettiva, si tratta di “Italiani brava gente” di Angelo Del Boca, forse il più acuto e importante studioso del colonialismo italiano. Da Del Boca in poi sono stati vari gli studiosi che si sono cimentati in questa opera di disvelamento di una memoria squallida di cui vergognarsi ed è nutrito il numero di ricercatrici e ricercatori, spesso giovani, che continuano a voler proseguire il percorso. Ma, come precisa Giuseppe Scuto, che ha realizzato buona parte di questo volume, i crimini del colonialismo italiano non sono stati rimossi ma ha prevalso un vero e proprio negazionismo. Ancora negli anni Cinquanta e Sessanta si affermava, non solo nella destra estrema fascista e post fascista, il diritto ad avere le colonie, ancora prevaleva una visione profondamente razzista della storia secondo cui il dominio italiano fu realizzato appunto da “brava gente” che andava a compiere una missione civilizzatrice, a costruire strade e infrastrutture per persone altrimenti non in grado di provvedere a se stesse. Scuto analizza le fasi principali del conflitto in Cirenaica che assunse le caratteristiche del genocidio verso le popolazioni civili, ricostruisce passaggi poco noti, culminati con l’uccisione del leader della resistenza Omar Al Mouktar. Ci sono voluti decenni per far ammettere la primazia italiana nell’uso dei gas come arma di guerra, la realizzazione di regimi di apartheid, in Libia come nei domini della cosiddetta Africa Orientale Italiana fino al delirio dell’impero. Del resto chi doveva pronunciarsi rispetto alle prime denunce in merito erano gli stessi funzionari di regime che, cambiata casacca, hanno ricoperto a lungo cariche importanti nelle istituzioni repubblicane. Nella seconda parte il libro, passando per la mancata decolonizzazione della storia, nelle omissioni dei libri di testo scolastici, nel tentativo di preservare, in nome del pericolo dell’egemonia culturale della sinistra, la sacralità delle istituzioni che sostennero il regime fascista anche nelle colonie, dalla magistratura, all’esercito, all’onnipresente chiesa, si giunge all’attualità. Scuto utilizza come fonti i più importanti storici, libici e italiani che hanno portato avanti questa ricerca ma nel testo ci sono anche contributi diretti come quello di Valeria Deplano una delle migliori analiste del colonialismo e del post colonialismo nostrano. E l’attualità è ben rappresentata dalle ipocrite polemiche sorte a seguito degli atti dissacratori contro la statua a Milano di Indro Montanelli.

Il giornalista, da troppi – non solo a destra – celebrato senza valida ragione come uno dei migliori della italica storia, è lo stesso che rivendicò senza alcun rimpianto di aver comprato insieme ad un fucile, una bambina dodicenne etiope per averla come schiava sessuale. Lo raccontava senza pudore, guai a chiamarlo pedofilo, così come negli anni Settanta dichiarava tranquillamente che Pinochet era in Cile meno pericoloso di un governo comunista e che, in caso di “governo delle sinistre” anche da noi ci sarebbe stato bisogno di una “democrazia alla Pinochet”. C’è insomma – e questo volume lo illustra in maniera agile ma approfondita – un filo nero che lega l’occupazione libica negli anni di Giolitti, al fascismo fino alle pulsioni autoritarie mai sepolte. Non ci si indigni allora per una statua macchiata di rosso ma ci si ricordi di quanto sangue, chi comandava in questo paese ha fatto versare. Allora si esportava la civiltà oggi la “democrazia”, si faccia in modo che il filo nero, finalmente, si spezzi

 


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