Su Diego De Donato
Pubblicato il 20 nov 2019
di Pasquale Voza
L’editore Diego De Donato, scomparso qualche giorno fa, all’età di novanta anni, è stato una figura di notevole rilievo culturale e politico, soprattutto nella stagione intensa degli anni Settanta, quando egli decise di trasformare la primitiva casa editrice “Leonardo da Vinci”, dando vita alla De Donato e mettendosi in sintonia propulsiva con le domande e i problemi della sinistra intellettuale comunista, attivamente presente a Bari, ma non solo. La casa editrice De Donato fu la prima a pubblicare Guy Debord, l’indagatore della moderna Società dello spettacolo, così come fece scoprire lo studioso e critico letterario Viktor Skevskji e diede vita alla prima edizione italiana de Il Maestro e Margherita di Bulgakov.
Le tensioni critiche nei confronti dello storicismo democratico del PCI, della sua politica delle alleanze (priva dello spessore teorico-politico del gramsciano blocco storico), e inoltre nei confronti della sua radicale inadeguatezza in rapporto alla questione intellettuale così come era emersa in forme inaudite dal Sessantotto e dalla sua critica radicale dei ruoli e degli statuti cognitivi e professionali, trovarono in qualche misura uno sbocco nel volume collettaneo PCI, Mezzogiorno e intellettuali: vero e proprio emblema di quella che fu chiamata «école barisienne» e che comprese storici, filosofi, italianisti, sociologi (da Franco De Felice, a Biagio De Giovanni, Arcangelo Leone de Castris, Franco Cassano, Giuseppe Cotturri, Giuseppe Vacca).
Forse oggi sarebbe conoscitivamente e politicamente utile cercare di comprendere i significati e le ragioni della varietà delle successive posizioni e derive politico-culturali di quelle figure ancora operanti.
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