L’eredità di Abu Jihad 

L’eredità di Abu Jihad 

di Rania Hammad *

Il 16 aprile del 1988 viene brutalmente assassinato uno degli uomini più importanti della resistenza palestinese, Abu Jihad, nome di battaglia di Khalil al-Wazir. Era uno dei massimi esponenti politici palestinesi e tra i fondatori di Al-Fatah e della Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), nonchè braccio destro del leader storico Yasser Arafat. Abu Jihad è stato un grande rivoluzionario, che ha lottato per restituire giustizia, dignità e terra al popolo palestinese.

Quando fu fondata nel 1964, l’OLP aveva l’obiettivo di far tornare in patria i palestinesi fuggiti dai massacri commessi dai gruppi terroristici e paramilitari ebraici durante il mandato britannico sulla Palestina, quali la Haganah, l’Irgun e la Banda Stern. L’OLP, che voleva liberare la Palestina dall’occupazione israeliana, era l’unica legittima rappresentante del popolo palestinese, riconosciuta da oltre cento Stati e membro delle Nazioni Unite dal 1974. Ma nonostante ciò, era considerata un’organizzazione terrorista da Israele e dal suo alleato gli Stati Uniti, a causa della lotta guerrigliera e per le sue tattiche controverse, ma con la quale nel 1993 firmarono gli Accordi di Oslo. A  Yasser Arafat fu poi assegnato il premio Nobel della Pace.

Abu Jihad era un eroe per i palestinesi ed il contrario per Israele, dove era fortemente temuto. Non era solo rappresentante dei palestinesi in esilio, ma il responsabile delle loro forze armate. Un uomo che, anche sulla base del diritto internazionale, riteneva che i popoli avessero diritto a lottare per la libertà. La stessa ONU, in più occasioni, aveva dichiarato la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dal dominio coloniale e straniero e dall’occupazione con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata.

Abu Jihad fu anche uno degli architetti della “Prima Intifada” del 1987, la ribellione popolare chiamata “rivolta delle pietre”, una sollevazione pacifica di massa fatta di disobbedienza civile, boicottaggio dei prodotti israeliani e scioperi contro l’occupazione. Israele rispose con una repressione inaudita, assassinando circa 1100 palestinesi, in gran parte giovani, una violenza duramente condannata dall’ONU. L’opinione pubblica mondiale vide in chiara luce la contrapposizione tra il ragazzino armato di pietra e fionda e i carri armati con i soldati armati fino ai denti. Questa ribellione pacifica contribuì a rendere Abu Jihad una minaccia per Israele che decise di eliminarlo a tutti i costi, pur sapendolo leader carismatico ed amato.

Il quartier generale palestinese dell’OLP era in Tunisia dal 1982, quando l’organizzazione fu costretta a lasciare il Libano dopo l’invasione israeliana per espellerla. In quell’occasione le forze armate israeliane commisero uno dei massacri più atroci della storia, quello contro i campi profughi di Sabra e Chatila, con l’eccidio di migliaia di persone che il mondo ricorda bene. Dopo quel drammatico episodio, Abu Jihad non volle andare in Tunisia per non allontanarsi dai confini della Palestina e rimase ad Amman, in Giordania. Sapeva che la Tunisia era un paese poco sicuro, ed evitava di restarci per lungo tempo. Ma quella volta vi rimase per due settimane.

Quella notte dell’aprile 1988, un commando dei servizi segreti israeliani entrò a Tunisi via mare, in acque straniere.  Erano una ventina, incappucciati e armati pesantemente. Prima uccisero la guardia ed un giardiniere, poi entrarono in casa e uccisero Abu Jihad con 76 proiettili, davanti alla moglie e mancando di poco la culla del figlio di due anni e mezzo. All’uscita urlarono in arabo alla figlia, ancora bambina, di andare da sua madre. Quella notte e nei mesi successivi, la famiglia e l’intero popolo palestinese rimasero sotto shock.

Pochi mesi dopo quell’efferato delitto, nel novembre del 1988 ad Algeri, il Consiglio Nazionale Palestinese ufficializzava l’impegno formale della resistenza palestinese a non usare la violenza, nella “Dichiarazione di Algeri”. Allo stesso tempo,  per la prima volta, implicitamente si ponevano le basi per un riconoscimento dello Stato di Israele. Solo allora, gli Stati Uniti iniziarono ad avere contatto con l’OLP, mentre Israele lo fece tre anni dopo con gli accordi di Madrid. Nello stesso anno dell’assassinio, dunque, si firmò uno dei documenti più rilevanti della storia del popolo palestinese.

La dichiarazione contribuì ad internazionalizzare la causa di liberazione nazionale e indipendenza e permise di avviare rapporti diplomatici, accettando l’avvio di una conferenza di pace sotto l’ombrello del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. I palestinesi erano ormai proiettati verso quel famoso processo di pace che portò ad un risultato devastante per i palestinesi rafforzando la colonizzazione, la sottomissione del popolo palestinese a la prosperità economica e militare israeliana.

Quell’assassinio sconvolse i palestinesi e l’intero mondo arabo, ma non fu né il primo, né l’ultimo omicidio dei servizi segreti israeliani contro esponenti dell’OLP.  Ce ne furono molti altri, in Italia, in Inghilterra, in Libano, in Francia e a Cipro. Lo stesso Yasser Arafat scampò a numerosi attentati israeliani.

Dopo la morte di Abu Jihad, Israele non ammise la sua responsabilità per ben 25 anni, fino al 2012. In seguito si venne a sapere che questo crimine ed esecuzione extra-giudiziale fu  ordinato da Ehud Barak, il futuro Primo Ministro di Israele. Lo stesso che nel 2000, al Vertice di Camp David, dichiarò di aver fatto una generosa offerta ai palestinesi e mentì al mondo dicendo che Israele aveva proposto qualcosa che i palestinesi non potevano rifiutare. In realtà si trattava del piu’ grande furto di terra palestinese.

Abu Jihad era un realista pragmatico, con una visione politica e strategica, un partigiano che non accettava di dover trattare col mitra puntato addosso. Senza conoscere il contesto storico travagliato del conflitto israelo-palestinese, non si può comprendere l’importanza che ha avuto questo singolo evento nella storia del popolo palestinese.

Con questo attentato, Israele ha ipotecato il diritto dei palestinesi a negoziare alla pari, a difendersi e a negoziare una pace giusta e dignitosa che garantisca l’indipendenza. Se prima della morte di Abu Jihad, palestinesi ed israeliani si puntavano i mitra addosso, gli uni con una guerriglia e gli altri con il terrorismo di Stato come potenza occupante, in seguito, oltre al monopolio dell’ uso della violenza, Israele ebbe il controllo sulla narrazione del conflitto, sulle sue origini e la sua evoluzione. Dopo quell’omicidio  la potenza occupante fu in grado di forzare un qualsiasi accordo, obbligando i palestinesi ad accettare una pace inaccettabile, colonizzati e sotto un regime di Apartheid, con le proprie aspirazioni andate in fumo.

L’eredità di Abu Jihad e dei padri fondatori dell’OLP tornati in Palestina nel 1993 dopo gli Accordi di Oslo, è che il popolo palestinese, nonostante abbia subito una delle ingiustizie storiche più incredibili della storia, continuerà la sua lotta chiedendo una pace giusta e dignitosa. Lo farà con la forza delle risoluzioni ONU, della legalità e del diritto internazionale. Ma lo farà soprattutto ricordando Abu Jihad la cui memoria è stata offuscata dalla narrativa del vincitore mediatico di questo conflitto. Il nostro popolo ed il mondo si chiede quanti sono i palestinesi uccisi e torturati grazie agli ordini di Ben Gurion, Golda Meir, Yitzhak Rabin, Menachem Begin, Yitzhak Shamir, Ehud Barak, Ariel Sharon e Benjamin Netanyahu ?

*Vicepresidente della Comunità palestinese del Lazio


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