I frutti avvelenati dell’autonomia

I frutti avvelenati dell’autonomia

Loredana Fraleone*

 Nessuna sorpresa dalle linee guida del governo per la ripresa della scuola a settembre. Almeno per noi, che tempestivamente avevamo previsto il caos, se non si fossero messe in campo da subito quelle misure che un paese, generoso foraggiatore delle grandi imprese senza nulla chiedere in cambio, produttore di grande ricchezza concentrata però in poche avide mani, avrebbe potuto prendere, destinando un punto di Prodotto Interno Lordo in più all’istruzione, portandola almeno nella media europea.

Questo avrebbe permesso di ridurre il numero di alunni per classe, creare e reperire spazi per la sicurezza, assumere il personale necessario per un numero maggiore di classi. Ci troviamo invece, nonostante le iniziali promesse e qualche “mea culpa”, di fronte a provvedimenti che portano fino all’estreme conseguenze quell’autonomia scolastica, che quasi da soli osteggiammo fin dalla sua istituzione, individuandone da subito la funzione di rottura di un sistema nazionale unitario, le premesse per una penetrazione delle logiche dell’impresa e del mercato, la competizione al posto  del diritto allo studio.

Di fronte alla necessità di varare investimenti consistenti per fronteggiare questa drammatica fase che stiamo vivendo e restituire almeno agibilità ai soggetti che la vivono quotidianamente, che fa il governo? Si chiama fuori sostanzialmente dai suoi compiti costituzionali e promuove il “fai da te”, scaricando su tutti gli altri livelli istituzionali problemi irrisolvibili senza le risorse necessarie. Le confuse indicazioni che fornisce sono sostanzialmente “permessi” di fare turni dividendo le classi, di praticare un mix tra didattica in presenza e a distanza e via di questo passo.

Agli occhi di genitori, insegnanti, dirigenti scolastici sui quali sono demandate responsabilità insostenibili, le misure del governo svelano la sua collocazione di classe, quella sociale, oltre ad una visione priva di prospettiva persino per il modello capitalistico di società. C’è da chiedersi se in una fase di estremo sviluppo tecnico – scientifico sia sostenibile un sistema di istruzione retrogrado, che accentui invece che ridurre le disuguaglianze, che torni alle peggiori forme di selezione di classe.

La promessa neoliberista di un mondo migliore per tutti, il consumismo come valore prioritario, l’accesso a beni essenziali, stanno mostrando una gamma di contraddizioni senza precedenti. L’operaio che vuole ancora “il figlio dottore”, i proletari che non accettano un futuro per i loro figli peggiore del proprio, un ceto medio ricacciato sempre più in basso che pensa ancora al titolo di studio come ad uno strumento di emancipazione, toccano con mano che ciò che era un tempo relativamente garantito a tutte/i, persino ai disabili, sta riproducendo una nuova forma di selezione di classe, diventando la negazione dei diritti universali, dell’istruzione come della salute.

Se già oggi il mondo della scuola si mobilita di fronte alla riproposizione di politiche liberiste, c’è da aspettarsi rivolte di massa a settembre e forse questo segmento della società, che è ancora indubbiamente il più compatto, può sollecitare mobilitazioni su altri fronti, su altri diritti fondamentali.

E’ bene stare oggi nelle piazze come sarà bene, nel prossimo futuro, fare in modo che le scuole siano luoghi che garantiscano la salute fisica e mentale.

 

*Responsabile Scuola Università Ricerca

Rifondazione Comunista/SE


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