Alcune riflessioni sul voto in Emilia-Romagna

Alcune riflessioni sul voto in Emilia-Romagna

di Stefano Lugli 

La vittoria di Bonaccini è uno straordinario successo?

Quello che oggi viene definito lo «straordinario successo» della coalizione intorno al candidato Stefano Bonaccini, con circa un milione e 190mila voti è in termini di consensi assoluti il secondo peggior risultato della storia del centrosinistra in Emilia-Romagna. Solo nelle elezioni regionali del 2014 andò peggio, quando a votare fu solo il 37,5% e il centrosinistra di Bonaccini vinse con appena 600mila voti, contro il milione e 200mila voti raccolti da Errani nelle regionali del 2010 e il milione e 600mila in quelle del 2005 sempre con Errani alla guida. La stessa ‘straordinaria’ affluenza alle urne (67,7% degli aventi diritto) è la seconda più bassa di sempre nelle regionali in Emilia Romagna dopo il tracollo di partecipazione del 2014. L’Istituto Cattaneo definì le elezioni del 2014 come la fotografia del legame sentimentale spezzato tra la sinistra e il suo popolo e numeri alla mano quel legame è tutt’altro che ricostruito. L’esplosione di piazza del movimento delle Sardine ha rimotivato tantissime persone ad andare a votare, ma non per il centrosinistra ma contro Salvini. Ed è sufficiente guardare il risultato calabrese per comprendere che non basterà a sconfiggere le destre. Insomma quel legame è tutt’altro che ricostruito.

La sconfitta ‘solo’ elettorale della Lega

In tutta la campagna elettorale abbiamo detto che il nostro principale avversario era la destra e che la Lega abbia subito una battuta d’arresto è un fatto positivo. Ma è l’unico dato rincuorante di un risultato elettorale che assegna al centro destra un consenso del 45,41% con la Lega che triplica i voti rispetto alle regionali del 2014 e Fratelli d’Italia che risulta il partito che più di tutti cresce sia rispetto alle precedenti regionali sia rispetto alle recenti europee. Il distacco di 7,8 punti percentuali tra Bonaccini e Borgonzoni è infatti ‘drogato’ dal voto disgiunto che il rieletto presidente ha intercettato prevalentemente dal M5S. Un’analisi più accurata non deve dimenticare di considerare che la coalizione del centrosinistra arriva al 48,12% con uno scarto di appena 2,71 punti sulla coalizione di centrodestra. Il dato delle regionali emiliano-romagnole non sta quindi tanto nella vittoria di Bonaccini quanto nella fatica con cui è stata ottenuta questa vittoria di fronte ad una candidatura inconsistente come quella della Borgonzoni. Un dato impensabile anche solo 5 anni fa in una regione dalle solide radici di sinistra come l’Emilia-Romagna.

Questo significa che la Lega e le destre sono sconfitte solo elettoralmente ma non politicamente e la vittoria di Bonaccini avviene non per la sua politica ma perché è apparso come l’unico argine credibile contro la proposta fascistoide della Lega. Del resto non poteva che essere così dal momento che il centrosinistra a guida Bonaccini non ha messo in campo un modello di regione, di società e di sviluppo radicalmente alternativo, ma ha fatto leva sul sentimento di appartenenza al sistema valoriale di questa regione rendendo la presenza ingombrante di Salvini un corpo estraneo a questa terra e trasformando in un boomerang il messaggio della Lega ‘liberiamo l’Emilia-Romagna’. In buona sostanza il leader della Lega è venuto in Emilia-Romagna presentandosi come un ‘liberatore’ ma è stato percepito come un ‘conquistatore’ da tenere alla porta; Salvini ha giocato una campagna elettorale proponendo una dimensione nazionale ed è stato sconfitto dalla caratterizzazione solo apparentemente locale alla campagna elettorale data da Bonaccini. Salvini è stato il miglior alleato di Bonaccini.

Il pensiero unico liberista

La campagna elettorale di Bonaccini è stata caratterizzata dalla rivendicazione del lavoro fatto e dalla continuità come elemento di rassicurazione di fronte al salto nel buio che lasciava trapelare l’immagine aggressiva della Lega. Ma ad un’analisi più approfondita non deve sfuggire che le proposte di Bonaccini e Borgonzoni non sono molto dissimili sul ruolo dei privati nella sanità e nei servizi pubblici, sul ruolo della regione in economia e sul lavoro, sulle grandi opere, sugli inceneritori, sul rapporto con lo Stato attraverso l’autonomia. Intendiamoci, Bonaccini e Borgonzoni non dicono le stesse cose: la destra anche in Emilia-Romagna è omofoba, razzista e fascistoide e questo basta ad individuarla come nostro nemico, ma in tutta la campagna elettorale abbiamo respinto una narrazione del voto secondo cui chi non sosteneva Bonaccini metteva a rischio l’equilibrio socio-economico neoliberista su cui si regge la Regione.

Questo per dire che la ‘diversità’ dell’Emilia-Romagna fondata su un modello imperniato sulla solidarietà sociale e la cooperazione è ormai un residuo che è andato dissolvendosi man mano che la Regione procedeva verso la piena adesione al liberismo. Il sistema cooperativo da organizzazione dei lavoratori per tutelare diritti e salari è mutato fino a fare dell’Emilia-Romagna la capitale italiana delle false cooperative e dell’intermediazione del lavoro. Bonaccini, con l’autonomia regionale, la privatizzazione di servizi e sanità, le grandi opere e la consegna ai privati della pianificazione urbanistica ha compiuto l’ultimo passo per cancellare definitivamente quella ‘diversità’. L’Altra Emilia-Romagna non ha avuto la capacità e la forza di porre al centro della campagna elettorale l’alternativa alle politiche neoliberiste e tantomeno di rompere l’egemonia neoliberista trasversalmente condivisa ma diversamente interpretata da centrodestra e centrosinistra.

Il percorso di Rifondazione Comunista

Il Comitato Politico Regionale di Rifondazione Comunista dell’Emilia-Romagna fin dal primo approcciarsi alle elezioni regionali non ha mai avuto alcun dubbio sulla necessità di una proposta politica alternativa ai poli politici esistenti da costruire con tutte le forze politiche e sociali della sinistra attive su base regionale e locale. Proprio per questo il percorso unitario de L’Altra Emilia-Romagna costruito negli ultimi 5 anni è stato messo a disposizione di tutti coloro che si riconoscevano nell’antiliberismo, nell’anticapitalismo e nel comunismo per fare uno scatto in questa direzione. Al nucleo fondante di Rifondazione Comunista e Partito Comunista Italiano si sono aggiunti Partito del Sud e Partito Umanista, mentre i nostri appelli all’unità sono rimasti senza risposta. Non so se un’unica lista antiliberista avrebbe superato lo sbarramento del 3%, ma sono convinto che avrebbe avuto un altro appeal nei confronti degli elettori, perché la frammentazione ha generato vero e proprio risentimento per l’inadeguatezza di tutte le tre liste di fronte ad un voto segnato dalla paura in cui è stato impossibile essere percepiti come utili a fermare Salvini, l’unica cosa che il popolo della sinistra e del centrosinistra voleva.

L’Altra Emilia-Romagna e la sinistra d’alternativa

Il risultato de L’Altra Emilia-Romagna è disastroso. Ci aspettavamo un esito negativo ma non in queste proporzioni. Un risultato frutto delle condizioni oggettive descritte, della fase di complessiva difficoltà che vive la sinistra d’alternativa nel suo complesso e dell’indebolimento che i partiti comunisti hanno subito in questi anni.

Ora proviamo a ripartire, consapevoli che ci aspetta un lungo e paziente lavoro di ricostruzione della sinistra d’alternativa e di riconnessione con le lotte e i movimenti per tornare ad essere percepiti come utili socialmente, politicamente ed elettoralmente. Come proseguiremo lo definiremo assieme alle compagne e ai compagni che hanno animato questa campagna elettorale.

er2020


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