Oggi ricorre il ventunesimo anniversario dei bombardamenti sulla Jugoslavia.

Oggi ricorre il ventunesimo anniversario dei bombardamenti sulla Jugoslavia.

In questi tempi di grande isolamento sociale causato dalla quarantena (per molti ma non per tutti vista l’ignavia governativa-padronale che sacrifica la salute dei lavoratori al profitto) stiamo cercando di mantenere e rafforzare i legami di solidarietà anche con compagne e compagni di altri Paesi.
Stiamo raccogliendo contributi che ci possano raccontare la situazione sociale in questi tempi di gravissima crisi sanitaria ed economica globale.
La nostra idea di giustizia sociale, pace e solidarietà tra i popoli non conosce confini.
Scambiarsi informazioni, pratiche, proposte, parole d’ordine diventa qualcosa di vitale importanza per affrontare il dopo.
Quella che stiamo vivendo, prima che crisi sanitaria, si configura come una delle peggiori crisi globali del capitalismo.
In molti Paesi è già diventata occasione per sperimentare forme neo-autoritarie o per accrescere le strette repressive già in corso.
Come ne usciremo? Molto dipende da quanto sapremo riorganizzarci e da quali proposte sapremo mettere in campo per dare una spallata definitiva al trentennio di dittatura liberista che abbiamo vissuto.
In tutto questo, evidentemente, l’internazionalismo continua ad essere un approccio fondamentale e imprescindibile.
Marco Consolo – responsabile Area Esteri
Gregorio Piccin – responsabile Pace
Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
LETTERA DALLA SERBIA.
Care compagne, cari compagni,
In questo periodo difficile esprimo tutta la mia solidarietà ai compagni e amici italiani e a tutto il vostro popolo.
Questa pandemia ci insegna ad essere più impegnati nella battaglia per i nostri diritti in primis per il diritto alla salute (investimenti nel settore sanitario) perché la vita è il bene più prezioso.
Il virus, nemico invisibile, è più forte del capitale, se non vengono chiuse le fabbriche (esclusa produzione alimenti e materiale sanitario) sarà difficile fermarlo.
La situazione in Serbia cambia ogni ora, in questo momento siamo sui 200 positivi, ma ce ne sono molti di più che ancora non dimostrano il contagio e possono trasmettere il virus.
Secondo gli esperti il picco di epidemia sarà fra qualche giorno e si fa di tutto per fermare il contagio.
Il nostro governo ha intrapreso misure di protezione estremamente stringenti, per quanto ne so, molto più stringenti di quelle prese in Italia ma soprattutto molto prima, cioè già dopo i primi casi.
Le frontiere sono chiuse, salvo il traffico dei camion per il trasporto merci.
Chiusi tutti i bar, parchi, centri commerciali presso i quali sono aperti solo supermercati e farmacie.
Coprifuoco dalle 17.00 alle 07.00, da domani forse anche dalle 12.00.
Sono vietati licenziamenti e dopo i primi contagiati il governo ha aumentato il salario del personale sanitario.
La risposta dei cittadini alle misure restrittive è positiva perché hanno di fronte l’esempio della Cina e poi dell’Italia.
E non solo. Nella storia recente abbiamo vissuto un’esperienza quasi simile.
Prima i 10 anni di embargo e poi i bombardamenti del 1999: conosciamo  quarantena, stato d’allerta, coprifuoco, mancanza del materiale sanitario, code davanti ai negozi…
Il paziente zero è arrivato da Milano, mentre altri contagi sono avvenuti con l’arrivo di 60.000 serbi dall’estero, maggiormente dall’Italia, che non hanno rispettato obbligo di quarantena.
Le elezioni politiche indette per il 26 aprile sono rimandate, moratoria su prestiti e mutui, documenti scaduti e assicurazioni validi fino alla fine dello stato di emergenza, divieto su aumento prezzi, obbligo per gli over 65 anni di stare in quarantena. A queste persone vengono distribuiti cibo e farmaci.
L’istruzione è organizzata per ogni classe con orario delle lezioni preciso sia on-line che in televisione (per chi non possiede pc) e i compiti vengono controllati tramite gruppi social dagli insegnanti di riferimento. Il supporto psicologico è garantito dai call center.
All’inizio della epidemia il governo ha chiesto aiuto alla UE che ci ha voltato le spalle.
L’unico aiuto lo abbiamo avuto dalla Cina con la quale la Serbia ha ottimi rapporti  (già oggetto di molte critiche da parte della UE). Idem per quanto riguarda i rapporti con la Russia.
Mentre vedevo il decollo dell’aereo cinese che portava gli aiuti, mi sono ricordata dell’ambasciata cinese a Belgrado bombardata dalla NATO nel ’99.
Devo ricordare che il 24 marzo saranno 21 anni dall’aggressione della Nato contro la Jugoslavia che con i suoi bombardieri ha seminato uranio impoverito e colpito impianti petrolchimici provocando la fuoriuscita di sostanze chimiche cancerogene e di PCB – sostanza cancerogena non biodegradabile.
In Serbia, a ventuno anni dai bombardamenti le ferite sono ancora aperte, le morti da vari tipi di carcinoma e le leucemie sono in continuo aumento, grazie alle bombe NATO.
Perciò siamo a dir poco rimasti scioccati dalla notizia sulla candidatura della NATO per il Premio Nobel per la Pace.
Questa pandemia ci sta insegnando molto e ci sarà tanto da discutere nei prossimi mesi quando passerà l’emergenza.
Nel frattempo non mi resta che sperare che la sinistra possa, nel modo più efficace possibile, partecipare alla ricostruzione della civiltà europea.
Rajka Veljovic
Rajka Veljiovic è nata a Belgrado e vive a Kragujevac dove ha lavorato alla Zastava Automobili. E’ stata licenziata con altre migliaia di lavoratori e lavoratrici quando la Fiat ha acquisito lo stabilimento di Kragujevac. Dopo i bombardamenti del ’99 alcune RSU CGIL invitarono il sindacato metalmeccanico della Zastava, che fa parte del sindacato maggioritario a livello nazionale, ad inviare una delegazione in Italia per portare una testimonianza sui bombardamenti. Rajka ha fatto parte di quella delegazione e da allora ha stabilito relazioni con varie associazioni italiane (vari progetti nel sociale e affidi a distanza dei figli dei lavoratori Zastava rimasti senza lavoro a causa delle fabbriche bombardate). La storia della Zastava è molto lunga e interessante: nel periodo felice (di Tito) era il complesso metalmeccanico più grande dei Balcani e si chiamava Crvena Zastava (Bandiera Rossa). Dal ’99 Rajka è coordinatrice, come volontaria, dell’ufficio relazioni estere del sindacato, gestisce tutti i progetti di solidarietà e collabora con un’altra associazione che aiuta i serbi del Kosovo e Metohija.
E’ stata iscritta al Partito comunista jugoslavo fino alla morte di Tito (nel periodo in cui ancora non ci si poteva iscrivere senza essere proposti da un altro militante).

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